Alla luce delle novità rappresentate sul versante economico dalla crescente invadenza dell' economie emergenti, Cina India sembrano imporsi a livello globale in un modo altrettanto esemplare in campo tecnologico. Consci dello schiacciante predominio degli Stati Uniti la loro scelta appare orientata a una collaborazione in cui ognuna delle due nazioni si specializza in quello che sa produrre meglio, piuttosto che ad una aperta concorrenza reciproca. Quindi, messa da parte la tradizionale rivalità, India e Cina hanno pensato che la ragione di stato poteva essere accantonata in previsione di profitti futuri. L'ex colonia britannica sta rapidamente diventando una nuova grande potenza economica: la diffusa conoscenza della lingua inglese e un buon tasso di istruzione tecnico-scientifica hanno fatto sì che molte aziende americane e inglesi abbiano deciso di delocalizzare nel territorio indiano alcuni servizi fondamentali e che siano nate non poche delle più importanti aziende informatiche del pianeta, tanto che persino Microsoft ha deciso di spostarvi la propria produzione. In India, il settore Information Technology occupa circa 1 milione di persone e secondo studi di settore, il mercato di outsourcing, (assegnazione della gestione di determinate attività o processi produttivi a imprese esterne, al fine di concentrare le proprie risorse su attività a maggior valore aggiunto) nei prossimi 4 anni salirà ad una forza lavoro di 4 milioni di persone, arrivando a rappresentare il 7% del PIL indiano complessivo. Questa è la nuova India, un paese che conosce un tasso di crescita con pochi paralleli in altre nazioni del mondo. Secondo questa storia, aprendosi al libero mercato e così, salvando la sua economia dalla stagnazione, l’India ha dimostrato di poter essere, sul palcoscenico dell’economia mondiale, una potenza formidabile. Forse, come è stato detto, è l’Occidente a rimanere indietro nel gran gioco economico, conosciuto come globalizzazione. Ciò nonostante, forse, questa rosea immagine dell’India soddisfa troppo bene la rigida retorica dell’Occidente sullo sviluppo e sulla globalizzazione: il mondo è un mercato e l’India sta raccogliendo i suoi guadagni. Se queste due parole -sviluppo e globalizzazione- significano che le persone dei paesi poveri hanno accesso ad una maggiore quantità di beni di consumo, allora l'attuale crescita dell'India è un successo strepitoso. Ma se per qualche folle caso parole come -sviluppo e globalizzazione- fossero anche marginalmente legate al progresso della libertà umana, accesso incondizionato e universale a ciò che è necessario alla vita umana e alla mobilità sociale, allora l’attuale crescita dell’India sarebbe un fallimento e sarebbero poste le basi per un fallimento e una disuguaglianza ancora peggiori. Tuttavia, la distanza attuale tra i due Paesi in termini di capacità di attrarre capitali esteri è attualmente nella misura di 10 a 1  a favore della Cina, ma ci sono già buone indicazioni che tale differenza è destinata a ridimensionarsi col tempo.


Micro-chipss

 

Hardware   &   Software

 

Oggi, come tutti sappiamo, la Cina ha puntato sull’hardware mentre l’India sul software. La Cina è attualmente il terzo mercato mondiale per i semiconduttori e la produzione di chip. La cinese Lenovo con l’acquisizione del settore PC di IBM è balzata al terzo posto mondiale dei produttori di hardware e se volessimo inglobare la valutazione con il concetto di “Greater China” includendovi anche Taiwan e Hong Kong, l’incidenza crescerebbe ulteriormente (si pensi ad Acer, top venditore nella fascia dei notebook PC). Lenovo primeggia unicamente in Cina ed occupa la terza posizione con una quota mondiale del 7,5 per cento, sempre nel trimestre in questione. In India, il settore Information Technology (IT) occupa circa un milione di persone e secondo studi di settore, il mercato di outsourcing nei prossimi quattro anni salirà vertiginosamente a 57 miliardi di dollari di fatturato con una forza lavoro di 4 milioni di persone, arrivando a rappresentare il 7 per cento del PIL indiano complessivo.  In totale, il complesso delle esportazioni IT  indiane è attualmente di circa 10 miliardi di dollari mentre la controparte cinese - ma solo in questo ambito - raggiunge 1,5 miliardi di dollari. Al momento, a Bangalore (India) ci sono circa 150.000 ingegneri IT, una quota nettamente superiore a quella della rinomata Silicon Valley (California) con circa 120.000 professionisti, ma con una differenza di salario 8 volte superiore a parità di occupazione. Tra l'altro, oltre 1/3 del lavoro di sviluppo software per conto delle multinazionali USA è svolto in India. Le università indiane sono in grado ogni anno di “sfornare” 3,1 milioni di laureati in ingegneria, una quota che è largamente superiore a quella cinese, e si prevede che l’apporto del maggiore Asset Nazionale ( il capitale umano) sia destinato a raddoppiare in termini numerici entro il 2010. I nuovi nomi della tecnologia indiana quali Infosys, Tata, Wipro, Satyam Computer Services sono sempre più conosciuti al di fuori dei confini nazionali (non solo da americani e inglesi). A questo punto, è doveroso domandarsi come si presume possa essere l’atteggiamento reciproco di questi due nuovi colossi mondiali. Per il futuro, continueranno a rispettarsi o cominceranno una guerra commerciale? La risposta più semplice e più vantaggiosa è sicuramente quella della “partnership strategica” piuttosto che “concorrenza strategica”.                                                                                                                                           Tale intendimento è stato espresso dal Primo Ministro cinese Wen Jianbao durante una recente visita in India e mira a rafforzare la cooperazione  con un accordo che punta a raggiungere 30 miliardi di $ (20 volte il livello iniziale del 2000) nel 2010. A questo punto, le conseguenze di un tale accordo, qualora vedesse il suo completo coronamento, sono molto importanti, in quanto la riuscita dello stesso accordo comporterebbe lo “smarcamento” dell’India dal principale e attuale partner commerciale (gli Stati Uniti, per l’appunto) per dirottarsi prioritariamente verso il nuovo alleato cinese. Dal canto suo, la Cina non vedrebbe l’ora di allentare l’invadenza americana nell’area asiatica, per creare un nuovo assetto economico e, con l’andare del tempo, anche politico. Uno dei grossi limiti per lo sviluppo di entrambi i Paesi è la ridotta quota di investimenti assegnata alla Ricerca e Sviluppo (meno dell’1% del PIL nel caso di Cina e India) che dovrà forzatamente crescere per raggiungere gli obbiettivi desiderati. Ne risulta, quindi, che Cina e India si completano a vicenda e che il loro rapporto è complementare per molti versi e non conflittuale e dalla loro sinergia può dipendere il successo di molte iniziative. Il mondo occidentale si interroga sul destino del proprio futuro e c’è chi si preoccupa dei “nuovi arrivati” o chi propone di accettarli inserendoli con gradualità nel contesto della comunità internazionale. Forse, sarebbe meglio affrontare la realtà e puntare su una solida e fattiva collaborazione con questi Paesi perché, come ha ricordato il Premier indiano Manmohan Singh nel corso del summit India – Regno Unito: “La nostra relazione è speciale e possiede un potenziale enorme. Entrambi i governi sono determinati a porre in essere questo potenziale a vantaggio dei nostri popoli e per rafforzare la nostra relazione”. Dalle parole ai fatti: nella stessa giornata sono stati siglati un Memorandum of Understanding sullo sviluppo sostenibile, un accordo sui servizi aerei, un intesa sulla coproduzione di film e, infine, un accordo sui diritti sulla proprietà intellettuale.