Il Giappone è emerso dalla povertà che opprime la maggioranza della popolazione mondiale per unirsi al ristretto gruppo di nazioni sviluppate. Già prima della seconda guerra mondiale il paese era diventato una potenza internazionale, con livelli di vita e produttività comparabili a quelli europei e americani. Ma la crescita economica è stata molto maggiore nel dopoguerra. Dal 1953, quando l’output giapponese ha raggiunto i livelli antecedenti la guerra, fino al 1973, il paese ha avuto una crescita economica molto superiore alla media dei paesi sviluppati. Sicuramente molti sono i fattori e le particolarità che hanno contribuito a raggiungere tali risultati.

Una breve analisi storica del dopoguerra mostrerà come il Giappone sia molto debitore agli Stati Uniti nella creazione delle fondamenta per la crescita economica; le riforme adottate dalla forza di occupazione resero il paese più democratico, con una economia più competitiva. Con l’inizio della guerra fredda, poi, gli americani cercarono di fare del Giappone un paese forte contro l’avanzata del comunismo.
L’attività del governo è il primo dei fattori che sarà preso in esame per cercare di dare una spiegazione alla crescita sorprendente del dopoguerra. I piani economici del dopoguerra hanno portato molti a definire il Giappone come un paese ad economia pianificata. Il governo ha anche appoggiato molto l’industria, fornendo guida e assistenza governativa e permettendo, attraverso il MITI (Ministero dell’Industria e del Commercio Internazionale), la formazione di cartelli.

 L’analisi della particolare struttura dell’industria giapponese metterà in luce l’importanza dei gruppi chiamati “Keiretsu” e del loro “Main Bank System”, e la netta distinzione tra piccole e grandi imprese, che viene a formare quella che sarà chiamata “doppia struttura”. La struttura dell’industria e le relazioni economiche all’interno delle imprese e tra le industrie saranno descritte seguendo in particolare la teoria di Ronald Dore, che distingue il “Sistema orientato all’organizzazione” dei giapponesi dal “Sistema orientato al mercato” tipico delle aziende occidentali. Anche il mercato del lavoro, che sarà analizzato facendo particolare riferimento all’analisi svolta da Michio Morishima, è caratterizzato da una doppia struttura, con le assunzioni “a vita” e i “salari di anzianità” caratteristica delle grandi imprese, assunzioni temporanee e bassi salari nelle piccole imprese. La possibilità di sfruttare i lavoratori con bassi salari delle piccole e medie imprese anche da parte delle grandi aziende, attraverso il sistema dei subcontratti, verrà esaminata come uno dei possibili fattori della crescita economica.
Un elemento molto evidente nel periodo della crescita sono gli alti tassi di risparmio. Verranno prese in considerazione alcune delle possibili cause che sembrano essere state all’origine di risparmi così alti. Particolare attenzione sarà però rivolta alla teoria secondo cui è stata la crescita a generare i risparmi, e non il contrario.
Successivamente verranno analizzate altre teorie che cercano di spiegare il boom economico. Particolarmente interessante ho trovato la teoria di Yoshikawa, il quale considera lo spostamento della popolazione dalle campagne verso le zone industriali e la formazione di nuove famiglie indipendenti come i fattori principali della grande crescita.

Il Giappone oggi si trova a fare i conti con questi numeri: nel 2001 sono fallite diciannovemila imprese, il numero più alto dal 1984; la disoccupazione al 5,6% record degli ultimi cinquant'anni; sempre del 2001 la produzione manifatturiera è crollata del 8% la più bassa dal 1975; la deflazione è fra il 3-4%. In Giappone, la forte esposizione finanziaria del sistema bancario, ha portato al tragico Crac del 1997 con il fallimento di migliaia di aziende e il conseguente aumento della disoccupazione, nonché una compressione del potere d'acquisto. Dopo il Crac lo Stato è intervenuto a sostegno della domanda interna (un altro scellerato caso di domanda artificiale) con fortissimi investimenti, tanto da creare un debito pubblico di "proporzioni italiane"! Il debito pubblico giapponese si sta avvicinando al 140% del PIL.