Il grande successo internazionale delle imprese monopolistiche nipponiche è un fattore di prima importanza per il rifinanziamento del sistema bancario nazionale. Infatti il Giappone realizza due grosse eccedenze nei conti correnti con l’estero. La prima riguarda le esportazioni nette di merci e servizi, mentre la seconda concerne il flusso netto in entrata di redditi da investimenti effettuati all’estero.

Ambedue le eccedenze sono, principalmente, il prodotto delle multinazionali del paese. Nel caso delle esportazioni nette di merci si nota come il Giappone riesca a combinare con notevole efficacia le attività delle filiali estere delle proprie multinazionali con le esportazioni. Contrariamente agli Stati Uniti ed alla Gran Bretagna, il Giappone - come pure, ma in minor misura, la Germania - non pone l’attività di investimento estero in conflitto con le esportazioni dal suolo nazionale. In realtà gli investimenti esteri nipponici hanno anche l’obiettivo di rafforzare le esportazioni. In primo luogo essi creano domanda estera per macchinario e tecnologia nipponica (quando una multinazionale giapponese investe in Thailandia o in Cina o negli USA deve comprare macchinari in Giappone che diventano quindi esportazioni nipponiche verso i paesi di investimento) cui si deve aggiungere il flusso permanente di prodotti intermedi importati dalla casa madre.

Le società giapponesi sanno benissimo che il miglior modo per minimizzare i trasferimenti di tecnologia e mantenere quindi un dominio oligopolistico nei mercati, è di conservare in casa propria la matrice tecnologica. Di conseguenza la produzione nazionale dei beni di capitale essenziali non viene messa in discussione. In secondo luogo gli investimenti esteri vengono effettuati per aumentare lo spazio di domanda finale più di quanto possa venire prodotto dalla filiale locale così da imporre il ricorso alle importazioni dalla madrepatria. Attualmente il Giappone ha stretto un' importante Alleanza con gli Stati Uniti, oggi diventato un loro importante partner commerciale e politico.

Su questi due terreni le multinazionali nipponiche sono, per il momento e per molti anni ancora, imbattibili. La capacità e volontà politica di controllare la propria matrice produttiva e tecnologica facendo perno sullo stato nazionale ha dato luogo, in Giappone, ad una controtendenza rispetto alla crescita netta del subappalto all’estero. La percentuale di produzione industriale nipponica subappaltata all’estero rispetto a quella nazionale è aumentata in misura inferiore agli altri paesi malgrado la vicinanza ed estrema apertura della Cina. La tendenza a non decentralizzare, almeno non nella misura degli USA e anche di altri paesi capitalisti europei, è, in parte sostenuta dal flusso in entrata di redditi da investimenti effettuati all’estero. Infatti la strategia delle multinazionali nipponiche sebbene abbia avuto un notevole successo per le imprese stesse non ha però sollevato il paese dalla stagnazione ne' ha impedito una stagnazione nella dinamica delle esportazioni espresse in dollari. Quindi la difesa della posizione internazionale del Giappone nonché del cash flow del suo sistema finanziario ha dipeso, in misura non secondaria, dal rimpatrio di redditi prodotti da investimenti effettuati all’estero. Nell’eccedenza della bilancia dei pagamenti  nipponica tale flusso ha assunto un’importanza crescente a partire dal 1994 fino a tutto il 2002. Solo la recente ripresa delle esportazioni giapponesi collegate alla crescita cinese ha ridato fiato alla quota spettante alle esportazioni nette di merci.