Mappa delle rotte del traffico internazionale di armi

Mentre la SIPRI( Stockholm International Peace Research Institute), con il suo SIPRI Yearbook 2008 rende noti alcuni tragici dati riguardanti la spesa Militare mondiale, che nel 2007 è stata pari a 1.339 miliardi di dollari, equivalenti al 2,5% del Prodotto nazionale lordo del Pianeta, a La Esperanza, Intibucá, Honduras, si è svolto il secondo incontro emisferico contro la militarizzazione, dove si sono dati appuntamento più di 800 delegati di 175 organizzazioni e 27 paesi (Messico, Guatemala, Honduras, El Salvador, Nicaragua, Costa Rica, Cuba, Haiti, Repubblica Domenicana, Argentina, Perù, Bolivia, Ecuador, Chile, Uruguay, Paraguay, Colombia, Venezuela Brasile, Porto Rico, Australia, Spagna, Italia, Stati Uniti e Canada). Di fronte alla crisi del sistema capitalista si sviluppa nel mondo una crisi multipla (energetica, alimentare, finanziaria, ambientale, sociale e politica).


Soldatessa colombiana impegnata nelle "Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia" (FARC)

Con questo, la militarizzazione si rafforza e i suoi effetti si acutizzano nel tentativo del sistema di controllare gli spazi, i mercati e le risorse naturali. Nel nostro emisfero la militarizzazione si rende evidente in molte forme. Nel suo senso più ampio, la violenza militare, istituzionale e poliziesca sono parte di questa continua scalata di repressione, occupazione e saccheggio delle risorse naturali, che risponde all’imposizione del modello economico neoliberale. In questo contesto, nei movimenti sociali si lotta per i diritti, le terre e i territori. Per questo, un gruppo di diverse reti e organizzazioni del continente si sono articolate in uno sforzo strategico e urgente per riunire volontà e definire linee di azione che permettano di avanzare in modo più coordinato ed efficace di fronte alla minaccia continentale e globale che rappresentano la militarizzazione, le guerre e la repressione. Le conseguenze della militarizzazione sono disastrose: la principale è la violazione dei diritti umani fondamentali (come il diritto alla casa, alla salute, all’educazione ecc.), inoltre genera un alto numero di prigionieri politici, torture e sparizioni forzate, una forte criminalizzazione dei giovani, ed il sequestro di tantissime donne considerate bottino di guerra. E' piuttosto grave la situazione vicino alle frontiere che porta alla morte di migliaia di persone, nel tentativo di oltrepassare il confine o per mano delle forze di sicurezza. Tra l'altro la militarizzazione è accompagnata da terrorismo mediatico, da una strategia di manipolazione e paura, da un’ideologia militare caratterizzata da colonialismo mediatico, tra le altre forme di dominio e alienazione, ma si alimenta anche con la presunta “guerra al narcotraffico” , utilizzata come scusa perfetta per militarizzare la società e le strutture dello Stato.

Per quanto riguarda L'America Latina, è un dato davvero originale che il presidente venezuelano Hugo Chavez abbia avuto un particolare ruolo per l'Esercito, in prima fila rispetto alle altre Forze Armate. L' Eijercito Bolivariano, da cui proviene Chavez, è proposto con grande enfasi come il vero promotore della “revoluciòn”.Da tempo gli analisti e la stampa internazionale hanno messo in evidenza l'acquisto di armi russe da parte venezuelana, cosa che per Chavez è motivo di orgoglio politico e nazionale, mentre per l'industria russa degli armamenti è una sana questione di marketing. Il Venezuela, oltretutto, subendo l'embargo americano sulle armi (che coinvolge, direttamente o di riflesso anche gli alleati degli USA, almeno quelli più stretti e quelli che temono ritorsioni) si rivolge ad altri fornitori che, come la Russia, non pongono apparentemente condizioni politiche sulle commesse di armamenti. Le fonti più diffuse riguardo l'arsenale di Chavez sono anche le più discutibili dal momento che la propaganda venezuelana tende ad ingigantire le prestazioni e la quantità dei sistemi d'arma e non dice molto sui costi, anche se pare che le spese militari riscuotano un certo consenso. Infatti il presidente Chavez sta utilizzando l'Esercito anche per “opere di bene”, per così dire (infrastrutture ospedaliere, con sostegno medico cubano, bonifiche etc.).Le altre fonti, soprattutto colombiane, cercano forse di ampliare la minaccia, anche per elevare la pressione internazionale sul caudillo di Caracas e giustificare le iniziative del proprio governo. Secondo fonti militari colombiane il Venezuela ha speso per il settore difesa 4 miliardi di dollari nel periodo 2004-2007,Caracas accusa inoltre Chavez di finanziare in vario modo le FARC ( Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) e di tentare di destabilizzare la Colombia. In effetti il petrolio venezuelano consente al suo presidente un notevole margine di manovra, costituendo la preziosa materia prima una riserva di dollari ed un noto canale di “leverage” politico verso i paesi che lo acquistano, tra cui gli USA e l'Argentina. Altre grosse cifre interesserebbero il finanziamento di movimenti “chavisti” negli USA che raggiunge i 70 milioni di dollari per sodalizi come il Solidarity Network e Hand Off Venezuela.

Le accuse di legami con le FARC non menzionano specifici finanziamenti, ma piuttosto una cooperazione militare e di intelligence. Secondo l'Observer, con i proventi del traffico di cocaina dalle zone della Colombia che controllano, le FARC sarebbero in grado di muovere circa 8 milioni di sterline all'anno. Altre notizie riguardano le accuse di infiltrazione di agenti in territorio colombiano ed addirittura nelle Forze Armate di Caracas. Il settimanale colombiano La Semana sostiene che tali attività sarebbero condotte addirittura dal capo del servizio informazioni venezuelano, il DIM(Venezuela’s military intelligence), generale Hugo Carvajal , cui vengono attribuiti anche omicidi e torture ai danni di agenti colombiani e di proteggere e sostenere narcotrafficanti quali Hermano Gonzales. Le accuse reciproche ed i movimenti di truppe ai confini non sono tranquillizzanti, mentre la crisi in Equador e Venezuela sta comportando diversi problemi. Ma un aspetto, da molti ignorato, di questa crisi che si avvia verso dimensioni continentali, sta nel riarmo del Cile, paese da sempre pedina strategica per gli USA nel continente. Il Cile si dimostrò un prezioso alleato anche per la Gran Bretagna, nel corso della Guerra delle Falkland/Malvinas, nel 1982. Pinochet, schierando le sue truppe al confine argentino, impose al regime di Buenos Aires una scelta che si rivelò disastrosa: per fronteggiare la minaccia cilena i migliori reparti furono impegnati sul fronte occidentale, inviando alle Falkland militari di leva che, pur coraggiosi, erano poco addestrati ed abituati a condizioni climatiche completamente differenti.


Aereo da guerra F-16

Il Cile ha recentemente rammodernato la propria aviazione, acquistando 10 nuovi F-16, commessa effettuata quando Michelle Bachelet era Mnistro della Difesa. La consegna dei velivoli è ancora in corso, mentre dovrebbero essere già stati consegnati i materiali d'armamento. Anche il Venezuela aveva in linea gli F-16, dismettendoli a seguito dell'embargo USA sulle armi. Inoltre il Cile, che ha fatto consistenti investimenti anche nelle forze corazzate, puntando a dotarsi di un parco carri formato esclusivamente da Leopard,spende circa il 4.1% del PIL, quasi tutto negli Stati Uniti. Fin dall’epoca di Pinochet circa il 10% delle entrate dovute alla vendita di rame sono destinate alle Forze Armate per l’acquisto di nuovi armamenti.

La tensione tra Venezuela, Colombia e Uruguay è alimentata anche da quelli che sembrano seri preparativi per un conflitto da parte del governo di Caracas. A livello quantitativo non c'è dubbio che Chavez abbia fatto grandi acquisti, anche per rimpiazzare le mancate forniture americane dovute all'embargo. Gli Stati Uniti puntano il dito contro le forniture di armi leggere, che sarebbero ben oltre il fabbisogno del Forze Armate venezuelane: si allude quindi ad una possibile triangolazione a favore dei movimenti di guerriglia (o terroristici, a seconda dei punti di vista)come le FARC o l'ELN (ambedue operanti in Colombia). Nell' agosto 2007 aveva suscitato polemiche l'annuncio dell'ordine, oltre che di circa 100.000 Kalashnikov della serie 103, quello di 5000 fucili di precisione. Alcune fonti della stampa russa hanno riferito anche dell'intenzione della Izhmash, società che sovrintende all'arsenale di Izvesk produttore delle armi in questione, di costruire uno stabilimento in Venezuela per la fabbricazione di armi e munizioni. Secondo il Jane's Country Risk , tali acquisti sono comunque coerenti con le linee della riorganizzazione della difesa Venezuelana: Chavez ha costituito una cospicua riserva territoriale, che risponde direttamente al governo, una forza di mobilitazione popolare che dovrebbe essere in grado di sostenere una guerra di guerriglia in caso di invasione del paese. I paralleli con l'Iraq, dove le stesse armi hanno fatto molti morti tra le forze americane, emergono senza sforzo. A questo punto è logico domandarsi chi dovrebbe aver paura della eventuale “resistenza venezuelana”, se non un potenziale invasore.


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