Italo Svevo apre un nuovo mondo della letteratura italiana,
egli rinnova radicalmente il romanzo, creando il romanzo d'avanguardia: con La
coscienza di Zeno al tempo oggettivo sostituisce il tempo della coscienza e del
monologo interiore; distrugge la trama tradizionale e struttura il romanzo sulla
successione di una serie di tematiche importanti nella vita di Zeno; anche il protagonista
è differente dagli statici e oggettivi personaggi dell'Ottocento, e ha la problematicità
e l'apertura di quelli novecenteschi.
Egli è dunque il fondatore del romanzo novecentesco italiano e nello stesso tempo il
romanziere italiano più europeo del nostro Novecento.
Italo Svevo |
La vita
Aron Hector Schmitz nacque a Trieste il 19 dicembre 1861 da Francesco Schmitz,
commerciante in vetrami, e Allegra Moravia, entrambi di origine ebraica. Quinto di otto
figli, trascorre un'agiata infanzia a Trieste, che abbandona per andare in collegio
in Germania, dove studia materie legate alle attività commerciali. Poco incline ai suoi
studi, si dedicò ad appassionate letture di scrittori tedeschi, Goethe, Schiller, Heine,
Jean Paul, dimostrando così il suo forte interesse letterario.
Nel 1878, terminati gli studi, ritornò a Trieste, dove si iscrisse all'Istituto superiore
per il commercio Pasquale Revoltella, che frequentò per due anni. La sua reale
aspirazione era divenire scrittore: nel 1880 diede inizio ad una collaborazione con
il giornale irredentista triestino "L'Indipendente", con articoli letterari e
teatrali, firmati con lo pseudonimo Ettore Samigli.
Nello stesso anno il fallimento del padre lo costrinse a cercar lavoro e a impiegarsi
presso la succursale triestina della banca Union di Vienna. La nuova insoddisfacente
occupazione lo portò a cercare un'evasione nella letteratura, frequentando la biblioteca
civica e leggendo i classici italiani e i maggiori narratori francesi dell'Ottocento.
In questo periodo scrive le prime novelle e il romanzo, Una vita, lucido racconto
del dramma dell'inurbamento di un giovane di campagna che si concluderà con il suicidio,
iniziato nell'88 e pubblicato a sue spese nel '92, anno in cui era morto suo padre, con il
nome di Italo Svevo.
Nel dicembre 1895 si fidanzò con la cugina Livia Veneziani, figlia di un industriale
cattolico dirigente di una fabbrica di vernici sottomarine. Svevo entra così a far
parte di una solida e ricca borghesia, dalla quale avverte una distanza tale da redigere
nel 1896 un Diario per la fidanzata, nel tentativo di colmare la distanza
attraverso l'educazione della fidanzata all'inquietudine intellettuale.
Nel luglio del '96 avviene il matrimonio con rito civile, e solo nel '97, dopo l'abiura
della religione ebraica, con rito cattolico; due anni dopo Svevo pubblica a puntate
sull'Indipendente il suo secondo romanzo, Senilità, che poi stampa a
proprie spese.: storia dell'amore di un non più giovane letterato per la sfuggente
Angiolina, dalla prorompente vitalità, da molti identificata con Giuseppina Zergol, una
ragazza triestina con cui l'autore ebbe una relazione prima di conoscere la futura
moglie.
L'insuccesso del romanzo e il matrimonio lo allontanano dalla letteratura, e nel 1899
entra a far parte della ditta del suocero: nella nuova veste di uomo d'affari compie
lunghi viaggi in Francia e in Inghilterra.
Nel 1905 a Trieste conosce Joyce, che insegna inglese alla Berlitz School e gli dà
lezioni d'inglese: l'amicizia con lo scrittore irlandese e la curiosità da questi
manifestata per le sue opere mantengono viva la sua passione per la letteratura. Poco dopo
Svevo comincia ad appassionarsi al pensiero di Freud,
e dopo essere venuto a conoscenza delle sue teorie, induce il cognato Bruno Veneziani a
sottoporsi a terapia e a rivolgersi direttamente al fondatore della psicoanalisi a Vienna.
Durante la guerra rimane a Trieste a occuparsi della fabbrica.
Nel 1919 si apre la fase di ritorno alla letteratura. Nel 1923 viene pubblicato La
coscienza di Zeno: dopo il disinteresse iniziale manifestatosi in Italia per questo
romanzo, Joyce, che al tempo viveva a Parigi, si adoperò per farlo conoscere fra i
critici francesi, mentre in Italia la sua grandezza veniva riconosciuta dal giovane
Eugenio Montale, con cui strinse una grande amicizia.
Nel 1927 tiene una conferenza su Joyce a Milano e pubblica una nuova edizione di Senilità.
Ormai in condizione di salute malferma, ebbe un incidente d'auto al ritorno da Bormio:
morì il 13 settembre 1928 in seguito a complicazioni cardio-respiratorie.
Il riconoscimento della sua opera fu così tardivo che, sebbene già negli anni '30 i
critici ne avessero riconosciuta l'importanza, solo dopo gli anni cinquanta fu conosciuto
dal grande pubblico.
La cultura e la poetica
E' possibile ricostruire la cultura di Svevo attraverso l'epistolario, il Profilo
autobiografico, scritto negli ultimi anni di vita, e articoli e saggi composti in tre
periodi: il primo, fino al 1899, coincide con la collaborazione all'
"Indipendente" e a altre riviste; il secondo è il periodo del silenzio
letterario, fra il 1899 e il 1918, nel quale Svevo di dedicò alla stesura,
incompleta, di alcuni saggi; e infine l'ultimo, fase della collaborazione con la Nazione,
e dei saggi scritti negli ultimi dieci anni di vita.
Attraverso le sue opere, e in particolare attraverso l'apologo politico La tribù,
o i saggi L'uomo e la teoria darwiniana e La corruzione dell'anima, la
cultura di Svevo rivela un apparente aspetto contraddittorio: infatti egli da un lato fu
studioso del positivismo, di Darwin e del marxismo; dall'altro di Schopenhauer e di
Nietzsche.
Charles Darwin |
Subì inoltre, soprattutto negli ultimi anni,
l'influenza di Freud, il quale era portatore
sia di elementi positivisti, quale la necessità di ricondurre lo studio a chiarezza
scientifica, che antipositivisti, come l'evidenziamento dei limiti della ragione rispetto
al potere dell'inconscio.
In realtà lo scrittore assunse gli elementi critici e gli strumenti di diversi pensatori,
e non il loro pensiero complessivo.
Infatti Svevo condivise con Darwin, con il positivismo in genere e con Freud, la
propensione all'utilizzo di metodi scientifici di conoscenza e il rifiuto di una visione
metafisica, spiritualistica, senza però accettare la fiducia darwiniana nel progresso e
la presunzione del positivismo di fare della scienza una base oggettiva e indiscutibile
del sapere.
Nel racconto La tribù, uscito nel 1897 sulla rivista teorica del socialismo
italiano "Critica sociale", in cui viene rifiutato il percorso graduale
attraverso cui l'umanità potrà giungere al socialismo, e viene proposto di cominciare
dalla fine, saltando le tappe intermedie, lo scrittore palesa di non aver accettato il
marxismo come soluzione sociale, ma solo come strumento e come prospettiva critica di
giudizio sulla civiltà europea e sui suoi meccanismi economici e sociali.
Arthur Schopenhauer |
Stessa selezione aveva compiuto anche nei
confronti del pensiero di Schopenhauer, dal quale imparò a osservare i caratteri della
volontà umana, a verificare come ideali e programmi siano determinati non da motivazioni
razionali, ma da diversi orientamenti della volontà, i quali spingono poi gli uomini fino
a ingannare se stessi e a rimanere prigionieri delle proprie illusioni: se nei suoi
romanzi Svevo mira sempre a smascherare gli autoinganni dei suoi personaggi e a smontare
gli alibi psicologici che essi si costruiscono, dipende certo dalla forte influenza del
filosofo.
Problematico fu il rapporto con la psicoanalisi, che pure ebbe
un ruolo così importante nella sua riflessione e nella sua scrittura letteraria: verso
Freud lo spingeva l'interesse per le tortuosità e le ambivalenze della psiche profonda,
che già aveva esplorato prima della nascita delle teorie psicoanalitiche in Una vita
e in Senilità.
Ma Svevo non apprezzò la psicoanalisi come terapia, che pretendeva di portare alla salute
il malato di nevrosi, bensì come puro strumento conoscitivo, capace di indagare più a
fondo la realtà psichica, e, di conseguenza come strumento narrativo. L'autore
riconosce infatti nell'ammalato pulsioni vitali che verrebbero spente dalla terapia.
Nella lettera a Valerio Jahvier, letterato italiano che risiedeva a Parigi, con il quale
aveva intrapreso una corrispondenza epistolare, Svevo discute di psicoanalisi e esprime i
suo pareri:
Egregio Signore, Non vorrei poi averle dato un consiglio
che potrebbe attenuare la speranza ch'Ella ripone nella cura che vuole imprendere. Dio me
ne guardi. Certo è ch'io non posso mentire e debbo confermarle che in un caso trattato
dal Freud in persona non si ebbe alcun risultato. Per esattezza debbo aggiungere che il
Freud stesso, dopo anni di cure implicanti gravi spese, congedò il paziente dichiarandolo
inguaribile.
(...)Perché non prova la cura dell'autosuggestione con qualche dottore della scuola di
Nancy? Ella probabilmente l'avrà conosciuta per ridere. Io non ne rido. E provarla non
costerebbe che la perdita di pochi giorni.
Letterariamente Freud è certo più interessante. Magari avessi fatto io una cura con lui.
Il mio romanzo sarebbe risultato più intero.
E perché voler curare la nostra malattia? Davvero dobbiamo togliere all'umanità quello
che essa ha di meglio? Io credo sicuramente che il vero successo che mi ha dato la pace è
consistito in questa convinzione. Noi siamo una vivente protesta contro la ridicola
concezione del superuomo come ci è stata gabellata (soprattutto a noi italiani).
(...)Ma intanto - con qualche dolore - spesso ci viene di ridere dei sani. Il primo che
seppe di noi è anteriore al Nietzsche: Schopenhauer, e considerò il contemplatore come
un prodotto della natura, finito quanto il lottatore. Non c'è cura che valga. Se c'è
differenza allora la cosa è differente: Ma se questa può scomparire per un successo (p.
e. la scoperta d'esser l'uomo più umano che sia stato creato) allora si tratta proprio di
quel cigno della novella di Andersen che si credeva un'anitra male riuscita perché era
stato covato da un'anitra. Che guarigione quando arrivò fra i cigni!
Mi perdoni questa sfuriata in atteggiamento da superuomo. Ho paura di essere veramente
guastato (guarito?) dal successo.
Ma provi l'autosuggestione. Non bisogna riderne perché è tanto semplice. Semplice è
anche la guarigione cui ella ha da arrivare. Non Le cambieranno l'intimo Suo «io». E non
disperi perciò. Io dispererei se vi riuscissero.(...)
Anche sul piano del gusto letterario e delle scelte di poetica
Svevo muove da maestri diversi: da un lato i realisti e i naturalisti ( Balzac, Flaubert e
Zola); dall'altro invece Bourget, creatore del romanzo psicologico e Dostoevskij, che
aveva scandagliato le piaghe più riposte della psiche umana.
Nell'ambito della letteratura italiana l'opera di Svevo segna
proprio il trapasso dal verismo a una nuova visione e descrizione del reale, più
analitica e introversa, svincolata da certe cristallizzazioni tradizionalmente presenti
nella narrativa, quali il personaggio, le ordinate categorie temporali, l'univocità degli
eventi: si tratta naturalmente di un'acquisizione progressiva, poco visibile nel suo primo
libro, nettissima nella Coscienza di Zeno.
I dati realistici - la raffigurazione dei vari ceti (borghesi o popolari che siano), la
rappresentazione dell'ambiente, le descrizioni degli accadimenti - vanno incontro, nelle
pagine di Svevo, a una crescente interiorizzazione, vengono cioè usati sempre più come
specchi per chiarire i complessi e contraddittori moti della coscienza. Al centro delle
storie l'autore pone sempre un solo personaggio, al quale gli altri fan da coro, per lo
più antagonista: un individuo abulico e infelice, incapace di affrontare la realtà e che
a essa costantemente soccombe, ma che nello stesso tempo tenta di nascondere a se stesso
la propria inettitudine, sognando evasioni, cercando diversivi, giustificazioni e
compromessi.
Nell'analizzare questi processi, l'inconscio, le sue canalizzazioni e le sue mascherature,
Svevo smonta l'io del protagonista, rivelando ironicamente, e talora comicamente, le non
semplici stratificazioni della psiche, tutta la sua instabilità, in cui passato e
presente, ricordi e desideri si intrecciano reciprocamente. Ma questa indagine è anche
carica di un affetto dolente, quasi che l'autore volesse salvare dall'estrema umiliazione
della condanna il suo eroe negativo, che è in fondo il risvolto irredimibile di noi
stessi, e la cui malattia è da assimilare alla crisi di un'intera società.
Portatore di innovazioni straordinarie, Svevo non ottenne grande successo, se non alla
fine degli anni Sessanta, quando entrò a far parte dei classici della letteratura
italiana: causa di questo tardivo successo fu certamente la cultura mitteleuropea, più
viennese che italiana, che fece sì che egli non avesse mai alcun rapporto con la cultura
letteraria fiorentina, allora egemone a livello nazionale. Inoltre in Italia la
psicoanalisi penetrò solo negli anni Sessanta; e la mancata conoscenza del pensiero di Freud era certamente un ostacolo alla
comprensione della grandiosità della Coscienza di Zeno.
In secondo luogo, Svevo è totalmente estraneo all'idea di arte propria dei letterati
e critici italiani: la sua visione di scrittura come igiene appariva incomprensibile ai
suoi contemporanei. Inoltre, anche la sintassi semplice e talora vicino al parlato, non
coincideva con i canoni armoniosi e lirici del tempo.
Riportiamo un passo da un articolo del 1926, scritto da Eugenio Montale, grande
sostenitore del poeta: Presentazione di Italo Svevo
Nasce così il romanzo moderno secondo la via additata a noi dai grandi modelli stranieri:
il romanzo da accettarsi non per questo o per quel frammento, ma da accogliersi come
organismo, in funzione di vita e di umanità; il libro fatto di parole dette da uomo a
uomo e nelle quali la nostra vita di tutti i giorni possa riconoscersi con immediata
rispondenza (...)
La coscienza di Zeno è l'apporto della nostra letteratura a quel gruppo di libri
ostentatamente internazionali che cantano l'ateismo sorridente e disperato del novissimo
Ulisse: l'uomo europeo. Non è, si noti, che sian qui visioni cosmopolitiche, anime
d'eccezioni od altrettali risorse; ma queste borghesi figure di Svevo sono ben cariche di
storia inconfessata, eredi di mali e di grandezze millenarie, scarti ed outcasts di una
civiltà che si esaurisce in se stessa e s'ignora. Più che l'eterna miseria inerente
all'universalità degli uomini, l'"imbecillità" dei personaggi di Svevo è
dunque un carattere proprio dei protagonisti di cotesta nostra epoca turbinosa (...)
A confutare frattanto, ogni critica eccessiva, potremmo chiedere a questi scontenti in
quale altro libro nostro sia contenuta una rappresentazione altrettanto profonda della
media borghesia italiana di questi ultimi anni. L'osservazione ci sembra decisiva.
La coscienza di Zeno
Il terzo romanzo di Svevo appare ben venticinque anni dopo Senilità, nel 1923, e
per questo motivo differisce molto dai due romanzi precedenti: quelli furono anni cruciali
non solo per lo scrittore, ma anche per la società europea, si pensi solo al fatto che si
era verificato il cataclisma della guerra mondiale, che aveva realmente chiuso un'epoca,
e, sul piano culturale, si era assistito all'imporsi di correnti filosofiche che
superavano definitivamente il positivismo e all'affacciarsi della teoria della relatività.
Svevo abbandona il modulo ottocentesco del romanzo narrato da una voce anonima ed esterna
alla vicenda: La coscienza di Zeno è strutturato in sette capitoli, e tutti,
eccetto la Prefazione, sono scritti in prima persona dal protagonista
Zeno Cosini.
Il romanzo viene presentato nella Prefazione dal "dottor S.",
analista di Zeno Cosini, come un originale, quanto non ortodosso, metodo di analisi
rivelatosi fallimentare, soprattutto dopo l'abbandono del trattamento operato da Zeno.
A parte questo capitolo iniziale tutto il resto della narrazione è compiuta da Zeno, il
quale è quindi protagonista-narratore: tutto il racconto passa
attraverso il suo sguardo, che però non è uno sguardo qualunque, egli infatti è in cura
dallo psicanalista perché è un nevrotico. La nevrosi è una malattia che porta a operare
una forte rimozione, cioè a eliminare dalla coscienza gli eventi più
traumatizzanti: egli per questo non potrà mai essere un testimone attendibile degli
avvenimenti legati alla sua malattia.
Bisogna tuttavia anche stare attenti al ruolo dello psicanalista che lo ha in cura: nella Prefazione
egli dimostra di non essere un dottore serio ammettendo di aver deciso di pubblicare il
diario per vendetta verso il paziente, che aveva interrotto la cura, per guadagno e per
ricattare Zeno, promettendogli di dividere i guadagni della pubblicazione solo quando
avesse deciso di riprendere l'analisi.
Sigmund Freud |
L'ironica figura dello psicanalista non è certo
casuale: Svevo conosceva bene la psicoanalisi e Freud,
del quale aveva anche tradotto un saggio sul sogno, e non condivideva il suo utilizzo come
terapia. L'autore infatti vedeva nella nevrosi un segno positivo di non rassegnazione e di
non adattamento ai meccanismi alienanti della civiltà che impone un regime di vita,
sacrificando la ricerca del piacere.
La struttura del romanzo non corrisponde quindi a quella di un diario, che ripercorre in
ordine cronologico le più importanti fasi della vita, ma è la storia della malattia del
protagonista: tutti i temi raccontati da Zeno sono le tappe della sua nevrosi.
Il tempo della narrazione è soggettivo, mescola piani e distanze, in cui il passato
riaffiora continuamente e si intreccia con infiniti fili del presente, in un movimento
incessante. Eventi contemporanei possono così essere distribuiti in più capitoli
successivi, poiché si riferiscono a nuclei tematici diversi e, inversamente, singoli
capitoli, dedicati ad un particolare tema, possono abbracciare ampi segmenti della vita di
Zeno.
Tutto il discorso di Zeno si sviluppa in una continua oscillazione tra malattia e salute,
tra coscienza e inganno, tra narrazione e riflessione, tra bisogno degli altri e
difficoltà ad instaurare con loro un rapporto, tra desiderio e aridità sentimentale.
Zeno è alla ricerca di un equilibrio che gli sfugge continuamente e che è consapevole di
non poter raggiungere.
All'inizio del 1914 Zeno Cosini si fa visitare dallo
psicanalista "dottor S.", il quale, prima di intraprendere la cura ,
invita il paziente a raccontare la sua vita a partire dalla nascita fino a quell'anno.
Pertanto fra il gennaio e l'aprile del 1914 Zeno scrive le sue "confessioni",
nelle quali hanno particolare risalto alcuni periodi compresi fra il 1890, anno della
morte del padre, e l'estate del 1897, anno in cui egli si reca in una clinica per smettere
di fumare, e consegna il manoscritto ( cioè i capitoli 2-7) al dottore. Nel novembre
dello stesso anno Zeno incomincia la cura che si protrae, senza alcun risultato, fino
all'aprile del 1915. Nel maggio Zeno decide di interrompere la terapia, scegliendo di
farsi curare dal dottor Paoli, e descrive in forma di diario la sua vita fino al marzo
1916. In seguito fa avere anche questo secondo manoscritto al "dottor S."
il quale, come già spiegato, lo pubblica per vendetta.
Il fumo è il primo tema trattato dal protagonista, e la scelta è indotta dal
dottore che lo invita "a iniziare il suo lavoro con un'analisi storica della sua
propensione al fumo": scopriamo così che Zeno è un accanito fumatore fin dalla
adolescenza, e che ha iniziato a fumare con un sigaro lasciato in giro per casa dal
padre. Ma l'aspetto che subito viene evidenziato da egli stesso è che appena creatosi il
vizio, Zeno tenta, invano, di liberarsene: ogni occasione, come una bella giornata, la
fine dell'anno, il piacevole accostamento delle cifre di una data, coincide con la scritta
U.S.-ultima sigaretta.
Zeno si rivolge a facoltosi medici, riempie libri e addirittura pareti con la sigla U.S.,
ma non riesce a smettere: il tentativo dura moltissimi anni, e non si realizza mai,
neanche dopo essersi recato in una clinica specialistica, pur di scappare dalla quale
corrompe l'infermiera.
Il continuo rimandare un evento è tipico del nevrotico, che così, in questo caso, può
gustare sempre di più l'ultima sigaretta.
Il secondo tema trattato dal protagonista è anch'esso legato al vizio del fumo: infatti
Zeno cerca di spegnere l'ultima sigaretta anche il giorno della morte del padre.
Il rapporto con il padre è il primo, della una lunga serie, di rapporti ambigui
raccontati da Zeno: tra padre e figlio vi è una forte ostilità, Zeno gioca continuamente
a provocare il padre, il quale da parte sua non cerca di comprendere il figlio, anzi lo
disprezza per il suo carattere troppo ironico. Il protagonista amplifica gli aspetti non
apprezzati dal padre al punto dal volerlo convincere di essere pazzo. La situazione ha una
svolta solo il giorno in cui il padre, per un edema polmonare, è costretto a letto, e
Zeno si dedica a lui giorno e notte: una sera, nel tentativo di impedirgli di alzarsi dal
letto, il figlio lo trattiene, ma il padre in un ultimo impeto di forza, rizzatosi nel
letto, alza la mano verso Zeno per colpirlo...e muore.
Il protagonista vede nel gesto una punizione, ultima ed eterna, del padre: e questo crea
in lui un forte senso di colpa per avere desiderato la morte del padre. Ma soprattutto
rivela la probabile origine della sua malattia: aveva amato troppo suo madre e avrebbe
voluto uccidere il padre, e l'origine volontaria o meno del gesto del padre non può
comunque attenuare il suo senso di colpa.
(...)Immaginavo che mio padre mi sentisse e potessi dirgli
che la colpa non era stata mia, ma del dottore. La bugia non aveva importanza perché egli
oramai intendeva tutto e io pure. (...)
La famiglia Svevo |
Il terzo capitolo è La storia del
matrimonio, in cui Zeno narra, utilizzando molto la sua ironia, gli avvenimenti
precedenti e posteriori al grande evento.
Così come alcune mattine il protagonista racconta di svegliarsi con l'intento di smettere
di fumare, una mattina decide di cercar moglie, ma prima ancora di conoscere la futura
sposa, egli sceglie il suocero: Giovanni Malfenti, da lui ammirato per l'abilità negli
affari, per la forza di carattere, per la grandiosa capacità di attirare l'attenzione. In
Malfenti egli vede la mancata figura paterna, e inizia così a frequentare la sua casa:
l'uomo è sposato e ha ben quattro figlie.
Zeno appena entra nella casa dell'amico osserva le sue figlie per scegliere l'eletta:
tutte e quattro hanno il nome che inizia per A, ma ognuna ha una marcata caratteristica.
Ada, la più grande e la più bella, Augusta, la strabica, Alberta, lo spirito libero, che
sogna di esser poetessa, e infine la piccola, di soli otto anni, Anna.
La scelta di Zeno cade su Ada, la sorella maggiore. Da quel momento il protagonista inizia
a frequentare assiduamente casa Malfenti, facendo ogni cosa per conquistare l'amata. Torna
a suonare il violino, racconta aneddoti, leggende e fatti mai avvenuti, cerca dunque di
attirare in ogni modo l'attenzione della fanciulla, ma più si prodiga e più lei si
allontana, e al contrario si avvicina la strabica Augusta. Costretto anche dall'arrivo di
altro un corteggiatore ufficiale, Zeno dichiara il suo amore a Ada: l'evento è raccontato
con ironia dal protagonista, che così riesce a ridere di una situazione tragi-comica. Ma
Zeno viene rifiutato, ripiega così, preso da un vero e proprio raptus di follia, sulla
sorella Alberta, che però vuol rimaner sola per poter divenire scrittrice, e infine,
essendo Anna troppo piccola, sulla brutta Augusta.
Augusta si rivela essere la donna perfetta per lui, e Zeno impensabilmente, se ne
innamora.
(...)Cominciò con una scoperta che mi stupì: io amavo
Augusta com'essa amava me.(...)Ogni mattina ritrovavo in lei lo stesso commosso affetto e
in me la stessa riconoscenza che, se non era amore, vi somigliava molto. Chi avrebbe
potuto prevederlo quando avevo zoppicato da Ada ad Alberta per arrivare ad Augusta?
Scoprivo di essere stato non un bestione cieco diretto da altri, ma un uomo
abilissimo.(...)
Il capitolo La moglie e l'amante racconta della storia
extraconiugale che Zeno intraprende con una fanciulla povera e molto bella di nome Carla.
Un amico di Zeno, Copler, anch'esso malato, ma di una malattia, com'egli stesso si vanta,
dai sintomi chiari e non immaginaria come quella di Zeno, sollecita il protagonista ad
aiutare economicamente la ragazza. Alla sua morte i due trasformano il rapporto
beneficante-beneficata in un rapporto assai più intimo. La storia prosegue nel tempo,
sebbene Zeno, consapevole che tale rapporto è in contrasto con la sanità di cui
è immagine la moglie Augusta, tenga sempre in tasca una assegno con cui vorrebbe
liquidare l'amante. L'avvenimento però viene sempre rimandato, così come per tutta la
vita egli rimanda l'ultima sigaretta.
Il suo inconscio che precedentemente lo aveva portato ad Augusta, lo induce a abbandonare
l'amante. Ma questo è da lui provocato quasi inconsapevolmente: Carla aveva una splendida
voce e Zeno pagava per lei un maestro anziano e dai metodi antiquati; un giorno decide di
licenziarlo e al suo posto arriva un giovane maestro di talento che valorizza finalmente
le capacità canore della fanciulla. Carla nel frattempo, messa sempre da Zeno in
competizione con la perfetta borghesia di Augusta, chiede all'amato di poterla vedere:
Zeno fa in modo che si imbatta nella bella Ada e non nella brutta Augusta. Ma questa
scelta si rivela controproducente: Carla vede la tristezza di Ada, che aveva da poco
scoperto che Guido la tradiva, e, sentendosi in colpa, abbandona Zeno per sposare il
giovane maestro di canto.
(...) -Io farò quello che vuoi! Vuoi che me ne vada? -
domandai
- Sì - disse essa appena capace di articolare questa breve parola.
- Addio! - le dissi. - Giacché lo vuoi, addio per sempre!
Scesi lentamente le scale, fischiettando anch'io il "Saluto" di Schubert.
Non so se sia stata un'illusione, ma a me parve che mi chiamasse:
- Zeno!
In quel momento essa avrebbe potuto chiamarmi anche con quello strano nome di Dario
ch'essa sentiva quale un vezzeggiativo e non mi sarei fermato.
Avevo un gran desiderio di andarmene e ritornavo anche una volta, puro, ad Augusta. Anche
il cane cui a forza di pedate si impedisce l'approccio alla femmina, corre via purissimo,
per il momento.
Nel romanzo il capitolo Storia di un'associazione
commerciale è di fondamentale importanza: Guido Speier, marito di Ada, titolare
dell'azienda cui si è associato Zeno e commerciante velleitario, distratto, fantasioso,
del tutto privo di senso pratico e realistico, ha fatto per sua colpa degli affari
conclusisi con un forte passivo e nel tentativo di colmare il deficit ha giocato
in Borsa perdendo ulteriormente e provocando un grave disastro finanziario; e poco dopo,
dopo una prima, riuscita simulazione di suicidio, dovuta alla speranza di impietosire i
parenti e di ottenere altro denaro, muore davvero per l'ingestione di una forte dose di "veronal"
e, soprattutto, per l'avversità del destino. Proprio in tale circostanza viene a colmarsi
quell'abisso, all'inizio evidentissimo e a poco a poco sempre meno avvertibile, fra l'uomo
che sa vivere e quello che non sa vivere, ovvero tra Guido e Zeno: poiché sarà appunto
Zeno, nonostante le sue continue inibizioni e perplessità, la sua abulia e la sua
inettitudine, che riuscirà, con l'imprevisto aiuto della fortuna, ovvero l'improvviso
rialzo dei titoli di borsa, a salvare la ditta dal fallimento e ad aiutare la famiglia del
cognato. E se nel giorno del funerale di Guido, Zeno si reca per distrazione al funerale
di un estraneo, in realtà il suo errore si spiega psicanaliticamente, come sostengono Ada
e il "dottor S.", con il fatto che il Cosini, al di sotto dell'affetto
obbligato per il cognato, celava un inconscio sentimento di rancore e, anzi, di odio verso
la persona che gli aveva sottratto Ada, da lui amata, ed era riuscito a sposarla
rendendola ben presto infelice per i suoi tradimenti.
In ogni caso, poiché non avviene per un suo particolare merito, questo non coincide con
un superamento della malattia, per quanto Zeno si ritenga guarito dalla sua malattia, e si
senta d'un tratto forte, sano e venga a preferire una malattia fisica e organica a una
psichica.
Nell'ultimo capitolo, Psico-analisi, l'euforia di Zeno è sopraffatta dalla
convinzione obbiettiva che la vita è malattia, che la realtà è "inquinata alle
radici", che può avvenire anche di peggio di quello che è avvenuto, che
qualunque sforzo di darci la salute è vano, che gli ordigni hanno violentato e distrutto
la natura e le sue leggi e che solamente facendo esplodere il mondo è forse possibile
ipotizzare, in un futuro, l'avvento di un mondo nuovo, migliore e sano:
(...) Forse traverso una catastrofe inaudita prodotta dagli
ordigni ritorneremo alla salute. Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto
come tutti gli altri, nel segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo
incomparabile, in confronto al quale gli esplosivi attuali esistenti saranno considerati
quali innocui giocattoli. Ed un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri, ma degli
altri un po' più ammalato, ruberà tale esplosivo e s'arrampicherà al centro della terra
per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà un'esplosione
enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà nei cieli
priva di parassiti e malattie.
Per concludere analizziamo la funzione dei personaggi minori
nei confronti del protagonista: viene a mancare, rispetto ai due precedenti romanzi, la
figura dell'antagonista. Si potrebbe supporre che all'inizio del romanzo l'antagonista di
Zeno fosse, per esempio il galante dottor Muli, libero di abbandonare la clinica a suo
piacere e magari di accompagnare a casa e di corteggiare Augusta; o il padre del Cosini,
che il figlio ritiene una sorta di rivale o una persona con cui competere; o Giovanni
Malfenti, il futuro suocero, al quale l'abulico Zeno cerca di assomigliare e che considera
un secondo padre; e, soprattutto, Guido Speier, giovane avvenente, spiritoso, dinamico,
allegro, intraprendente e fortunato conquistatore di donne, in primo luogo Ada, amata da
Zeno. Ma a poco a poco ci si rende conto che le cose non stanno in questi termini e che, a
parte il fatto che il dottor Muli non si interessa ad Augusta e che Malfenti e suo padre
muoiono, nel supposto antagonismo tra Guido e Zeno il vero, definitivo vincitore non è il
primo, tradito dalla sua superficialità, dal suo egoismo e dall'esagerata stima in se
stesso, bensì proprio Zeno, che, con l'aiuto del medesimo destino che aveva decretato la
morte del cognato, riesce a sanare in parte i fallimentari bilanci dell'azienda.
Analogamente non Ada Malfenti, la cui bellezza è guastata senza rimedio dal morbo di
Basedow, e neppure la bella Carla, desiderosa di affermarsi nel canto con l'aiuto non
proprio disinteressato di Zeno, né la vistosa e seducente Carmen, amante di Guido, ma la
saggia e positiva Augusta è il nuovo tipo di donna proposto - polemicamente e
ironicamente - da Svevo. Augusta, ossia la donna comune, così come uomo comune è Zeno:
antieroina, come antieroe è lui; e tuttavia modello di saggezza e di sollecitudine nello
sbrigare le faccende domestiche e nell'allevare i figli, esempio di assennatezza e di
attaccamento alla famiglia, tanto da suscitare, per le sue doti di buona moglie e di madre
tenera e affettuosa, la reticente o esplicita ammirazione di Zeno. E poi Augusta "col
suo occhio sbilenco e la sua figura da balia" è la "salute
personificata", ma è anche portatrice della concezione borghese della vita, che
in apparenza Zeno rispetta e persino invidia, ma che non pensa assolutamente di poter
condividere e che non fa a meno di incrinare con la sua incessante ironia.
Da un simile punto di vista la condanna della società borghese risulta inequivocabile.
I tragici risvolti della vita della bella Ada e la salute della strabica Augusta, che vive
felice nella sua realtà in apparenza serena, documentano l'ironia dell'autore e
soprattutto l'ideologia fondamentale del romanzo, che mira a affrontare il grande problema
della vita, con riferimento particolare a un ben concreto e definito periodo storico.