Negli ultimi decenni il Giappone è stato segnato da una rapida crescita economica. La produzione industriale si è andata orientando dall'industria leggera, principalmente quella tessile su cui si era basato a fine Ottocento il primo sviluppo, all'industria pesante e di base (metallurgia, siderurgia, chimica e petrolchimica, cantieristica navale), alla produzione automobilistica, componentistica ed elettrica, che rappresentano complessivamente almeno i due terzi del valore totale annuo delle esportazioni. Grande spinta hanno avuto anche gli investimenti nell'industria ad alta tecnologia (elettronica, microelettrica, informatica, delle telecomunicazioni e aerospaziale).

 

    
 Immagine fronte e retro 2000 yen.

 

Nel 2000 il prodotto interno lordo del Giappone era di 4.841.583 milioni dollari USA, il secondo al mondo, pari a un PIL pro capite di 38.160 dollari USA.  Il flusso del turismo giapponese è caratterizzato invece da un forte squilibrio: all'inizio del 1990 i visitatori stranieri in Giappone erano oltre 4 milioni ogni anno, mentre erano circa 12 milioni i giapponesi in viaggio all'estero; il turismo ha generato così un reddito annuo di 3,4 miliardi di dollari, mentre la spesa dei viaggiatori giapponesi superava i 22,5 miliardi di dollari. L'inflazione, già da anni costantemente molto bassa, nel 1995 era del -0,5. La struttura dell'economia giapponese ha visto una dozzina di famiglie di possidenti, chiamate zaibatsu ("la cricca ricca"), occupare una posizione dominante sino al termine della seconda guerra mondiale. Fra le più importanti vi erano quelle Mitsui, Iwasaki (dietro alla quale si è sviluppato il marchio aziendale Mitsubishi), Sumitomo e Yasuda, che controllavano la quasi totalità delle industrie del ferro, del carbone, dell'alluminio e della carta e che, all'indomani della fine della guerra, furono costrette dalle forze alleate d'occupazione a far confluire le loro immense proprietà in società. L'organizzazione di queste società ha di fatto ricreato una posizione di forte dominio dell'economia nazionale, controllata questa volta, invece che dalle antiche famiglie, dai consigli di amministrazione delle società e dai funzionari del molto influente Ministero dell'Industria e del Commercio Estero (MITI).  Da un punto di vista dell'organizzazione del lavoro bisogna dire che la debolezza delle associazioni sindacali ha non poco contribuito ai successi del sistema industriale giapponese, il quale senza il peso di forti rivendicazioni sindacali, ha potuto essere fortemente competitivo sui mercati mondiali. Oggi però la situazione è alquanto cambiata: mentre nel 1946 il numero degli iscritti alle associazioni sindacali era di quasi 3,7 milioni, nel 1994 sono diventati quasi 12,5 milioni, pari a circa il 20% della popolazione attiva. Le principali confederazioni sindacali del paese si sono fuse nel 1987 in un organo unitario, la Federazione nazionale dei sindacati del settore privato, nota col nome di Rengo.