In politica estera gli Stati Uniti, pur vigilando sulle proprie aree d'influenza, avevano ripreso posizioni isolazioniste che le leggi di neutralità del 1935-1937 ribadirono. Allo scoppio della seconda guerra mondiale Roosevelt e il suo segretario di stato Cordell Hunt si impegnarono per convincere Congresso e opinione pubblica della necessità di fornire aiuti agli stati aggrediti da Adolf Hitler. Dopo la terza elezione a presidente, Roosevelt rinsaldò i legami con le democrazie occidentali firmando con Winston Churchill la Carta Atlantica, che riaffermava alcuni principi del programma di Wilson (autodeterminazione dei popoli, collaborazione pacifica, ricerca della pace tramite organismi internazionali) e che sarebbe divenuta di lì a poco la piattaforma politica dell'ingresso in guerra degli Stati Uniti.
    Questa decisione fu adottata l'8 dicembre 1941, il giorno dopo l'attacco sferrato dai giapponesi (senza nemmeno presentare una dichiarazione di guerra) alla base americana di Pearl Harbor, nelle isole Hawaii: la guerra col Giappone fece scattare il meccanismo delle alleanze internazionali, per cui Germania e Italia dichiararono guerra agli Stati Uniti (11 dicembre 1941). Il grande sforzo bellico permise agli Stati Uniti di superare lo svantaggio che inizialmente avevano con il Giappone e di inserirsi nel fronte europeo e africano con un contributo decisivo di uomini e di mezzi. Il 6 giugno 1944 venne attuata l'operazione "Overlord": il D-Day pose fine alle speranze tedesche e segno l'inizio della vera e propria capitolazione nazista.
    Alle operazioni di guerra si correlò un'intensa attività diplomatica, condotta da Roosevelt di concerto con Churchill (ma talvolta con dissensi anche profondi da parte del primo ministro inglese), e sfociata nelle Conferenze del Cairo, di Teheran e di Jalta, che ebbero effetti risolutivi sia per le sorti della guerra sia per la sistemazione geopolitica del dopoguerra.

 

Il '900 e il Ruolo Politico

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