APPLICABILITA' DEI DIRITTI UMANI IN AFRICA

L’universalità dei diritti umani
I principi universali dei diritti umani rispecchiano una visione eurocentrica ed occidentale, dato che la loro origine risale ai testi fondamentali inglesi della Magna Charta (1215) e dell’Habeas Corpus Act (1679) e a quelli della rivoluzione americana e francese. Inoltre va riconosciuto che nella stesura della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 ebbero voce in capitolo soltanto tre stati africani (Egitto, Etiopia e Liberia) e che sostanzialmente si tratta di un documento delle potenze vincitrici della Seconda guerra mondiale.
A causa della sua estensione ed eterogeneità, solo con riserva è possibile considerare il continente africano un’entità unica in riferimento a cultura e tradizioni normative. I punti di maggiore attrito con l’interpretazione dominante dei diritti umani riguardano. Il diverso valore attribuito all’individuo; la compenetrazione, in una società, di diritti e doveri; il significato della dignità; la questione dello sviluppo.


Una donna africana, con sua figlia

Diritti, doveri e dignità dell’individuo in Africa
In Africa l’organizzazione delle società tradizionali ruota intorno alla comunità, mentre l’individuo assume, rispetto al gruppo di appartenenza un ruolo subordinato. La posizione di ciascuno è definita dalla funzione svolta e i privilegi derivano dall’adempimento dei doveri, dall’età e dallo status. Non si può affermare che l’uomo in Africa non sia tutelato o i diritti non siano garantiti. Il fatto stesso di appartenere a un gruppo dà la sicurezza di poter parlare la propria lingua, professare la propria religione e o educare i bambini secondo la propria cultura. Questi diritti, tuttavia, non sono sempre stati garantiti, come nel caso del popolo Akkan nel Ghana, alla cui tradizione  appartenevano sacrifici umani rituali, o dei Dinka del Sudan dai quali venivano praticate discriminazione secondo il sesso, l’origine e l’età. In base a una tradizione della condivisione, rappresenta invece un garanzia l’obbligo di prestare aiuto e assistenza nelle situazioni di emergenza, ciò che in parte vale anche nei confronti degli stranieri. Ne consegue la difesa del popolo rispetto a governi irregolari e dell’individuo rispetto al gruppo. Molte di queste tradizioni sono tuttora vive in luoghi poco toccati dalla globalizzazione. Nelle regioni più industrializzate e urbanizzate, invece, questo sistema tipicamente rurale, se non è del tutto scomparso, si sta sbriciolando. Dove si sostituiscono Stati forti, dove le forme economiche redistributive vengono soppiantate da quelle acquisitive, dove al consenso si sostituisce la competizione politica e giuridica, dove si perde la società solidale guidata da un vecchio del villaggio, allora sia l’individuo sia le comunità devono cercare la propria tutela nel diritto: in un diritto, però, interpretati alla luce della cultura locale, meno orientato all’individualismo occidentale.

Diritti allo sviluppo
In Africa, in molti settori lo sviluppo è sicuramente necessario, come dimostra il fatto che quasi tutte le nazioni si trovano al livello più basso in una statistica composita , a cura delle Nazioni Unite, che tiene conto di tre indicatori principali: la speranza di vita alla nascita, il livello di istruzione e il livello di vita. I governi africani riconducono l’attuale situazione dei diritti umani, in merito a povertà, educazione e situazione di emergenza, anche alla repressione economica e giuridica dell’epoca coloniale. L’appello al diritto, allo sviluppo e al sostegno da parte dei dominatori di allora viene spesso respinto dall’Occidente in quanto ritenuto una drammatizzazione intesa a sollecitare le nazioni ricche a una cooperazione allo sviluppo.

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OPPRESSIONE E SFRUTTAMENTO: L’EPOCA COLONIALE.

 L’esplorazione e la colonizzazione del continente africano hanno avuto estese conseguenze sul rispetto dei diritti umani delle popolani locali. Nonostante il compito di civilizzazione che l’invasore europeo si era imposto alla maggior parte degli abitanti del continente nero furono negati , sin dopo la Seconda guerra mondiale, i fondamentali diritti politici , economici, sociali e culturali. Per di più raramente erano previste pene per le violazioni, le violenze e le uccisioni perpetrate dalle truppe coloniali. A seconda del dominatore e dello scopo della colonizzazione, diverse furono le conseguenze sulla popolazione indigena. A patire una pesante violazione dei diritti umani non furono però solo le colonie di immigrazione bianca come Congo, Guinea Equatoriale Francese, Kenya, Sudafrica, e Zimbabwe; l’appropriazione indebita  da parte degli europei delle migliori aree di appartenenza tribù locali per la creazione di nuovi insediamenti, fattorie e piantagioni, era un fatto consueto in tutto il continente. Non era raro neanche il reclutamento forzato di africani da mandare a lavorare nelle fattorie dei bianchi o nella costruzione di infrastrutture, o da utilizzare come manodopera straniera nei pesi vicini o come soldati in Etiopia, nell’Africa nordoccidentale, in India e in Birmania. I vecchi del villaggio che opponevano resistenza, venivano sistematicamente internati o costretti all’esilio. Vi ero poi discriminazione in base al colore della pelle nella retribuzione salariale. Inoltre le potenze coloniali decidevano arbitrariamente i prodotti da coltivare nelle loro proprietà, non solo per garantire che non si facesse concorrenza all’economia della madre patria, ma anche per accrescere la produzione da esportazione, pesantemente tassata.

 
LA FASE POSTCOLONIALE

I diritti umani in Africa in epoca postcoloniale
Sovrani autocratici, corruzione, violenze, torture, guerre civili, genocidi, profughi, fame, mancanza di istruzione, AIDS, discriminazioni, repressione di culture, e distruzione delle infrastrutture comunque insufficienti resero spesso impossibile la vita e annientarono le speranze di sviluppo e il dinamismo dei primi anni di indipendenza. I problemi politici , la necessità di sicurezza e lo sviluppo economico vennero addotti per dare una nuova interpretazione ai diritti e alle libertà, o per bandirli totalmente dalle costituzioni. L’apatia della popolazione africana rispetto a tali abusi può forse essere in parte spiegata dalla precedente quotidiana violazione dei diritti umani in epoca coloniale. Si instaurarono così numerosi regimi militari e sistemi con partito unico, che sacrificarono libertà e diritti alla ricerca dell’integrazione e dell’indipendenza militare. In Guinea, in Kenya, in Malati, nella Repubblica Centrafricana, nella Repubblica Democratica del Congo e in Uganda presero il potere sovrani autocratici, mentre Ghana, Liberia, Nigeria e Sudan passarono sotto il controllo dell’esercito. La negazione delle libertà di stampa, di riunione, di associazione, di opinione ed espressione, l’annullamento delle elezioni, arresti arbitrari, torture omicidi politici furono le conseguenze della perdita della democrazia.

Disordini e violenza
In numerosi stati come l’Etiopia, la Guinea Equatoriale, la Repubblica Centrafricana e l’Uganda, i dittatori non hanno rinunciato al terrore al fine di indebolire l’opposizione e mandarne gli esponenti in esilio. A partire dal 1980 nell’Africa subsahariana hanno avuto luogo più di 28 conflitti. Paesi come Angola, Ciad, Etiopia, Liberia, Mozambico, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Sierra Leone, Somalia, Sudan e Uganda sono stati dilaniati per anni da guerre civili e sia i ribelli sia le truppe governative hanno commesso innumerevoli violazioni dei diritti umani, quali omicidi, rapimenti, mutilazioni, violenze carnali, intenzionale distruzione dei beni di proprietà. Nelle situazioni di conflitto i bambini sono i più colpiti: sicurezza, assistenza sanitaria e istruzione vengono sacrificate ed essi diventano vittime delle più brutali violazioni dei diritti umani o vengono costretti a praticarle. Anche le donne spesso sono vittime di maltrattamenti fisici e sessuali: in Sierra Leone, per esempio gli stupri rientravano nella politica di terrore attuata dalle truppe mercenarie dell’una e dell’altra parte. Le conseguenze inevitabili di tale violenza generalizzata sono la morte di migliaia di civili durante le azioni di guerra, la distruzione di città intere, l’abbattimento di infrastrutture (scuole, ospedali, abitazioni, strade) e il ristagno dell’economia, che a sua volta costringe migliaia di persone all’esodo ed infine il crollo dello stato. Dal 1998 le vittime sono state quasi 4 milioni, la maggior parte delle quali, però, non direttamente a causa di azioni di guerra, bensì per denutrizione e malattie.

Conflitti etnici e genocidi
Mentre in Asia si contano 43 minoranze e nel resto del mondo 32, nella sola Africa nera vi sono ben 74 minoranze (escludendo sottogruppi e gruppi monori). La grande eterogeneità del continente, la debolezza dello stato, le coalizioni multietniche deboli, le maggioranze o minoranze dominanti e l’eredità del colonialismo ha fatto sì che gli scontri fra comunità siano sostanzialmente più diffusi in Africa che in altre regioni del mondo. Questi conflitti sboccano spesso in genocidi; esempi più noti sono quelli del Ruanda nel 1994, del Sudan nel 1956, del Darfur nel 2003 e in Nigeria durante la guerra del 1967-1970. Razzie, incendi di villaggi, rapimento di persone istruite sospettate di sostenere i ribelli, dono le violenze dei diritti umani compiute insieme all’affamamento della popolazione e ai massacri.


Viaggio di profughi stretti tra i janjaweed arabi e i ribelli africani

 Profughi e sfollati
In Africa si contano tra 5 e 9 milioni di profughi e 15 milioni circa di sfollati. Si tratta di persone provenienti da paesi colpiti da guerre, conflitti, violazioni dei diritti umani, carestie, siccità; paesi in cui contemporaneamente entrano profughi di altre nazioni. Sfollati e rifugiati si trovano a fare i conti soprattutto con un insufficienza di approvvigionamento idrico, di cibo e di abitazioni, e con la mancanza di assistenza sanitaria e istruzione, a cui si aggiungono i contrasti con la popolazione locale per la distribuzione dei servizi. Avendo alle spalle esperienze di violenza, i profughi spesso vengono considerati un rischio per la sicurezza  nel paese di destinazione e la loro libertà di muoversi è ripetutamente soggetta a limitazioni, talvolta vengono addirittura deportati. I profughi sono per la maggior parte donne e bambini, esposti al rischiosi abusi fisici e sessuali durante la fuga ma anche nel paese ospite. Spesso in cambio di protezione o documenti vengono pretese prestazioni sessuali: a donne in lotta per la sopravvivenza, altre volte, non resta che la strada della prostituzione. Le conseguenze sono malattie sessualmente trasmesse, gravidanze indesiderate, isolamento e depressione.
 

 

Diritto al giusto processo
Non è raro che in Africa si contravvenga alle garanzie di un giusto processo; spesso le decisioni  spettano all’amministrazione e all’imputato non viene concessa alcuna audizione in tribunale né difesa. La difficoltà di trovare tutela giuridica deriva dal fatto che le definizioni di un crimine sono volutamente lasciate nel vago, per poter accusare più facilmente i singoli, oppure la giustizia viene amministrata caso per caso, in modo da poter condannare a morte un avversario politico. Che i cittadini africani non si ribellino a questo stato di cose è dovuto in parte al timore nei confronti dello stato, e in parte a pura ignoranza, riconducibile a un’istruzione insufficiente, ma anche all’assenza di istituzioni di difesa dei diritti. Infine regolarmente si assiste a casi di morte in prigione, persecuzioni, carceri stracolme, abusi da parte dei compagni di cella e custodia di minorenni con criminali adulti.

Schiavitù e lavoro forzato
L’ultimo stato da cui la schiavitù è stata ufficialmente bandita è la Mauritania, nel 1980. Nonostante ciò in alcuni stati la schiavitù esiste tuttora come commercio di esseri umani per prostituzione, lavori pesanti presso abitazioni e industrie , attività illegali, commercio di organi e altre forme di sfruttamento.
Il lavoro forzato è stato reintrodotto, dopo essere stato abolito dai dominatori coloniali, sotto un altro nome col pretesto dell’interesse e del benessere pubblico: si parla così di servizio civile. Per giustificarlo, vari stati hanno appositamente modificato costituzioni e leggi: trasformazioni favorite dal fatto che in Africa il lavoro è riconosciuto come un dovere e in alcuni stati, come per esempio il Gabon, il Madagascar e la Repubblica Centrafricana, l’inoperosità è penalmente perseguibile.


Congo: istruzione primaria

Istruzione e alfabetizzazione
L’obbligo scolastico universale anche in Africa nel 1996 e diventato legge in tutto il continente. Dall’indipendenza le iscrizioni alla scuola primaria hanno registrato grandi progressi: il Nordafrica è passato in media dal 62% al 94% e i paesi subsahariani dal 45% al 74 %. Una statistica dell’Unesco riferita all’anno 2002 attesta che esistono situazioni molto disparate: infatti stati come la Somalia (9%), in Gibuti ( 42%), il Burkina Faso (46%) hanno un tasso di iscrizione piuttosto basso; ci sono invece 19 stati che eccellono con iscrizioni superiori al 100% del numero dei bambini in età scolare (l’Uganda ha il 141%), ma questo è anche indice dell’enorme ritardo da recuperare, si iscrivono cioè anche ragazzi più grandi o adulti. Le iscrizioni alla scuola secondaria nel 1965 meno del 10%, nel 2002 sono arrivate al 32%. Significativi sono poi i dati ripartiti secondo il sesso. Dove, nel 2002, era iscritto a scuola il 98% dei ragazzi in età scolare, le ragazze erano l’85%. Vari paesi hanno sviluppato strategie per colmare questo divario, così come anche il divario tra popolazione urbana e popolazione rurale. I principali motivi che costituiscono la decisione per le famiglie più povere di non mandare a scuola un figli sono le malattie, la denutrizione, i costi d’opportunità troppo elevati e dei programmi estremamente teorici e intensivi. Nelle campagne il rischio di abbandono scolastico è anche maggiore, soprattutto per le bambine. Costituiscono un deterrente per queste ultime i doveri da assolvere nell’ambito dell’economia domestica, le norme culturali, le gravidanze e un sistema scolastico che tende a eliminare le ragazze dagli studi. Occorre inoltre ricordare che gli stessi insegnanti o compagni di scuola sono in molti casi responsabili di molestie e violenze sessuali, impedendo alle ragazze di studiare e creando loro difficoltà. Uno stanziamento maggiore di fondi a favore dell’istruzione nella maggior parte dei casi non è possibile, a causa dei problemi di natura economica e della poca importanza attribuita dai governi a questa voce di spesa ritenuta improduttiva. Insegnanti impreparati, infrastrutture insufficienti, assenza o insufficienza di materiali e classi sovraffollate, ne sono la conseguenza. L’alta percentuale di ripetenti e il ristretto numero di coloro che passano all’istruzione terziaria, rappresentano ulteriori debolezze del sistema scolastico africano. La carenza di laureati viene accresciuta dall’emigrazione di migliaia di specialisti. Un ostacolo enorme sulla via dell’istruzione universale è rappresentato dall’HIV/AIDS, oltre alle condizioni. Considerato questo complesso di fattori, la percentuale di alfabetizzazione in Africa è notevolmente più bassa rispetto al resto del mondo.

 

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Povertà e salute
In un’epoca di crescente globalizzazione e ricchezza, in Africa tra il 6,7% (Tunisia) e l’87% (Zambia) della popolazione vive sotto la soglia di povertà. Guerra e distruzioni, disordini politici, profughi, cattiva amministrazione, criminalità e corruzione, per citare solo alcune cause, hanno contribuito a creare questa situazione. Opportunità e parametri diversi rispetto all’economia internazionale, una maggiore dipendenza dal commercio,  misure protezionistiche applicate dai paesi industrializzati e debiti paralizzanti, sono comunque fattori da citare per comprendere perché molti stati africani non riescano a uscire dalla spirale della miseria. Sono state determinanti anche la cattiva gestione economica e le guerre, che hanno reso impossibile l'agricoltura, distrutto i raccolti e minato la solidarietà. vittime della denutrizione sono soprattutto donne e bambini, a causa dei rapporti di forze impari, dei redditi minimi per le donne sole e della loro condizione sociale in genere più umile; ne derivano una crescita fisica ridotta, uno sviluppo mentale deficitario e una maggiore esposizione alle malattie. questi fattori insieme a un insufficiente approvvigionamento idrico, sono la causa principale dell'alta mortalità infantile. Nell'Africa meridionale la speranza di vita si è ridotta drasticamente a causa dell'HIV/AIDS. Ma l'AIDS non incide soltanto sulla durata della vita. da una parte la sua diffusione è strettamente connessa alla violazione dei diritti umani: la prostituzione forzata, l'abuso degli operai del sesso, gli stupri o la credenza che avere un rapporto sessuale con una vergine possa portare alla guarigione, sono tutti comportamenti che contribuiscono alla diffusione della malattia , insieme alla scarsa informazione e al dilagare degli abusi sessuali nelle prigioni. Dall'altra gli ammalati sono oggetto di discriminazione nella società, in particolare sul posto di lavoro. Le donne i cui mariti sono morti di AIDS vengono ripudiate dalle famiglie e i loro figli privati del diritto di successione. Questi ultimi, inoltre, vengono discriminati a scuola, oppure, nel caso in cui i genitori siano morti entrambi o siano troppo deboli per lavorare, sono obbligati a cercare un lavoro per sopravvivere. dei 38 milioni di ammalati di AIDS nel mondo, 25 milioni si trovano nell'africa subsahariana.


Tabella della popolazione mondiale che vive con meno di un dollaro
al giorno

 

Discriminazioni sessuali e tradizione
diverse tradizioni di varie regioni africane sono in contrasto con i principi fondamentali dei diritti umani: si ricordi il matrimonio di bambini, l'obbligo per le vedove di risposarsi con un parente prossimo, il divieto per le donne di ereditare o possedere beni, la poligamia, il pagamento di un prezzo per la sposa o il prediligere i figli maschi rispetto alle femmine. Questi popoli, appellandosi al diritto di esprimere la propria cultura, rifiutano ogni ingerenza. una delle pratiche più note e discusse  è quella dell'infibulazione. Il fatto che spesso sia praticata con lamette da barba, coltelli da cucina, pezzi di vetro o pietre aguzze in situazione tutt'altro che igieniche e indolori, mostra come l'operazione non sia affatto priva di pericoli. Le conseguenze, osservabili da subito o nel lungo periodo, possono essere molteplici e portare addirittura alla morte: ed è la stessa donna infibulata a esserne ritenuta responsabile. La maggior parte delle donne, cresciute nella tradizione dell'infibulazione non possono o non vogliono opporsi a questa pratica: troppo forti sono la pressione sociale e il rischio di passare per "sporca" o prostituta e quindi essere causa di ignominia per la famiglia e non potere trovare marito. In alcune culture, soltanto attraverso questo rituale una ragazza può essere accolta nel gruppo delle donne. Anche se madri e suocere esercitano spesso una forte influenza sulla sopravvivenza di queste tradizioni, uno dei maggiori problemi per la donna africana è rappresentato dall'intoccabilità del marito. Il potere decisionale del marito si estende  fino ai temi della sessualità e della contraccezione con poche possibilità da parte delle donne di discuterne: il sesso è un diritto dell'uomo. E quando l'uomo fa uso della violenza fisica contro la moglie o le figlie, essa viene immediatamente vista come la "meritata" conseguenza di un loro comportamento.