immagine che raffigura la petroliera Amoco Milford Haven mentre
affonda.

Per disastri petroliferi si intendono disastri ambientali causati dal petrolio.

In particolare la fuoriuscita del petrolio dalle petroliere compromette gravemente l'ambiente marino. Infatti il petrolio ha un peso specifico minore dell'acqua, per cui inizialmente forma una pellicola impermeabile all'ossigeno sopra il pelo libero dell'acqua, causando oltre agli evidenti danni per fenomeni fisici e tossici diretti alla macrofauna, un'anaerobiosi che uccide il plancton. La successiva precipitazione sul fondale replica l'effetto sugli organismi bentonici. La bonifica dell'ambiente danneggiato richiede mesi o anni. Il rilascio del petrolio è in genere causato dall'attività umana, tuttavia può in certi casi essere causato da eventi naturali, quali ad esempio fratture del fondo marino.

 

 

MESSINA, 1985

 
Nel 1985 un'onda nera di petrolio sporcò l'acqua chiara dello Ionio, tra Messina e Capo Sant'Alessio, a poco meno di tre miglia dalla costa. Tutto è successo di prima mattina, in una giornata in cui la nebbia ha fatto sì che due navi, la petroliera greca Patmos e la spagnola Castillo de Monte Aragona, si scontrassero emettendo circa 5000 litri di greggio. Subito dopo lo scontro divampò un incendio causando la morte di tre marinai sudamericani della nave spagnola, i cui corpi non vennero ritrovati, eccetto quello del marinaio Paolo Antonio Leitao che galleggiava in mezzo al petrolio; l' SOS venne lanciato subito dal comandante della nave greca e nell'attesa dei soccorsi i marinai tentarono invano di chiudere lo squarcio, poiché le condizioni atmosferiche non erano favorevoli e la quantità di petrolio che ne fuoriusciva era enorme. I tentativi continuarono per tutto il pomeriggio, anche con l'aiuto dei soccorsi, ma solamente verso sera, grazie a una squadra specializzata, si riuscì a tamponare la falla; tuttavia il danno era già consistente. Molti proposero di irrorare subito la chiazza (larga più di mezzo miglio e lunga 800 metri) con potenti solventi, ma i naturalisti si opposero, sostenendo che molti di essi contenevano elementi assai dannosi per l'ecosistema. Più avanti si scoprì che la collisione era largamente prevista: infatti il Wwf sventolò un documento datato 20 giugno 1982 secondo cui bisognava controllare le zone di maggiore traffico marittimo per la difesa del mare,tra cui vi era anche lo Stretto di Messina.

LIVORNO, 1991

La sera del 10 Aprile 1991, il traghetto Moby Prince si scontrò con la petroliera Agip Abruzzo. Quest'ultima venne costruita nel 1976 nei cantieri di Monfalcone e, nel 1977, consegnata all'Eni per il trasporto del greggio. Venne sottoposta a lavori di ristrutturazione nel 1987 a Genova, che portarono all'accorciamento della nave. Il Moby Prince era, invece, un traghetto in servizio di linea tra Livorno e Olbia che, durante l'uscita dal porto di Livorno , colpì con la prua la petroliera sopra citata. Parte del petrolio fuoriuscì allargandosi in mare e, tra le 100 e le 300 tonnellate, vennero "spruzzate" sul Moby Prince, incendiandolo. Dopo lo scontro la petroliera accese i motori e si disincagliò dal traghetto, favorendo però una maggiore fuoriuscita del petrolio. L'incidente causò la morte di 140 persone, tutte passeggere del traghetto. L'Agip Abruzzo mandò ripetute richieste d'aiuto, ma i soccorsi arrivarono quando il Moby Prince era affondato con i motori ancora in funzione, si era allontanato dal punto d'impatto, rendendo ancora più difficile la sua identificazione. L'incidente è considerato il più grave nella storia della marina mercantile italiana; ancora oggi è difficile far luce sulle cause che hanno portato alla tragica collisione. Sono state individuate alcune possibili cause, tra cui:

VOLTRI, 1991

L'Amoco Milford Haven, petroliera da 250 000 tonnellate fu colpita nel 1988 nel Golfo Persico da un missile iraniano. Tra il 1988 e il 1990 la nave fu riparata a Singapore; dopo le riparazioni la nave fece un solo viaggio giungendo a Genova dove rimase alcuni giorni scaricando parte del greggio. L'11 aprile, intorno alle 12.30, si verificò un'esplosione che fece saltare 100 metri di coperta in un braccio di mare di 94 metri vicino a Voltri. Durante la notte la nave in fiamme si spostò al largo di Savona e, il giorno dopo, fu trainata da Cogoleto a Arenzano. Durante l'operazione si staccò la parte di prua interessata dall'esplosione che si adagiò sul fondale. Il mattino del 13 aprile, altre esplosioni scossero il relitto causate probabilmente dal surriscaldamento delle cisterne non ancora incendiate; il vento da Nord fece sì che solo pochi litri di petrolio si spargessero sulla spiaggia e impedì al fumo di raggiungere la costa. Il 14 aprile ci fu l'ennesima esplosione a un miglio e mezzo da Arenzano e, nei giorni successivi, vennero sistemati da numerosi volontari alcune barriere per limitare lo spargimento di greggio, ma lo Scirocco le travolse causando numerosi spiaggiamenti. Fu il più grave disastro ecologico di tutto il mar Mediterraneo; una parte del carico (10 000 o 50 000 tonnellate circa) inquina tuttora i fondali tra Genova e Savona. Dal 2001 una commissione è incaricata di realizzare interventi e sperimentazioni di bonifica anche sul relitto stesso, che giace oggi a 80 metri di profondità.

VILLASANTA, 2010

Alle 3.30 di mercoledì 24 febbraio, probabilmente qualcuno si è intrufolato nella ex raffineria Lombarda Petroli, (provincia di Monza)  mettendo fuori uso le telecamere di sorveglianza ed evitando ogni tipo di controllo, sabotando le 7 cisterne ancora in funzione ma l'unica ipotesi non è quella di sabotaggio, infatti si pensa anche a una possibile speculazione edilizia. I carabinieri si sono recati alla lombarda subito dopo l'allarme, ma al loro arrivo i dipendenti fanno resistenza dicendo che vogliono gestire da soli l'emergenza, ma riescono a chiudere i rubinetti solo alle 8.00.
Alle prime luci del mattino (circa alle 4.00) il liquido uscito dalle cisterne ha percorso 6 km attraverso le falde acquifere di Monza, fino al depuratore delle acque; in pochi minuti la macchina del filtraggio è andata in tilt ed è traboccato riversando la marea nera nel fiume. Nel Lambro sono finiti 10 milioni di litri di petrolio più altri gas e liquidi altamente inquinanti come combustibili e sostanze cancerogene, originando una macchia oleosa spessa 50 cm! Intorno alle 10.00 di martedì mattina la macchia è arrivata a Milano, dove sono morte moltissime anatre, l'aria è diventata irrespirabile e gli argini sono stati imbrattati dal gasolio, proseguendo poi per San Maurizio, Cologno Monzese, Bolgiano (h. 11.00), dove il gasolio è esondato riempiendo i cortili riempiendo cortili e campi coltivati, e dove, per fortuna, viene serrata la chiusa (h. 14.00) che ritarda maggiormente l'arrivo del petrolio al Po, dove le possibilità di fermarlo sono pochissime a causa della corrente e della larghezza del fiume. Arriva poi a Vidardo, in provincia di Lodi, a soli 25 km dal Po.
Alla fine di martedì, nonostante il duo lavoro di sommozztori, elicotteri, Protezione Civile, vigili del fuoco, prefettura, Provincia, Regione, e l'utilizzo di boe che avrebbero dovuto fermare, almeno in parte, il petrolio, ma rivelatesi inutili, non sono stati portati al centro di bonifica nemmeno due litri d'olio; nonostante tutto questo, l'allarme di "disastro ambientale" non viene lanciato fino alle 20.00, quando il petrolio ormai è arrivato a Lodi. Durante tutto mercoledì continuano i tentativi di bonifica senza grande successo: all'inizio della giornata il petrolio giunge alla confluenza del Lambro con il Po che percorre durante il corso della giornata fino alla diga dell'Enel di isola Serafini, l'ultimo ostacolo prima del Mar Adriatico, che ha bloccato l'80 % del petrolio. Il primo marzo però dopo aver superato. Ma le associazione avvertono che non basta fermare il petrolio per poter dichiare terminata l'emergenza, poichè è il passaggio del petrolio ha danneggiato anche la fauna e la flora del luogo. Continua intanto il processo di bonifica: L'ARPA ( Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale), in collaborazione con le province di Milano e Monza - Brianza coordinerà un intervento innovativo per neutralizzare gli idrocarburi, riducendoli in materiale biodegradabile con speciali enzimi; questo esperimento avverrà nel depuratore e esteso su tutto il percorso del fiume se produttivo. Il 27 febbraio una squadra composta da Legambiente, WWF, Italia Nostra Milano, Slow Food e altri enti nazionali, dopo aver ripulito le rive del Lambro nel parco, si è spostata a San Donato e a San Giuliano Milanese. Da giorni i tecnici dell'ARPA e del Parco della valle del Lambro stanno prelevando e analizzando la fauna ittica e portando in laboratorio campioni del fondo fangoso del fiume o prelevati dalle pozze morte del fiume dove questo rallenta o si ferma. Il progetto del comune per la trasformazione del parco in polmone verde per l'estate è stato sospeso; innanzitutto i tecnici dell'ARPA devono assicurarsi che il parco sia un luogo sicuro per la salute.  Domenica 28 aprile nuove sostanze inquinanti sono state versate nel fiume. Nel tardo pomeriggio, infatti, è avvistata nel Lambro una macchia scura di schiuma bluastra che punta al depuratore di San Rocco. Un team di tecnici si mette subito al lavoro per individuarne la provenienza, l'hovercraft della protezione civile risale la corrente e si alza anche un elicottero. Il sospetto, per i tecnici dell'ARPA è che si tratti di materiale di scarico da tintoria versato nelle acque da un'azienda tessile della zona. Le prime analisi confermano le ipotesi; ciò significa, con molta probabilità, che qualcuno ha approfittato del disastro sul Lambro per sbarazzarsi di rifiuti pericolosi, evitando così il pagamento di poche migliaia di euro. Le tonnellate di gasolio fuori uscito dalla raffineria, trasformata in un centro di stoccaggio, ammontano a 3000; dipendenti ed ex dipendenti sono stati interrogati nella procura di Monza.
Gli esperti dicono che la situazione idrologica attuale del Po può favorire l'attenuazione del fenomeno acuto di inquinamento, ma non necessariamente attenua il problema dell'impatto a lungo termine sull'ecosistema: l'accumulo di idrocarburi nei sedimenti potrà rappresentare una sorgente di esposizione a sostanze tossiche per un periodo molto lungo. In sostanza, anche se le stime della Protezione Civile fossero esatte, e cioè che oltre 300 tonnellate di materiale oleoso sono state intercettate, parecchia schifezza ha inquinato il Po e arriverà fino al Delta e al mare.

Secondo le autorità l'ipotesi più attendibile è quella di sabotaggio; infatti l'apertura dei rubinetti è un lavoro molto delicato e complesso, ed è quasi impossibile che essi si siano aperti per puro caso; inoltre bisogna tener conto del fatto che le sette cisterne svuotate erano le uniche che contenevano ancora petrolio. L'ex raffineria, ormai soltanto deposito, non avrebbe dovuto contenere tutti quei litri di petrolio per una normativa della Regione che gli imponeva la fine dei lavori di raffinazione,e quindi un minor "possedimento" di greggio nelle cisterne; inoltre si è scoperto che la Lombarda Petroli è fuori legge da sette anni: il certificato prevenzione incendi, infatti, scaduto nel 2003, non è più stato rinnovato; per ottenere questo certificato bisogna che tutto (dispositivi, sistemi e impianti antincendio) sia a norma; la Lombarda Petroli quindi, non poteva operare. Inoltre nel 2009 l'ex raffineria, è uscita dalla direttiva di Seveso che regolamenta l'attività delle ditte a rischio; uscendone, una ditta evita adempimenti burocratici e finanziari, misure di sicurezza e controlli obbligatori; per poter uscire l'azienda avrebbe dovuto avere nelle cisterne meno di 2500 metri cubi di materiale, invece ne aveva di più, ancora non totalmente quantificati; per poter svincolarsi dalla direttiva basta anche un' autocertificazione, cui devono seguire controlli a campione nel corso degli anni; ma allora chi ha vigilato come ha potuto non accorgersi che mancava il certificato prevenzione incendi o che il petrolio contenuto nelle cisterne era di gran lunga maggiore a quello consentito? Secondo la magistratura, non risulterebbero controlli in questo ultimo anno.
Insistono gli ambientalisti e gli inquirenti: il disastro si sarebbe potuto evitare se la Lombarda Petroli avesse contattato le aziende di spurgo per il pronto intervento o comunque circoscrivere; la prima ondata di gasolio è arrivata al depuratore di San Rocco intorno alle 4.00 del mattino di mercoledì 24 febbraio, e la sua presenza è stato subito notata, ma in un primo momento, secondo l'ipotesi dei magistrati, non si sarebbero prese contromisure adeguate. In passato gli addetti all'impianto di depurazione hanno dovuto più volte fronteggiare emergenze simili, e in quelle occasioni, non una goccia di petrolio ha oltrepassato la barriera rappresentata dalle vasche. Giovedì 4 marzo sono stati sentiti dai magistrati i dipendenti e gli amministratori di Brianzacque; sono stati poi sentiti gli autisti delle aziende che stoccavano gli idrocarburi nelle cisterne di via Caravaggio.
Di fianco all' azienda doveva sorgere un'area ecologica, la "Ecocity Villasanta Monza" e si pensa che chi abbia agito lo abbia fatto con lo scopo di sabotare il recupero dell'area, sicuramente interessata a possibili speculazioni immobiliari. E' un iniziativa che riguarda un terreno di 309mila metri quadrati di terreno, prevista proprio sui territori della Lombarda Petroli. Su quell'impianto e sui terreni che la circondano dovrebbero sorgere appartamenti, capannoni industriali, negozi e un grande centro direzionale. I primi 80mila metri quadri dedicati all'industri sono stati realizzati, e a breve aprirsi il cantiere per la costruzione della zona residenziale, altri 36mila metri quadri. Entro due anni dovrebbe essere aperto il cantiere che porterà alla costruzione dell'ultima parte, quella direzionale. Il sospetto che dietro al sabotaggio ci sia un qualche interesse legato al futuro di quest’area è la principale pista seguita dalle forze dell'ordine; la magistrature punta quindi il dito contro i direttori del progetto di risanamento ‘Ecocity’, i fratelli Adamiano.
A due mesi dall'incidente non c'è traccia nè dei finanziamenti promessi da Formigoni per la bonifica delle acque del Lambro,  nè della mano che la notte tra il 23 e il 24 febbraio ha manomesso le cisterne della raffineria.

DANNI ALLA FLORA E ALLA FAUNA

I delta dei fiumi sono dei veri concentrati di natura e biodiversità; non per nulla, in tutta Europa, i delta del Danubio, del Guadalquivir, dell'Ebro , del Volga e del Reno sono protetti con importanti parchi nazionali e riserve naturali. Per quanto riguarda il nostro paese, il Parco del delta del Po e quello dell'Emilia-Romagna tutelano il complesso deltizio più importante d'Italia. Pensate dunque a quello che potrà succedere ora che l'onda nera penetrerà, silenziosa e maleodorante, in quest'intrico di canali e rami, si espanderà nelle valli da pesca. Sulle barene e sugli arginelli coperti di salicornia, gabbiani rosei e avocette, cavalieri d'Italia e sterne giunti in migrazione dall'Africa, si imbatteranno tra breve per la conquista del luogo di nidificazione. Numerose sono le vittime anche tra le beccacce di mare, i corrieri, i fratini, i fraticelli e, soprattutto, le anatre selvatiche, i germani reali, le alzavole, i mestoloni e le marzaiole, ceh sono adesso in arrivo dal Sud, a rischiare di restare impegolati nell'orrida macchia nera. Non saranno, però, solo gli uccelli a soffrire : rane e rospi, testuggini acquatiche e pesci (spigole dorate, anguille e cefali) subiranno gravi danni, mentre sul fondo la coltre nera colpirà vongole e molluschi di varia specie. I primi a risentire del disastro ambientale che ha colpito il Lambro sono i cormorani, centinaia (ormai quasi tutti), le cui ali, ora nerissime e appesantite dal gasolio, sono un ostacolo anziché un peso; il becco già intriso di veleni, che sono poi avanzati fino al fegato, facendolo esplodere. Una morte in fuga dai vigili del fuoco e dai volontari che li inseguivano per salvarli, fuori e dentro l'acqua. La possibilità di sopravvivenza per gli ultimi uccelli, anch'essi sfuggiti alla mano salvatrice dei vigili del fuoco, è appesa ad un filo.