MARCO POLO E LA VIA DELLA SETA

 

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Il viaggio di Marco Polo attraverso l’Asia centrale, la Cina e il sud-est asiatico rappresenta l’esperienza centrale della sua vita. Marco Polo nasce a Venezia nel 1254, da Niccolò Polo, il quale, nel 1261, parte con il fratello Matteo per portare un carico di pietre preziose nei territori attorno al basso corso del Volga. Partono da Soldaia (l’odierna Sudak), si fermano a Sarai (oggi Astrakan), in seguito a Bolgara (capitale dei Bulgari del Volga), a Bucara ( capitale del regno di Ciagatai sotto il Kan Buraq) e giungono infine a Ciandu (Shang-tu) dove fanno la conoscenza di Kublai, quinto Gran Kan dei Mongoli (dopo Cinghiscan, o Gengiscan, capostipite della dinastia). Nel 1269, i fratelli tornano a Venezia dal quindicenne Marco. Due anni dopo, il giovane Polo partirà con il padre e lo zio verso l’Asia centrale. Arrivati a Chemenfu ( vale a dire Ciandu, residenza estiva di Kublai), dopo la consegna da parte di Niccolò e Matteo di alcune lettere del papa Gregorio X, il padre di Marco dichiara che il giovane è suo figlio e servitore del Gran Signore. Marco dimostra di essere un ragazzo valente e intelligente: si appropria con facilità “dei costumi tartari, della lingua e della scrittura di quelle regioni”, durante i viaggi compiuti per lo svolgimento dei compiti che gli sono affidati osserva, raccoglie informazioni per soddisfare la propria curiositas e l’ansia di conoscere, ma anche perché ha capito che lo stesso Gran Kan è più interessato alle “notizie sugli usi e costumi di quei paesi che delle ambascerie mandate così lontano”.

“Dopo essere rimasti alla corte del Gran Kan per tutto il tempo che avete udito, Nicolò, Matteo e Marco Polo decisero di ritornare al loro paese. Più volte domandarono il permesso al Gran Kan con persuasive parole; ma egli li amava tanto, ed era così lieto di averli presso di sé, che per nulla al mondo li avrebbe lasciati partire”. Dopo essere riusciti a convincere il Gran Kan, nel 1295, i Polo tornano in patria, avendo svolto la loro ultima missione: accompagnare la principessa Cocacin, figlia di Kublai, nel paese di Argon, Ilkan di Persia. Bolgana, la moglie di questi, anch’essa parente del Gran Kan, era morta ed il re, dovendosi risposare, aveva pregato il gran Kan di mandargli una dama della stessa stirpe della regina. I fratelli Polo e Marco accompagnarono dunque la principessa Cocacin da Giava alla Persia in un viaggio di diciotto mesi. Arrivati in Persia trovarono il re Argon morto. La giovane dama andò in sposa a Chiacatu, figlio di Argon.

A Venezia, Marco Polo rimase coinvolto in uno scontro con navi mercantili genovesi o, secondo altre fonti, nella battaglia di Curzola: fu fatto prigioniero dai genovesi e, in carcere, nel 1298, conobbe Rustichello da Pisa, al quale dettò il racconto del suo viaggio, originariamente intitolato Divisament dou monde, la descrizione del mondo. Rustichello era un cantastorie di favole medievali, ed era dunque abituato ad arricchire la narrazione introducendo particolari fantastici come mostri, avvenimenti miracolosi o leggendari e descrizioni di cruente battaglie. Può darsi che parte dell’immaginario mondo dello scrittore Rustico sia entrato nella “descrizione del mondo” di messer Marco, ma ciò che il Veneziano ha visto deve essergli sembrato più grande e strabiliante di qualunque altra cosa al mondo, e tale devono averla immaginata i contemporanei che hanno potuto, grazie al Milione, far viaggiare la fantasia attraverso contrade in cui, secondo messer Marco, pascola l’unicorno. Ancora, può essere che il giovane viaggiatore abbia frainteso qualcosa, o che, non avendo capito, si sia dato spiegazioni che vanno aldilà del reale, ma viveva d’altronde in un’epoca che condannava le streghe e credeva a chissà quante altre a cose cui noi, attraverso gli occhi delle scoperte scientifiche e del razionalismo, abbiamo smesso di credere.

Marco Polo rimane comunque un uomo dotato di una straordinaria memoria che gli ha permesso di ricordare e di raccogliere in un libro, il Milione, le merveilles, meraviglie, del mondo, il riassunto di un viaggio durato ventisei anni. Fra l’altro il nome che oggi usiamo è posteriore alla stesura: risale al periodo in cui Marco ricominciò a lavorare al suo libro e, fra le varie aggiunte e  cambiamenti, cambiò anche il nome. Il “Milione” deriva dal secondo nome del ramo dei Polo, Emilione.

Marco viene liberato nel 1299 e fa ritorno a Venezia dove, nello stesso anno, sposa Donata Badoèr dalla quale ha tre figlie, Fantina, Bellella e Moreta. Muore nel 1324, a settant’anni. Fra i suoi beni, oltre a proprietà, stoffe e oggetti orientali, vengono ritrovate le piastre d’oro che il Gran Kan consegnava a quelli che viaggiavano per lui, affinché fosse loro consegnato tutto il necessario per il viaggio attraverso le sue infinite terre.

 

“Ora che vi ho narrato il prologo è venuto il momento di passare al libro vero e proprio. E qui lo comincio.” Marco Polo, infatti, ci racconta nei primi diciannove capitoli il viaggio del padre e dello zio, il loro ritorno a Venezia con l’incarico di chiedere al papa Clemente l’invio di “cento uomini savi” nelle terre del Gran Kan per istruire i popoli di quei luoghi sulle cose della religione cristiana. La madre del Gran Kan, infatti, era di religione cristiana. Marco Polo ci dice che il Gran Signore non si professava credente di alcuna religione per non creare scompiglio all’interno delle sue terre, abitate da credenti di più religioni: cristiani nestoriani, di rito greco, georgiani e giacobini, maomettani ( o saraceni) cioè musulmani, cui Marco polo è ostile per ragioni politiche e religiose, e idolatri, cioè buddisti e induisti; altrimenti, come Marco Polo sottolinea, Kublai  avrebbe aderito alla religione materna“perché, dice, essa non comanda cosa che non sia piena di ogni bontà e santità”. Il Papa Clemente era però morto in quei mesi. I Polo aspettarono tre anni l’elezione del nuovo Papa ma dovettero poi ripartire. Portarono con loro alcune lettere della Santa Sede che certificavano che il compito non era stato svolto poiché il Papa non era ancora stato rieletto. In questi capitoli, Marco Polo ci racconta anche del suo arrivo a Ciandu e del ritorno a Venezia. Dopodiché inizia l’ordinata descrizione delle terre che ha visitato ( o di cui ha sentito parlare da persone fidate: la Russia, la provincia di Oscurità, cioè la Siberia, Zanzibar e il Giappone).

 

Visitate la grande e la piccola Armenia, la Turcomannia (cioè la Turchia), il regno di Mosul (in Iraq) e la Giorgiania, messer Marco si ferma a Baldac, l’odierna Baghdad, dove vive il califfo dei musulmani. A Baldac è fiorente il commercio di tessuti preziosi come le sete, i broccati, i damaschi e i cremisini intessuti d’oro e le perle. Vi vivono uomini di scienza che, con il loro studio, permettono gli scambi culturali. Baldac era all’epoca culturalmente più vivace di molte città europee. Marco Polo arricchisce la narrazione con aneddoti come questo: l’Ilkan Alau, dopo aver conquistato con molta fatica la città, vide che il Califfo dei Saraceni conservava in una torre enormi quantità di oro, argento e altre ricchezze. Chiuse il Califfo nella torre senza cibo né acqua: suo unico cibo sarebbe stato l’oro che tanto bramava. Dopo quattro giorni il Califfo morì. Quello fu l’ultimo Califfo di Baghdad. A Baldac risiedeva anche un vescovo cristiano.

 Il viaggio continua attraverso la Persia, divisa in otto regni: regno di Casvin, di Curdistan, di Lor, di Sulistan, di Isfaan, di Serazi, di Soncara e Turocain. In Persia vivono splendidi cavalli  e asini. Si passa poi a Balc ( l’odierna Balkh in Afganistan ) dove Alessandro sposò la figlia di Dario. Alessandro Magno attraversò questi territori nella sua avanzata verso il centro dell’Asia, e ancora al tempo di Marco Polo tutti i re della provincia di Balascian ( l’odierno Badakhshan ) vengono chiamati Zulcarnein, che, in arabo, significa “bicorne”,  come veniva chiamata l’immagine di Alessandro Magno sulle monete. Tappa seguente è il Chescimur ( cioè il Kashmir), regione attualmente divisa tra l’India e il Pakistan, sede di numerosi conflitti. Gli abitanti sono idolatri e sono in grado di controllare il tempo con la magia; le donne sono molto belle. Vi sono molti monasteri buddisti dove vivono i monaci. Qui si commercia il corallo.

Samarcanda, nell’Uzbekistan, era governata dal nipote del Gran Kan. A causa dei cattivi rapporti fra i due, spesso insorgevano sanguinosi litigi e guerre. Gli abitanti erano sia musulmani che cristiani. La città era molto grande e ricca, con stupendi giardini pieni di piante. Quando Ciagatai, re della città prima dell’arrivo di Marco Polo, si era convertito al cristianesimo, gli abitanti cristiani della città, per festeggiare, avevano costruito una chiesa in onore di S.Giovanni Battista. Per costruire la colonna centrale di questa chiesa avevano utilizzato una pietra sacra ai musulmani. Questi, dopo la morte di Ciagatai, pretesero fermamente la restituzione della pietra. Dato che senza quel pilastro la chiesa sarebbe crollata, i cristiani piansero e pregarono molto. Nel giorno fissato per la restituzione, per  miracolo, la struttura della chiesa rimase in piedi nonostante la rimozione del pilastro.

Per proseguire il loro viaggio attraverso l’Asia centrale, i viaggiatori sono costretti ad attraversare il deserto del Gobi, che Marco Polo chiama deserto di Lop (vicino alla città di Lop, oggi

Charklik, nei pressi del lago Lop Nur, che non ha una sede fissa ma occupa uno spazio che varia secondo il regime dei fiumi che lo alimentano) o Gran Deserto. Marco Polo ci dice che si impiega un anno ad attraversarlo. Il cibo e l’acqua sono scarsissimi e si rischia di perdersi a causa di allucinazioni e spiriti maligni ingannevoli.

Si passa poi nella provincia di Tangut, corrispondente al Turkestan cinese, in cui si trova la città di Saciu (Sha-Chou). Gli abitanti sono perlopiù idolatri, ma vi sono anche cristiani nestoriani e musulmani. Si occupano di coltivare il terreno, molto fertile, con cereali ma non  di commercio. Gli idolatri hanno l’usanza di cremare i loro morti. I parenti del defunto accompagnano la salma in una lunga processione e addobbano il luogo attorno alla pira con sete preziose. Bruciano anche cibo, vino e immagini di denaro, cavalli e montoni: credono che nell’aldilà il morto riceverà gli stessi onori che ha ricevuto nel giorno del funerale. Per decidere il giorno in cui celebrare un funerale (o un matrimonio) gli idolatri si affidano ad alcuni astrologi che leggono i segni delle stelle e in base a questi consigliano il giorno adatto.

Marco Polo si sofferma sulle città di Ciandu e di Cambaluc, residenza estiva del Gran Kan la prima, sua corte la seconda. Come abbiamo detto, Ciandu, o Chemenfu, corrisponde a Shang-tu. Il palazzo estivo del Gran Signore è immerso in un grande giardino ricco di alberi e ruscelli. Il Gran Kan è solito andare a caccia fra questi alberi: gli animali che usa più spesso per cacciare sono i girifalchi, che fa addestrare. Il palazzo ha molte stanze, fatte di marmo e pietra; le stanze sono tutte riccamente decorate d’oro. Attorno al Gran Kan si riuniscono astrologi e incantatori che sono in grado di rendere bello il tempo “con la loro forza di incantamento”.

 La “grande città di Cambaluc”, da Khan balik, città del Kan, è oggi Pechino. Ha dodici grandi porte dalle quali partono molte strade, in grado di raggiungere ogni parte del regno. Poiché la città è la sede della corte del Gran Kan, vi confluiscono mercanti da ogni parte del mondo. Qui sono arrivati, infatti, i Polo. Vi arrivano perle e gemme dall’India e “gli oggetti più strani e preziosi dal Catai e dalle altre province”, per non parlare della seta (mentre scarseggiano lino, cotone e canapa). “Non è da stupire dunque se Cambaluc è l’immenso emporio che abbiamo descritto”.

Fra le tante cose che stupiscono messer Marco ma non noi, c’è la moneta usata dal Gran Kan: estremamente moderno, il Gran Signore “fa spendere carta invece di moneta”, cioè usa la cartamoneta piuttosto che i metalli preziosi coniati. I “foglietti” del Gran Kan hanno un valore fisso, mentre le monete cambiano potere d’acquisto a seconda della quantità di metallo prezioso contenuta. Il Gran Kan può far stampare infiniti “foglietti” per facilitare il commercio senza temere l’inflazione. 

Prima di passare alla descrizione delle province più interne delle terre di Kublai, Marco Polo si dilunga nella descrizione delle usanze del Gran Kan il suo modo di andare a caccia, di amministrare il regno, i suoi collaboratori, i suoi figli, le sue mogli, la disposizione a tavole dei componenti della famiglia secondo l’importanza, i suoi nemici, le feste per il suo compleanno e per il capodanno, i motivi per cui non è un credente di alcuna religione e la descrizione dei suoi palazzi.

Le province centrali dei domini del Gran Kan sono: Catai, Mangi, Cuncun, Sindufu, Tebet, Gaindu, Caragian, Zardandan, Bangala,  Caugigu, Aniu, Toloman e Ciugiu. C’è poi la descrizione di contrade che non riguardano la via della seta o che Marco Polo non ha visitato personalmente (ma ne ha sentito parlare da persone fidate) come l’India, le isole del sud-est asiatico Giava e Sumatra, il Giappone (negli anni in cui Marco Polo percorreva l’Asia centrale il Gran Kan ordinava di conquistare il “Cipangu” per ben due volte; in entrambi i casi la spedizione non ebbe un buon esito), la Russia, la Siberia, i territori dell’Orda d’Oro, Zanzibar, Mogadiscio e altre. Possiamo però soffermarci sulla descrizione di alcune province.

Il Catai, la Cina del Nord, il cui nome deriva dai Khitan, popolazione altaica, è la provincia in cui si trova Cambaluc. Vi si pratica il commercio, specialmente nella capitale. Il Mangi, la Cina del sud, ha come capitale Chinsai. La popolazione è idolatra e vive grazie all’agricoltura (vi crescono lo zenzero,il frumento, il riso e altri cereali), alle arti e al commercio. Chinsai significa “città del cielo”; la città è molto ricca: infatti ha un perimetro di cento miglia ed è attraversata da canali e strade vastissime. Vi sono dodicimila ponti di pietra e di legno. Nelle dieci piazze e nelle grandi strade si tiene il mercato  dove gli abitanti “comprano ogni cosa buona, ogni specie di vettovaglie:caprioli, cervi, daini, lepri, conigli, pernici, fagiani, francolini, coturnici, galline, capponi e infinite oche …vi sono poi le macellerie di animali grossi … tutte le specie di erbe e frutti, pere grandissime … e al loro tempo pesche gialle e bianche molto delicate”. Per non parlare di spezie, gioielli, perle, pepe e vino di riso: Marco Polo è seriamente impressionato da tale abbondanza di merci. Vi vivono anche medici, astrologi e artigiani.

Il Tebet (cioè il Tibet) è una regione devastata dalla guerra di Mongu Kan. Gli abitanti sono “gente idolatra, fieramente cattiva”, perché rubano e uccidono senza considerarlo una colpa. Le uniche attività praticate sono l’allevamento e poca agricoltura. Nella contrada vivono strane bestiole, che gli abitanti chiamano “gudderi”, che fanno un muschio molto profumato. La provincia è arretrata. Non si usano, infatti, né la cartamoneta né la moneta di metallo, ma il sale. I vestiti sono fatti di pelli di animali o di tessuti grossolani. Gli abitanti parlano il Tebet, loro lingua d’origine, e non il Tartaro. In alcune zone di questa vastissima provincia, però, vi sono città e castelli dove si pratica il commercio ( si producono tessuti di pelo di cammello e di seta intrecciata d’oro, che si trova nel letto dei fiumi, e spezie che Marco Polo non aveva mai visto). Si radunano qui “i migliori astrologi di tutte le province circostanti” che fanno magie tanto strabilianti che Marco si rifiuta di parlarne per non spaventare la gente del nostro paese.

Il Tebet è solo un esempio della varietà delle terre Gran Kan. I domini del Gran Signore si estendono in lungo e in largo per tutta l’Asia, non solo quella centrale; vanno ben oltre i territori toccati dalla via delle seta e quindi questo non è il luogo per riassumerli tutti.

 

Non si può negare che la storia del giovane Veneziano che a soli diciassette anni aveva già visitato, o era in procinto di visitare, la maggior parte del mondo allora conosciuto è davvero strabiliante. E’ molto più strabiliante pensare che questo giovane ha poi messo per iscritto, con uno stile molto catalogico, tutto ciò che ha visto, indirizzandolo ai suoi contemporanei, come possiamo vedere nei punti in cui egli si rivolge a loro, per spiegarsi meglio o per avvisarli dell’omissione di qualche informazione che potrebbe spaventarli. Marco Polo tiene i suoi lettori per mano in questo grande viaggio attraverso l’Asia. E i lettori si lasciano condurre senza fare resistenze, impegnandosi per capire i punti più difficili o strani e per superare i problemi legati alla traduzione. Infatti manca l’originale del Milione e per questo ogni nuova versione o traduzione è riprodotta sulla “copia della  copia …” senza possibilità di confronto con un testo primo. Molti nomi propri hanno “lettura incerta” e a molti toponimi non corrisponde un punto esatto sulla cartina geografica. Il fato ha voluto che il Milione fosse “il Grande Testo Morto”, come lo chiama Giorgio Manganelli nella sua prefazione al “Milione” edito da “Editori Riuniti”. Nelle sue innumerevoli traduzioni ( il testo franco-italiano, la versione del copista Grégoire, quella toscana, veneta, di frate Francesco Pipino da Bologna, del Ramusio e il codice zeladiano) l’Asia perfetta di Marco Polo diventa incerta e sfuggente. L’originale di ciò che Marco ha visto è sparito per sempre: l’Asia, in continuo movimento, ha fatto in modo che non rimanesse memoria di alcun attimo rimasto uguale per sempre.

 

                                                                                                                    Maria Margherita Cardella

Fonti:

 

-         Il Milione di Marco Polo di Maria Bellonci (Oscar Mondatori).

-         Il Milione                         di Marco Polo (Editori Riuniti).

 

                                                                                                     

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