LA LUNGA STORIA DI EDIPO
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In questa prima pagina della sezione "Edipo nella filologia" intendiamo
divulgare lo studio di Guido Paduano, il quale ha voluto recuperare la lettura freudiana
dell'Edipo Re di Sofocle, mostrando quale ne possa essere la validità anche alla luce
della moderna ricerca scientifica in ambito filologico.
Data la grande difficoltà e complessità delle argomentazioni presenti nel saggio La
lunga storia di Edipo, abbiamo pensato di procedere ad una esemplificazione, passando
attraverso questi punti essenziali:
L'ANALISI DELLA TEORIA FREUDIANA |
Assunto generale
Fin dall'inizio della sua attività medico-scientifica, Freud ragiona sulla natura
dell'inconscio, assegnandogli l'estraneità al dominio della realtà, e affermando che è
nell'immaginario che avvengono quei meccanismi fondamentali, i cui caratteri è appunto
compito della nuova scienza, la psicanalisi, di studiare. Una prima legge dell'immaginario
psichico riguarda appunto il ben noto fenomeno, per cui sono compresenti nell'immaginario
affettivo del bambino "amore per la madre e gelosia per il padre" (Lettere
1873-1939, Torino 1960: l'affermazione citata è in una lettera a Fliess). E'
immediato pertanto per Freud cogliere una relazione fra l'Edipo Re e la sua nuova
scoperta: ai suoi occhi, l'efficacia sul lettore o sullo spettatore sia antico sia moderno
è basata sul fatto che esiste una forte analogia fra le esperienze di Edipo sulla scena e quelle ancora presenti
nel suo immaginario. In altre parole, Freud trae dalla tragedia sofoclea una potente
conferma della "validità generale" della sua intuizione.
Poiché è un testo letterario, la nostra tragedia appunto, che fornisce a Freud la riprova della scientificità delle sue intuizioni, dobbiamo cogliere in questo un atto di eccezionale fiducia nella letteratura, e precisamente nella rappresentazione teatrale. Non è infatti al mito di Edipo che Freud rivolge la sua attenzione, ma alla tragedia sofoclea, vista nella sua specificità formale. Il suo approccio si basa su due assunti fondamentali:
- Esiste la possibilità per lo spettatore di un'identificazione emotiva, che è la causa più importante del successo della tragedia.
- L'organizzazione strutturale della tragedia è tale da richiamare il percorso di un'analisi: infatti sia nella tragedia, sia nel lavoro psicanalitico, si perviene per gradi alla rivelazione di un contenuto immaginario, andando indietro nel tempo, fino a far affiorare alla coscienza contenuti che sono stati censurati e rimossi.
Alla luce di questa premessa, Guido Paduano si pone due obiettivi fondamentali nel suo saggio:
- Vedere se la lettura freudiana possa costituire un motivo di approfondimento del senso della tragedia di Sofocle.
- Affrontare con gli stessi strumenti usati per la tragedia antica tutte le rielaborazioni letterarie e teatrali che nel corso dei secoli si sono costituite a partire dall'Edipo Re. E questo per vedere sotto una nuova luce la validità dell'assunto di partenza di Freud.
Il primo obiettivo va ovviamente meglio puntualizzato: occorre porre la premessa del valore di verità da riconoscersi alla psicanalisi; se è vero che al triangolo edipico deve essere assegnato un valore di universalità (poiché riguarda tutti gli uomini in tutti i tempi), allora non pare molto logico e ragionevole pensare che una storia, come quella di Edipo, che culmina nel parricidio e nell'incesto, non abbia un rapporto significativo con una legge della psiche umana universalmente valida.
Statua rappresentante Sofocle. |
Ma un primo problema nasce proprio dalla natura di questo rapporto, fra personaggio teatrale da un lato, e individualità reale dall'altro. Infatti il personaggio letterario è sempre manipolato, gestito dall'autore entro una organizzazione formale, in cui esso ha una precisa funzione. Se, però, noi ci atteniamo al compromesso, per cui l'inconscio freudiano abbia una sua leggibilità linguistica, e per cui, dal canto suo, il linguaggio letterario possa dar luogo a un campo di tensioni, dove si fronteggiano pulsioni e resistenze, desiderio represso e repressione: allora avremo forse individuato la corretta relazione di psicanalisi e letteratura. Così non pare del tutto assurdo o fuorviante il secondo degli assunti dell'interpretazione freudiana: che, cioè, l'organizzazione formale della tragedia, richiami potentemente il processo analitico del ritorno del rimosso; infatti, il linguaggio letterario si presta, attraverso suoi meccanismi, quali un uso avanzato della metafora e di ambigue connotazioni, a suggerire la negazione di un ordine razionale del mondo, che molto coincide con l'affiorare di contenuti latenti o inconsci; parimenti anche la celebrazione di contenuti vietati dall'ordine sociale offre nel mondo della letteratura possibilità simili.
Che l'inconscio freudiano abbia una sua leggibilità, e non sia dunque qualcosa di indefinibile e totalmente sfuggente, fino a renderlo un criterio impossibile da utilizzare nell'analisi critica di un'opera, lo ha dimostrato Ignacio Matte Blanco. Le motivazioni che governano l'inconscio non sono illogiche, ma rispondono invece a una logica diversa, non basata sul principio di contraddizione e di causalità. Freud ha indicato questi caratteri nell'analisi e nello studio dei sogni dei suoi pazienti.
Obiezioni e difficoltà
Lo scopo di questa sezione è di vedere come sia Freud, sia i suoi seguaci,
abbiano risposto alle obiezioni che vennero da più parti all'interpretazione della
tragedia sofoclea.
La prima e più decisa confutazione della teoria freudiana viene da Pierre Vernant,
quasi trent'anni dopo le ultime importanti affermazioni fatte da Freud su questo
argomento: egli, nel suo studio Edipo senza
complesso, afferma che Edipo non può avere assolutamente nulla a che fare con
il triangolo edipico, perché era nella più totale ignoranza circa la reale identità sia
di Laio sia di Giocasta. Egli commette sia il parricidio sia l'incesto nella più totale
ignoranza ed involontarietà, e dunque senza alcun sentimento infantile di desiderio o
gelosia, che non può mai avere sviluppato. Il bambino, al contrario, desidera la madre e odia il
padre proprio in quanto tali, come figure reali della sua realtà famigliare.
Una prima risposta a questa obiezione viene dalla considerazione che essa è alquanto distorcente. A ben vedere Freud non ha mai voluto in modo diretto affermare che Edipo aveva il complesso di Edipo. Fin dall'inizio delle sue osservazioni, come s'è detto, egli pone invece l'accento sul successo e sul coinvolgimento dello spettatore, moderno ed antico, al riguardo dell'opera teatrale. E' di questo infatti, che vengono presi in esame l'orizzonte psichico e un possibile riaffiorare delle esperienze infantili. Si compie, in altre parole, un'identificazione emotiva con l'eroe tragico che agisce sulla scena, ed essa pone sullo stesso piano la situazione intima nello spettatore con la situazione di fatto che l'eroe sta sperimentando sulla scena. Freud sintetizza benissimo questo, quando dice che la vicenda di Edipo è "la realizzazione di un sogno trasferita nella realtà" (Lettere, pag. 193), o "l'appagamento di un sogno della nostra infanzia" (Opere, III, p. 244). In questi termini la interpretazione freudiana sembra accettabilissima.
Una seconda obiezione mossa a Freud, è che egli non aveva
conoscenze storico-filologiche abbastanza sottili e approfondite, e che la sua esegesi
risente troppo di alcuni luoghi comuni della divulgazione un po' troppo semplicistica
della filologia tedesca di fine secolo.
Per esempio, Freud si dichiara insoddisfatto della lettura dell'Edipo Re
come "tragedia del destino", una tragedia in cui si vorrebbe celebrare
l'impotenza dell'uomo e delle sue leggi morali quando tentano di opporsi a una disfatta e
al delitto oscuramente voluto dagli dèi. In realtà - obietta Freud - se così fosse, non
scatterebbe con tanta intensità il momento dell'identificazione col destino di Edipo, che
è invece proprio causata dalla scelta che Edipo fa, una scelta di "conoscenza".
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Meno accettabile è però il tentativo fatto da Freud, di
collocare fuori dell'effetto tragico, come una specie di "devoto espediente",
quella che egli chiama la "morale" della tragedia, ossia l'implicito messaggio
per cui la più alta moralità starebbe nel piegarsi al volere degli dèi. La sostanza,
dice Freud, della tragedia è immorale, ma, essendo Sofocle pio, ricorrerebbe appunto a
questo espediente. La vera attenzione di Sofocle starebbe invece nel "senso e
contenuto segreto" della tragedia, che alluderebbe appunto al desiderio inconscio di
Edipo, vera ragione dell'identificazione dello spettatore con lui.
Noi moderni abbiamo ovviamente un'idea del tutto diversa della "morale",
cioè della Weltanschauung di Sofocle. Possiamo condividere con Freud
l'insofferenza per una lettura deterministica dell'avventura di Edipo, ma sappiamo che il
vero intento di Sofocle non era né quello di mostrarci l'uomo in balia del destino, né
impotente di fronte al volere degli dèi. In realtà è proprio nella pertinace volontà
di Edipo di recuperare alla luce della conoscenza intellettuale tutti i fatti della sua
vicenda, considerando che l'azione tragica si colloca dopo che quei fatti
terribili sono avvenuti, che dobbiamo individuare la volontà di Sofocle di esaltare
l'affermazione dell'uomo e della sua creatività. L'agire dell'eroe si colloca spesso nel teatro sofocleo in
successione all'evento: il senso del tragico sta dunque nella reazione agli
eventi, e non nel loro prodursi, nello studio dell'immensità del dolore che tale reazione
suscita, e che sancisce la grandezza stessa dell'uomo.
Ma ritorniamo alla obiezione di partenza, quella della presunta inconsapevolezza di Edipo: in una passo della Autobiografia, Freud dice:
"Il fatto che l'eroe si fosse macchiato di una colpa senza volerlo né saperlo fu inteso come l'esatta espressione della natura inconscia delle sue tendenze criminali" (Opere, X, p. 130).
Questo procedimento, di ribaltamento dell'obiezione in una
ulteriore conferma della dimensione psicanalitica dell'atteggiamento di Edipo, pare
inaccettabile, perché fondata proprio sull'aggettivo inconscio: non si può
pretendere di spiegare alcunché ricollegando le motivazione di un'azione a qualcosa che
l'agente non conosce, senza che la spiegazione così ottenuta non si carichi di
un'arbitrarietà totale, perché fondata sulla premessa paradossale che il motivo
dell'azione stia precisamente nell'impossibilità per l'agente di comunicarlo.
Ma Freud ci ha anche insegnato che l'inconscio si fa strada, eludendo la sua
incomunicabilità, attraverso il sintomo, da intendersi come un'eruzione improvvisa di un
qualcosa di estraneo alla razionalità cosciente: sennonché, proprio nell'Edipo Re,
pare che Sofocle non abbia concesso nulla in questo senso al suo personaggio, perché non
vi è alcun cedimento, nel testo, che possa suggerire che Edipo abbia qualche oscuro
sentimento materno per Giocasta, o che nello scontro al trivio si possa anche
indirettamente pensare a qualcosa di ominoso ed indistinto.
Orbene, la natura coattiva e costrittiva del complesso studiato da Freud, trova
secondo lui una corrispondenza precisa, nell'organizzazione della tragedia, proprio nella
presenza dell'oracolo, che è l'unica entità, accanto a Tiresia, che parli in
modo esplicito di incesto e parricidio. Conforme a questa lettura, ciò che Edipo più
teme e aborre, e che costituisce il motivo cosciente della sua fuga da Corinto, è ciò
che egli più desidera, in realtà, secondo il motore segreto del suo agire. In
quest'ottica, appare ancora valida la lettura freudiana, nel seguente passo del Compendio
di psicanalisi:
"La costrizione dell'oracolo che rende o dovrebbe rendere l'eroe immune da qualsiasi colpa rappresenta il riconoscimento della inesorabilità del destino che ha condannato tutti i figli a sperimentare il complesso edipico" (Opere, XI, p. 618-619).
Una situazione dunque, in cui la condizione oggettiva dell'eroe viene sentita come metafora della condizione soggettiva dello spettatore, invece la costrizione esterna (operata dall'oracolo) di Edipo come metafora di quella propria interna.
Idria calcidese a figure nere con sfingi affrontate. 530-520 a.C. Museo Nazionale, Taranto. |
Non possiamo invece più seguire Freud quando egli pretende che lo spettatore
"reagisce come se, attraverso un'autoanalisi, avesse riconosciuto in sé il complesso edipico e smascherato sia la volontà divina sia l'oracolo, riconoscendo in loro gli elevati rivestimenti del suo proprio inconscio" (Opere, VIII, p. 488).
Qui si oppongono alla veridicità del discorso freudiano considerazioni di ordine storico, come quelle che si trovano nell'opera di Eric Dodds, I Greci e l'irrazionale, quando si pensi che nel V° sec. a.C. in Atene, nell'ambito della "civiltà della colpa", una disinvolta equiparazione della voce degli dèi al desiderio intimo dell'uomo non è praticabile, essendo quella civiltà tutta dominata da un senso di angosciosa separatezza fra l'uomo e la divinità.
Quando invece l'attenzione di Freud ritorna sul personaggio tragico, egli arriva a far coincidere fato e oracolo come "materializzazioni di una necessità interiore" (Opere, XI, p. 130), ponendosi ancora una volta in un'ottica piuttosto inattendibile; diversa la situazione di molti passi in cui la refrattarietà del testo ad un'equazione troppo sicura fra comportamento di Edipo e legge inconscia del suo agire spinge Freud a parlare di "smorzamento", "attenuazione minima", "deviazione dalla situazione analitica" (rispettivamente in Dostoevskij e il parricidio, nell'Introduzione alla psicanalisi, e nel Compendio di psicanalisi): qui a difesa di Freud possiamo forse constatare che è pur presente una sua sensibilità al testo sofocleo, e che, quando ricorre alla forma poetica per definire la attenuazione come inevitabile conseguenza di essa, non si distacca in ultima analisi da molti interpreti sofoclei, che hanno cercato di provare molte cose proprio ricorrendo alle "esigenze drammaturgiche".
L'auto-accecamento
dell'eroe
E' proprio nell'evento più terribile della storia di Edipo, l'accecamento cui
l'eroe si sottopone, che Freud vede ancor più ridursi il divario fra testo e teoria
psicanalitica. Infatti, se fino a quel punto, la tragedia ha avuto un andamento
compromissorio, per cui bisognava ascrivere alla costrizione del fato, o al volere
dell'oracolo, il compimento dei desideri incestuosi di Edipo, ora, il fatto che egli se ne
ritenga colpevole, riporta la tragedia al "senso e contenuto segreto della
leggenda". Anche nel procedimento analitico, infatti, all'emergere improvviso di un
desiderio proibito, tiene dietro, come controparte essenziale e funzionale di tale
desiderio, il senso di colpa. L'accecamento sarebbe perfettamente logico, dunque,
nell'ottica delle leggi dell'inconscio, anche perché esso va inteso come un sostituto
simbolico dell'evirazione, misura punitiva adeguata ad un crimine che riguarda le tendenze
sessuali incestuose. Tutti i sostenitori e seguaci della teoria freudiana sono concordi
nel ritenere che l'accecamento di Edipo fornisce la prova più luminosa del riconoscimento
in sé della pulsione edipica, perché, per assurdo, non sarebbe possibile rispondere in
altro modo alla domanda per quale altra ragione Edipo si sarebbe autoaccecato.
Anfora campana a figure nere. 500-490 a.C. Siena, Museo Archeologico Nazionale. |
In realtà, sul versante della filologia, un'altra risposta ci sarebbe, e starebbe appunto nel ricondurre il gesto di Edipo al concetto di m asma: non sta al centro il riconoscimento di una colpa, ma quello di un'impurità, che è inevitabile conseguenza del gesto commesso da Edipo, e che comporta devastazione interiore ed isolamento sociale. Letto in questo modo, il gesto di Edipo ha sicuramente un rilievo più ancorato al contesto storico-sociale della tragedia, visto che il m asma è qualcosa di terribilmente concreto, che arriva a far sentire quasi corporalmente diverso chi ne è affetto.
Ma Freud è ritornato sul problema dell'accecamento di Edipo in un altro luogo della sua opera. Nel Compendio di psicanalisi, egli associa il gesto dell'eroe alla severità eccessiva del Super-Io, che spesso punisce a prescindere dalla realizzazione dei gesti proibiti, ma anche per quei pensieri e quei desideri irrealizzati, ma che esso peraltro conosce. Così anche Edipo, dice Freud, si assoggetta ad un'autopunizione, a prescindere dal fatto che è stato vittima di una costrizione del fato a commettere quelle azioni impure, e che, pertanto, potrebbe considerarsi immune da colpa. Se è vero, possiamo considerare noi, che il Super-Io spesso punisce anche le sole intenzioni, non seguite dai fatti, nel caso di Edipo avviene esattamente il contrario: infatti qui sono puniti i fatti, senza che vi sia stata alcuna intenzione di commetterli. Questa condanna, pertanto, che prescinde dall'innocenza soggettiva di Edipo, non appare del tutto incompatibile con la auto-condanna di Edipo, motivata però dalla sua impurità sociale, in virtù del concetto di m asma.
LA PROPOSTA INTERPRETATIVA DEL PADUANO |
La lettura del Paduano con le modifiche
da apportare all'interpretazione freudiana
Guido Paduano presenta la sua personale interpretazione della tragedia sofoclea
individuando come nucleo fondamentale di essa la dialettica tra desiderio represso e
repressione. Egli, però, rovescia i termini della questione per giungere a una lettura
più corretta dal punto di vista sia interpretativo sia filologico. Innanzitutto Paduano
elimina, sulla base dell'inconsapevolezza dell'agire di Edipo precedentemente dimostrata,
la valenza trasgressiva indicata da Freud e concentra la sua attenzione sul fatto che è
la perversione dei rapporti familiari a creare la drammaticità dell'azione dell'eroe. Da
ciò risulta evidente che se per Freud ciò che è represso è il desiderio di parricidio
e di incesto, secondo Paduano, invece, parricidio e incesto rappresentano la repressione
che limita o annulla la volontà razionale e creativa di Edipo (represso). Il desiderio
che muove l'azione drammatica non è, dunque, né negativo, né inconscio, ma è positivo,
adulto e consapevole. Esso è individuabile nella volontà di innocenza e di fondazione
creativa di valori positivi che si esplicita con l'assunzione, attraverso le funzioni
sociali che Edipo svolge, di quella paternità che dagli eventi è aggredita e lacerata.
L'ironia tragica e la sua relazione con il modello interpretativo proposto
La drammaticità di Edipo non consiste, quindi, nella repressione di un desiderio inconscio, ma nella distonia temporale che gli è peculiare. Ciò che, infatti, caratterizza la struttura della tragedia è la cosiddetta "tragische Analysis" che colloca l'azione post factum e mette, così, a confronto il comportamento dell'eroe con una realtà già determinata in termini opposti e con esso incompatibili.
L'elemento che rende formalmente la drammaticità dell'agire di Edipo è l'ironia tragica. Essa, facendo corrispondere alle parole più significati, mostra vari punti di vista e evidenzia il contrasto tra il senso ingannevole, produttore di cecità e l'interpretazione corretta ed onnisciente propria soltanto dello scrittore e dello spettatore. Si creano, in questo modo, una serie di situazioni che portano Edipo a scontrarsi e ad essere vittima di quei valori di cui si era reso lui stesso così entusiasticamente portatore.
Un esempio chiaro di ironia tragica si ha sin dal primo verso proclamato da Edipo stesso in apertura di tutta l'opera: "O figli, giovane stirpe dell'antico Cadmo". La tragedia che mette in scena la peggiore delle lacerazioni e degenerazioni familiari comincia con un rassicurante affermazione di paternità in campo politico e sociale. Secondo la tradizione greca, infatti, il re diviene, nel momento stesso in cui assume l'autorità, discendente di quello precedente, in tal modo Edipo risulterebbe essere figlio di Laio anche dal punto di vista politico. Ancora più emblematici risultano i vv. 258-268 nei quali l'eroe afferma:
"Ora, poiché mi trovo a detenere il potere che egli teneva prima di me, ad avere il suo letto e la sua donna, e se non fosse stato così sfortunato nella discendenza, avrei comuni con lui anche i figli ma il destino è piombato sul suo capo. Per tutte queste ragioni io mi batto per lui come fosse mio padre, e farò tutto il possibile per trovare l'assassino del figlio di Labdaco, figlio di Polidoro, figlio di Cadmo, figlio dell'antico Agenore".
Conclusione: proposta e la definizione di una chiara lettura dell'Edipo Re
Abbiamo visto come l'ironia tragica abbia ribaltato l'intenzione personale e positiva di Edipo nella realtà opposta ed ostile, ma bisogna ora porre l'attenzione sul processo di indagine che porta l'eroe a prendere coscienza della realtà. In questo momento si fa più evidente la drammaticità della dialettica tra represso e repressione che porta alla crisi della ragione, esemplificata dall'accecamento che rappresenta la rinuncia alla conoscenza.
Paduano conclude la sua lunga e approfondita analisi dell'Edipo Re affermando che esso è la rappresentazione dell'inverso del complesso edipico, in quanto, per una corretta lettura dell'opera, bisogna invertire il rapporto, all'interno della dialettica freudiana, tra represso e repressione.
Si arriva, così, ad uno spostamento ancora più sorprendente: il passaggio dal microcosmo nel quale si sviluppa l'opposizione tra inconscio e coscienza, al macrocosmo della vita associata dove il contrasto si ha tra soggettività e realtà. Secondo questa nuova chiave di lettura l'identificazione dello spettatore con l'eroe tragico non è più basata, come invece afferma Freud, sul senso di colpa, ma sul desiderio profondamente umano di razionalità e di potenza.