È appurato che i Cinesi non conobbero il Buddha prima dell'era cristiana; non si sa tuttavia con esattezza quando la nuova religione sia penetrata in Cina. Nel IIsec. d.C. essa si impose come una specie di doppione del taoismo dal quale, quando i suoi testi furono tradotti in lingua cinese, trasse gran parte della propria terminologia. L'elaborazione delle tradizioni buddhiste nella lingua cinese deve essere considerata uno dei fatti più rilevanti nella storia della cultura umana poiché permise a due civiltà autonome, benché mai completamente isolate, di venire a contatto. L'influenza del buddhismo in Cina fu tuttavia contenuta dalla diffusione del confucianesimo e del taoismo. La Cina fornì un grosso contingente di monaci e monache e diede numerosi contributi originali alla meditazione buddhista. La pietà buddhista per il dolore che regna nel mondo sviluppò tra i Cinesi un nuovo senso della carità umana (il bodhisattva Avalokitesvara divenne, in Cina, la dea Kuan-yin, patrona di coloro che soffrono).
Nonostante le reazioni ostili (nel 444, nel 626 e soprattutto nell'845), il culto indiano fu accettato e divenne parte integrante del patrimonio spirituale cinese; fu sovente sostenuto dalle dinastie non strettamente indigene. Quando il buddhismo disparve dall'India, continuò a sopravvivere in Cina associato ai culti popolari, mentre nel Tibet e nella Mongolia fu conservato sotto la nuova forma del lamaismo.
Le scuole buddhiste cinesi. Le diverse forme di buddhismo cinese non corrispondono esattamente alle confraternite o scuole anteriori dell'India. La Cina conobbe il buddhismo quand'esso aveva ormai assunto una fisionomia completa e definitiva; non bisogna però dimenticare che il buddhismo non fu portato in Cina in modo ordinato e organico, ma venne introdotto disordinatamente e in periodi diversi, secondo l'arbitrio dei pellegrini e dei traduttori e non secondo l'ordine in cui era stato elaborato. I testi sacri portati a conoscenza dei cinesi dal II al X sec. assunsero valore diverso da quello che avevano nel loro ambiente originario, poiché furono interpretati isolatamente e in maniera frammentaria, in ambienti disparati, più o meno simpatizzanti col taoismo.
Il problema più importante per l'anima indiana (come sottrarsi alla trasmigrazione) e la soluzione proposta dal buddhismo (il nirvana) non potevano essere compresi e apprezzati negli altri paesi come lo erano stati in India. Il buddhismo originario cercava la liberazione dal ciclo delle esistenze; quello cinese si propone la ricerca della felicità .
Diamo ora un elenco delle principali scuole buddhiste cinesi, alcune delle quali hanno un carattere spiccatamente originale.
La scuola della terra pura: si basa su un ciclo di sutra, diffuso in Cina soprattutto dal traduttore Kumarajiva (inizio del V sec.). Si ispira alla figura di un buddha mahayana forse di origine iranica, Amitabha ("Luce senza limiti"), che presiede al paradiso occidentale (sukhavati o terra pura) le cui attrattive esercitarono profonda suggestione sui fedeli dell'Estremo Oriente. La setta, basata quasi solamente su forme rituali, indicava nella devozione popolare la via della salvezza.
La scuola del t'ien-t'ai (giapponese tendai): dalla seconda metà del VI sec. ai nostri giorni essa conobbe costante evoluzione, conciliando lo studio con la meditazione e conservando un buddhismo molto puro, che non esclude elementi idealistici e realistici.
La scuola del vinaya: risale al VII sec. e dà più importanza alla disciplina pratica che alla fede e alla conoscenza.
La scuola tantrica o esoterica: comune alla Cina e al Tibet a partire dall'VIII sec., raccolse tutti gli elementi più complessi della religiosità indù ed esaltò ogni forma di magia.