I Promessi Sposi
Capitolo XIV
La folla rimasta
indietro cominciò a sbandarsi, a diramarsi a destra e a sinistra, per questa e per quella
strada. Chi andava a casa, a accudire anche alle sue faccende; chi s'allontanava, per
respirare un po' al largo, dopo tante ore di stretta; chi, in cerca d'amici, per ciarlare
de' gran fatti della giornata. Lo stesso sgombero s'andava facendo dall'altro sbocco della
strada, nella quale la gente restò abbastanza rada perché quel drappello di spagnoli
potesse, senza trovar resistenza, avanzarsi, e postarsi alla casa del vicario. Accosto a
quella stava ancor condensato il fondaccio, per dir così, del tumulto; un branco di
birboni, che malcontenti d'una fine così fredda e così imperfetta d'un così
grand'apparato, parte brontolavano, parte bestemmiavano, parte tenevan consiglio, per
veder se qualche cosa si potesse ancora intraprendere; e, come per provare, andavano
urtacchiando e pigiando quella povera porta, ch'era stata di nuovo appuntellata alla
meglio. All'arrivar del drappello, tutti coloro, chi diritto diritto, chi baloccandosi, e
come a stento, se n'andarono dalla parte opposta, lasciando il campo libero a' soldati,
che lo presero, e vi si postarono, a guardia della casa e della strada. Ma tutte le strade
del contorno erano seminate di crocchi: dove c'eran due o tre persone ferme, se ne
fermavano tre, quattro, venti altre: qui qualcheduno si staccava; là tutto un crocchio si
moveva insieme: era come quella nuvolaglia che talvolta rimane sparsa, e gira per
l'azzurro del cielo, dopo una burrasca; e fa dire a chi guarda in su: questo tempo non è
rimesso bene. Pensate poi che babilonia di discorsi. Chi raccontava con enfasi i casi
particolari che aveva visti; chi raccontava ciò che lui stesso aveva fatto; chi si
rallegrava che la cosa fosse finita bene, e lodava Ferrer, e pronosticava guai seri per il
vicario; chi, sghignazzando, diceva: - non abbiate paura, che non l'ammazzeranno: il lupo
non mangia la carne del lupo -; chi più stizzosamente mormorava che non s'eran fatte le
cose a dovere, ch'era un inganno, e ch'era stata una pazzia il far tanto chiasso, per
lasciarsi poi canzonare in quella maniera.
Intanto il sole era andato sotto, le
cose diventavan tutte d'un colore; e molti, stanchi della giornata e annoiati di ciarlare
al buio, tornavano verso casa. Il nostro giovine, dopo avere aiutato il passaggio della
carrozza, finché c'era stato bisogno d'aiuto, e esser passato anche lui dietro a quella,
tra le file de' soldati, come in trionfo, si rallegrò quando la vide correr liberamente,
e fuor di pericolo; fece un po' di strada con la folla, e n'uscì, alla prima cantonata,
per respirare anche lui un po' liberamente. Fatto ch'ebbe pochi passi al largo, in mezzo
all'agitazione di tanti sentimenti, di tante immagini, recenti e confuse, sentì un gran
bisogno di mangiare e di riposarsi; e cominciò a guardare in su, da una parte e
dall'altra, cercando un'insegna d'osteria; giacché, per andare al convento de'
cappuccini, era troppo tardi. Camminando così con la testa per aria, si trovò a ridosso
a un crocchio; e fermatosi, sentì che vi discorrevan di congetture, di disegni, per il
giorno dopo. Stato un momento a sentire, non poté tenersi di non dire anche lui la sua;
parendogli che potesse senza presunzione proporre qualche cosa chi aveva fatto tanto. E
persuaso, per tutto ciò che aveva visto in quel giorno, che ormai, per mandare a effetto
una cosa, bastasse farla entrare in grazia a quelli che giravano per le strade, - signori
miei! - gridò, in tono d'esordio: - devo dire anch'io il mio debol parere? Il mio debol
parere è questo: che non è solamente nell'affare del pane che si fanno delle
bricconerie: e giacché oggi s'è visto chiaro che, a farsi sentire, s'ottiene quel che è
giusto; bisogna andar avanti così, fin che non si sia messo rimedio a tutte quelle altre
scelleratezze, e che il mondo vada un po' più da cristiani. Non è vero, signori miei,
che c'è una mano di tiranni, che fanno proprio al rovescio de' dieci comandamenti, e
vanno a cercar la gente quieta, che non pensa a loro, per farle ogni male, e poi hanno
sempre ragione? anzi quando n'hanno fatta una più grossa del solito, camminano con la
testa più alta, che par che gli s'abbia a rifare il resto? Già anche in Milano ce ne
dev'essere la sua parte.
- Pur troppo, - disse una voce.
- Lo dicevo
io, - riprese Renzo: - già le storie si raccontano anche
da noi. E poi la cosa parla da sé. Mettiamo, per esempio, che qualcheduno di costoro che
voglio dir io stia un po' in campagna, un po' in Milano: se è un diavolo là, non vorrà
esser un angiolo qui; mi pare. Dunque mi dicano un poco, signori miei, se hanno mai visto
uno di questi col muso all'inferriata. E quel che è peggio (e questo lo posso dir
io di sicuro), è che le gride ci sono, stampate, per gastigarli: e non già gride senza
costrutto; fatte benissimo, che noi non potremmo trovar niente di meglio; ci son nominate
le bricconerie chiare, proprio come succedono; e a ciascheduna, il suo buon gastigo. E
dice: sia chi si sia, vili e plebei, e che so io. Ora, andate a dire ai dottori, scribi e
farisei, che vi facciano far giustizia, secondo che canta la grida: vi dànno retta come
il papa ai furfanti: cose da far girare il cervello a qualunque galantuomo. Si vede dunque
chiaramente che il re, e quelli che comandano, vorrebbero che i birboni fossero gastigati;
ma non se ne fa nulla, perché c'è una lega. Dunque bisogna romperla; bisogna andar
domattina da Ferrer, che quello è un galantuomo, un signore alla mano; e oggi s'è potuto
vedere com'era contento di trovarsi con la povera gente, e come cercava di sentir le
ragioni che gli venivan dette, e rispondeva con buona grazia. Bisogna andar da Ferrer, e
dirgli come stanno le cose; e io, per la parte mia, gliene posso raccontar delle belle;
che ho visto io, co' miei occhi, una grida con tanto d'arme in cima, ed era stata fatta da
tre di quelli che possono, che d'ognuno c'era sotto il suo nome bell'e stampato, e uno di
questi nomi era Ferrer, visto da me, co' miei occhi: ora, questa grida diceva proprio le
cose giuste per me; e un dottore al quale io gli dissi che dunque mi facesse render
giustizia, com'era l'intenzione di que' tre signori, tra i quali c'era anche Ferrer,
questo signor dottore, che m'aveva fatto veder la grida lui medesimo, che è il più
bello, ah! ah! pareva che gli dicessi delle pazzie. Son sicuro che, quando quel caro
vecchione sentirà queste belle cose; che lui non le può saper tutte, specialmente quelle
di fuori; non vorrà più che il mondo vada così, e ci metterà un buon rimedio. E poi,
anche loro, se fanno le gride, devono aver piacere che s'ubbidisca: che è anche un
disprezzo, un pitaffio col loro nome, contarlo per nulla. E se i prepotenti non vogliono
abbassar la testa, e fanno il pazzo, siam qui noi per aiutarlo, come s'è fatto oggi. Non
dico che deva andar lui in giro, in carrozza, ad acchiappar tutti i birboni, prepotenti e
tiranni: sì; ci vorrebbe l'arca di Noè. Bisogna che lui comandi a chi tocca, e non
solamente in Milano, ma per tutto, che faccian le cose conforme dicon le gride; e formare
un buon processo addosso a tutti quelli che hanno commesso di quelle bricconerie; e dove
dice prigione, prigione; dove dice galera, galera; e dire ai podestà che faccian davvero;
se no, mandarli a spasso, e metterne de' meglio: e poi, come dico, ci saremo anche noi a
dare una mano. E ordinare a' dottori che stiano a sentire i poveri e parlino in difesa
della ragione. Dico bene, signori miei?
Renzo aveva parlato tanto di cuore,
che, fin dall'esordio, una gran parte de' radunati, sospeso ogni altro discorso, s'eran
rivoltati a lui; e, a un certo punto, tutti erano divenuti suoi uditori. Un grido confuso
d'applausi, di - bravo: sicuro: ha ragione: è vero pur troppo, - fu come la risposta
dell'udienza. Non mancaron però i critici. - Eh sì, - diceva uno: - dar retta a'
montanari: son tutti avvocati -; e se ne andava. - Ora, - mormorava un altro, - ogni
scalzacane vorrà dir la sua; e a furia di metter carne a fuoco, non s'avrà il pane a
buon mercato; che è quello per cui ci siam mossi - Renzo però non sentì che i
complimenti; chi gli prendeva una mano, chi gli prendeva l'altra. - A rivederci a domani.
- Dove? - Sulla piazza del duomo. - Va bene. - Va bene. - E qualcosa si farà. - E
qualcosa si farà.
- Chi è di questi bravi signori che
voglia insegnarmi un'osteria, per mangiare un boccone, e dormire da povero figliuolo? -
disse Renzo.
- Son qui io a servirvi, quel bravo
giovine, - disse uno, che aveva ascoltata attentamente la predica, e non aveva detto ancor
nulla. - Conosco appunto un'osteria che farà al caso vostro; e vi raccomanderò al
padrone, che è mio amico, e galantuomo.
- Qui vicino? - domandò Renzo. -
Poco distante, - rispose colui.
La radunata si sciolse; e Renzo,
dopo molte strette di mani sconosciute, s'avviò con lo sconosciuto, ringraziandolo della
sua cortesia.
- Di che cosa? - diceva colui: - una
mano lava l'altra, e tutt'e due lavano il viso. Non siamo obbligati a far servizio al
prossimo? - E camminando, faceva a Renzo, in aria di discorso, ora una, ora un'altra
domanda. - Non per sapere i fatti vostri; ma voi mi parete molto stracco: da che paese
venite?
- Vengo, - rispose Renzo, - fino,
fino da Lecco.
- Fin da Lecco? Di Lecco siete?
- Di Lecco... cioè del territorio.
- Povero giovine! per quanto ho
potuto intendere da' vostri discorsi, ve n'hanno fatte delle grosse.
- Eh! caro il mio galantuomo! ho
dovuto parlare con un po' di politica, per non dire in pubblico i fatti miei; ma... basta,
qualche giorno si saprà; e allora... Ma qui vedo un'insegna d'osteria; e, in fede mia,
non ho voglia d'andar più lontano.
- No, no! venite dov'ho detto io,
che c'è poco, - disse la guida: - qui non istareste bene.
- Eh, sì; - rispose il giovine: -
non sono un signorino avvezzo a star nel cotone: qualcosa alla buona da mettere in
castello, e un saccone, mi basta: quel che mi preme è di trovar presto l'uno e l'altro.
Alla provvidenza! - Ed entrò in un usciaccio, sopra il quale pendeva l'insegna della luna
piena. - Bene; vi condurrò qui, giacché vi piace così, - disse lo sconosciuto; e gli
andò dietro.
- Non occorre che v'incomodiate di
più, - rispose Renzo. - Però, - soggiunse, - se venite a bere un bicchiere con me, mi
fate piacere.
- Accetterò le vostre grazie, -
rispose colui; e andò, come più pratico del luogo, innanzi a Renzo, per un cortiletto;
s'accostò all'uscio che metteva in cucina, alzò il saliscendi, aprì, e v'entrò col suo
compagno. Due lumi a mano, pendenti da due pertiche attaccate alla trave del palco, vi
spandevano una mezza luce. Molta gente era seduta, non però in ozio, su due panche, di
qua e di là d'una tavola stretta e lunga, che teneva quasi tutta una parte della stanza:
a intervalli, tovaglie e piatti; a intervalli, carte voltate e rivoltate, dadi buttati e
raccolti; fiaschi e bicchieri per tutto. Si vedevano anche correre berlinghe, reali e
parpagliole, che, se avessero potuto parlare, avrebbero detto probabilmente: «noi
eravamo stamattina nella ciotola d'un fornaio, o nelle tasche di qualche spettatore del
tumulto, che tutt'intento a vedere come andassero gli affari pubblici, si dimenticava di
vigilar le sue faccendole private». Il chiasso era grande. Un garzone girava innanzi e
indietro, in fretta e in furia, al servizio di quella tavola insieme e tavoliere: l'oste
era a sedere sur una piccola panca, sotto la cappa del cammino, occupato, in apparenza, in
certe figure che faceva e disfaceva nella cenere, con le molle; ma in realtà intento a
tutto ciò che accadeva intorno a lui. S'alzò, al rumore del saliscendi; e andò incontro
ai soprarrivati. Vista ch'ebbe la guida, «maledetto!» disse tra sé: «che tu m'abbia a
venir sempre tra' piedi, quando meno ti vorrei!» Data poi un'occhiata in fretta a Renzo,
disse, ancora tra sé: «non ti conosco; ma venendo con un tal cacciatore, o cane o lepre
sarai: quando avrai detto due parole, ti conoscerò». Però, di queste riflessioni nulla
trasparve sulla faccia dell'oste, la quale stava immobile come un ritratto: una faccia
pienotta e lucente, con una barbetta folta, rossiccia, e due occhietti chiari e fissi.
- Cosa comandan questi signori? -
disse ad alta voce.
- Prima di tutto, un buon fiasco di
vino sincero, - disse Renzo: - e poi un boccone -. Così dicendo, si buttò a sedere sur
una panca, verso la cima della tavola, e mandò un - ah! - sonoro, come se volesse dire:
fa bene un po' di panca, dopo essere stato, tanto tempo, ritto e in faccende. Ma gli venne
subito in mente quella panca e quella tavola, a cui era stato seduto l'ultima volta, con
Lucia e con Agnese: e mise un sospiro. Scosse poi la testa, come per iscacciar quel
pensiero: e vide venir l'oste col vino. Il compagno s'era messo a sedere in faccia a
Renzo. Questo gli mescé subito da bere, dicendo: per bagnar le labbra -. E riempito
l'altro bicchiere, lo tracannò in un sorso.
- Cosa mi darete da mangiare? -
disse poi all'oste.
- Ho dello stufato: vi piace? -
disse questo.
- Sì, bravo; dello stufato.
- Sarete servito, - disse l'oste a
Renzo; e al garzone: - servite questo forestiero -. E s'avviò verso il cammino. - Ma... -
riprese poi, tornando verso Renzo: - ma pane, non ce n'ho in questa giornata.
- Al pane, - disse Renzo, ad alta
voce e ridendo, - ci ha pensato la provvidenza -. E tirato fuori il terzo e ultimo di que'
pani raccolti sotto la croce di san Dionigi, l'alzò per aria, gridando: - ecco il pane
della provvidenza!
All'esclamazione, molti si
voltarono; e vedendo quel trofeo in aria, uno gridò: - viva il pane a buon mercato!
- A buon mercato? - disse Renzo: - gratis
et amore.
- Meglio, meglio.
- Ma, - soggiunse subito Renzo, -
non vorrei che lor signori pensassero a male. Non è ch'io l'abbia, come si suol dire,
sgraffignato. L'ho trovato in terra; e se potessi trovare anche il padrone, son pronto a
pagarglielo.
- Bravo! bravo! - gridarono,
sghignazzando più forte, i compagnoni; a nessuno de' quali passò per la mente che quelle
parole fossero dette davvero.
- Credono ch'io canzoni; ma l'è
proprio così, - disse Renzo alla sua guida; e, girando in mano quel pane, soggiunse: -
vedete come l'hanno accomodato; pare una schiacciata: ma ce n'era del prossimo! Se ci si
trovavan di quelli che han l'ossa un po' tenere, saranno stati freschi -. E subito,
divorati tre o quattro bocconi di quel pane, gli mandò dietro un secondo bicchier di
vino; e soggiunse: - da sé non vuol andar giù questo pane. Non ho avuto mai la gola
tanto secca. S'è fatto un gran gridare!
- Preparate un buon letto a questo
bravo giovine, - disse la guida: - perché ha intenzione di dormir qui.
- Volete dormir qui? - domandò
l'oste a Renzo, avvicinandosi alla tavola.
- Sicuro, - rispose Renzo: - un
letto alla buona; basta che i lenzoli sian di bucato; perché son povero figliuolo, ma
avvezzo alla pulizia.
- Oh, in quanto a questo! - disse
l'oste: andò al banco, ch'era in un angolo della cucina; e ritornò, con un calamaio e un
pezzetto di carta bianca in una mano, e una penna nell'altra.
- Cosa vuol dir questo? - esclamò
Renzo, ingoiando un boccone dello stufato che il garzone gli aveva messo davanti, e
sorridendo poi con maraviglia, soggiunse: - è il lenzolo di bucato, codesto?
L'oste, senza rispondere, posò
sulla tavola il calamaio e la carta; poi appoggiò sulla tavola medesima il braccio
sinistro e il gomito destro; e, con la penna in aria, e il viso alzato verso Renzo, gli
disse: - fatemi il piacere di dirmi il vostro nome, cognome e patria.
- Cosa? - disse Renzo: - cosa
c'entrano codeste storie col letto?
- Io fo il mio dovere, - disse
l'oste, guardando in viso alla guida: - noi siamo obbligati a render conto di tutte le
persone che vengono a alloggiar da noi: nome e cognome, e di che nazione sarà, a che
negozio viene, se ha seco armi... quanto tempo ha di fermarsi in questa città... Son
parole della grida.
Prima di rispondere, Renzo votò un
altro bicchiere: era il terzo; e d'ora in poi ho paura che non li potremo più contare.
Poi disse: - ah ah! avete la grida! E io fo conto d'esser dottor di legge; e allora so
subito che caso si fa delle gride.
- Dico davvero, - disse l'oste,
sempre guardando il muto compagno di Renzo; e, andato di nuovo al banco, ne levò dalla
cassetta un gran foglio, un proprio esemplare della grida; e venne a spiegarlo davanti
agli occhi di Renzo.
- Ah! ecco! - esclamò questo,
alzando con una mano il bicchiere riempito di nuovo, e rivotandolo subito, e stendendo poi
l'altra mano, con un dito teso, verso la grida: - ecco quel bel foglio di messale. Me ne
rallegro moltissimo. La conosco quell'arme; so cosa vuol dire quella faccia d'ariano, con
la corda al collo - (In cima alle gride si metteva allora l'arme del governatore; e in
quella di don Gonzalo Fernandez de Cordova, spiccava un re moro incatenato per la gola). -
Vuol dire, quella faccia: comanda chi può, e ubbidisce chi vuole. Quando questa faccia
avrà fatto andare in galera il signor don... basta, lo so io; come dice in un altro
foglio di messale compagno a questo; quando avrà fatto in maniera che un giovine onesto
possa sposare una giovine onesta che è contenta di sposarlo, allora le dirò il mio nome
a questa faccia; le darò anche un bacio per di più. Posso aver delle buone ragioni per
non dirlo, il mio nome. Oh bella! E se un furfantone, che avesse al suo comando una mano
d'altri furfanti: perché se fosse solo... - e qui finì la frase con un gesto: - se un
furfantone volesse saper dov'io sono, per farmi qualche brutto tiro, domando io se questa
faccia si moverebbe per aiutarmi. Devo dire i fatti miei! Anche questa è nuova. Son
venuto a Milano per confessarmi, supponiamo; ma voglio confessarmi da un padre cappuccino,
per modo di dire, e non da un oste.
L'oste stava zitto, e seguitava a
guardar la guida, la quale non faceva dimostrazione di sorte veruna. Renzo, ci dispiace il
dirlo, tracannò un altro bicchiere, e proseguì: - ti porterò una ragione, il mio caro
oste, che ti capaciterà. Se le gride che parlan bene, in favore de' buoni cristiani, non
contano; tanto meno devon contare quelle che parlan male. Dunque leva tutti
quest'imbrogli, e porta in vece un altro fiasco; perché questo è fesso - Così dicendo,
lo percosse leggermente con le nocca, e soggiunse: - senti, senti, oste, come crocchia.
Anche questa volta, Renzo aveva, a
poco a poco, attirata l'attenzione di quelli che gli stavan d'intorno: e anche questa
volta, fu applaudito dal suo uditorio.
- Cosa devo fare? - disse l'oste,
guardando quello sconosciuto, che non era tale per lui.
- Via, via, - gridaron molti di que'
compagnoni: - ha ragione quel giovine: son tutte angherie, trappole, impicci: legge nuova
Oggi, legge nuova. In mezzo a queste grida, lo sconosciuto, dando all'oste un'occhiata di
rimprovero, per quell'interrogazione troppo scoperta, disse: - lasciatelo un po' fare a
suo modo: non fate scene.
- Ho fatto il mio dovere, - disse
l'oste, forte; e poi tra se: «ora ho le spalle al muro». E prese la carta, la
penna, il calamaio, la grida, e il fiasco voto, per consegnarlo al garzone.
- Porta del medesimo, - disse Renzo:
- che lo trovo galantuomo; e lo metteremo a letto come l'altro, senza domandargli nome e
cognome, e di che nazione sarà, e cosa viene a fare, e se ha a stare un pezzo in questa
città.
- Del medesimo, - disse l'oste al
garzone, dandogli il fiasco; e ritornò a sedere sotto la cappa del cammino. «Altro che
lepre!» pensava, istoriando di nuovo la cenere: «e in che mani sei capitato! Pezzo
d'asino! se vuoi affogare, affoga; ma l'oste della luna piena non deve andarne di mezzo,
per le tue pazzie».
Renzo ringraziò la guida, e tutti
quegli altri che avevan prese le sue parti. - Bravi amici! - disse: - ora vedo proprio che
i galantuomini si dànno la mano, e si sostengono - Poi, spianando la destra per aria
sopra la tavola, e mettendosi di nuovo in attitudine di predicatore, - gran cosa, -
esclamò, - che tutti quelli che regolano il mondo, voglian fare entrar per tutto carta,
penna e calamaio! Sempre la penna per aria! Grande smania che hanno que' signori d'adoprar
la penna!
- Ehi, quel galantuomo di campagna!
volete saperne la ragione? - disse ridendo uno di que' giocatori, che vinceva.
- Sentiamo un poco, - rispose Renzo.
- La ragione è questa, - disse
colui: - che que' signori son loro che mangian l'oche, e si trovan lì tante penne, tante
penne, che qualcosa bisogna che ne facciano.
Tutti si misero a ridere, fuor che
il compagno che perdeva.
- To', - disse Renzo: - è un poeta
costui. Ce n'è anche qui de' poeti: già ne nasce per tutto. N'ho una vena anch'io, e
qualche volta ne dico delle curiose... ma quando le cose vanno bene.
Per capire questa baggianata del
povero Renzo, bisogna sapere che, presso il volgo di Milano, e del contado ancora più,
poeta non significa già, come per tutti i galantuomini, un sacro ingegno, un abitator di
Pindo, un allievo delle Muse; vuol dire un cervello bizzarro e un po' balzano, che, ne'
discorsi e ne' fatti, abbia più dell'arguto e del singolare che del ragionevole. Tanto
quel guastamestieri del volgo è ardito a manomettere le parole, e a far dir loro le cose
più lontane dal loro legittimo significato! Perché, vi domando io, cosa ci ha che fare
poeta con cervello balzano?
- Ma la ragione giusta la dirò io,
- soggiunse Renzo: - è perché la penna la tengon loro: e così, le parole che dicon
loro, volan via, e spariscono; le parole che dice un povero figliuolo, stanno attenti
bene, e presto presto le infilzan per aria, con quella penna, e te le inchiodano sulla
carta, per servirsene, a tempo e luogo. Hanno poi anche un'altra malizia; che, quando
vogliono imbrogliare un povero figliuolo, che non abbia studiato, ma che abbia un po'
di... so io quel che voglio dire... - e, per farsi intendere, andava picchiando, e come
arietando la fronte con la punta dell'indice; - e s'accorgono che comincia a capir
l'imbroglio, taffete, buttan dentro nel discorso qualche parola in latino, per fargli
perdere il filo, per confondergli la testa. Basta; se ne deve smetter dell'usanze! Oggi, a buon conto, s'è fatto
tutto in volgare, e senza carta, penna e calamaio; e domani, se la gente saprà regolarsi,
se ne farà anche delle meglio: senza torcere un capello a nessuno, però; tutto per via
di giustizia.
Intanto alcuni di que' compagnoni
s'eran rimessi a giocare, altri a mangiare, molti a gridare; alcuni se n'andavano; altra
gente arrivava; l'oste badava agli uni e agli altri: tutte cose che non hanno che fare con
la nostra storia. Anche la sconosciuta guida non vedeva l'ora d'andarsene; non aveva, a
quel che paresse, nessun affare in quel luogo; eppure non voleva partire prima d'aver
chiacchierato un altro poco con Renzo in particolare. Si voltò a lui, riattaccò il
discorso del pane; e dopo alcune di quelle frasi che, da qualche tempo, correvano per
tutte le bocche, venne a metter fuori un suo progetto. - Eh! se comandassi io, - disse, -
lo troverei il verso di fare andar le cose bene.
- Come vorreste fare? - domandò
Renzo, guardandolo con due occhietti brillanti più del dovere, e storcendo un po' la
bocca, come per star più attento.
- Come vorrei fare? - disse colui: -
vorrei che ci fosse pane per tutti; tanto per i poveri, come per i ricchi.
- Ah! così va bene, - disse Renzo.
- Ecco come farei. Una meta onesta,
che tutti ci potessero campare. E poi, distribuire il pane in ragione delle bocche:
perché c'è degl'ingordi indiscreti, che vorrebbero tutto per loro, e fanno a ruffa
raffa, pigliano a buon conto; e poi manca il pane alla povera gente. Dunque dividere il
pane. E come si fa? Ecco: dare un bel biglietto a ogni famiglia, in proporzion delle
bocche, per andare a prendere il pane dal fornaio. A me, per esempio, dovrebbero
rilasciare un biglietto in questa forma: Ambrogio Fusella, di professione spadaio, con
moglie e quattro figliuoli, tutti in età da mangiar pane (notate bene): gli si dia pane
tanto, e paghi soldi tanti. Ma far le cose giuste, sempre in ragion delle bocche. A voi,
per esempio, dovrebbero fare un biglietto per... il vostro nome?
- Lorenzo Tramaglino, - disse il
giovine; il quale, invaghito del progetto, non fece attenzione ch'era tutto fondato su
carta, penna e calamaio; e che, per metterlo in opera, la prima cosa doveva essere di
raccogliere i nomi delle persone.
- Benissimo, - disse lo sconosciuto:
- ma avete moglie e figliuoli?
- Dovrei bene... figliuoli no...
troppo presto... ma la moglie... se il mondo andasse come dovrebbe andare...
- Ah siete solo! Dunque abbiate
pazienza, ma una porzione più piccola.
- È giusto; ma se presto, come
spero... e con l'aiuto di Dio.. Basta; quando avessi moglie anch'io?
- Allora si cambia il biglietto, e
si cresce la porzione. Come v'ho detto; sempre in ragion delle bocche, - disse lo
sconosciuto, alzandosi.
- Così va bene, - gridò Renzo; e
continuò, gridando e battendo il pugno sulla tavola: - e perché non la fanno una legge
così?
- Cosa volete che vi dica? Intanto
vi do la buona notte, e me ne vo; perché penso che la moglie e i figliuoli m'aspetteranno
da un pezzo.
- Un altro gocciolino, un altro
gocciolino, - gridava Renzo, riempiendo in fretta il bicchiere di colui; e subito
alzatosi, e acchiappatolo per una falda del farsetto, tirava forte, per farlo seder di
nuovo. - Un altro gocciolino: non mi fate quest'affronto.
Ma l'amico, con una stratta, si
liberò, e lasciando Renzo fare un guazzabuglio d'istanze e di rimproveri, disse di nuovo:
- buona notte, - e se n'andò. Renzo seguitava ancora a predicargli, che quello era già
in istrada; e poi ripiombò sulla panca. Fissò gli occhi su quel bicchiere che aveva
riempito; e, vedendo passar davanti alla tavola il garzone, gli accennò di fermarsi, come
se avesse qualche affare da comunicargli; poi gli accennò il bicchiere, e con una
pronunzia lenta e solenne, spiccando le parole in un certo modo particolare, disse: -
ecco, l'avevo preparato per quel galantuomo: vedete; pieno raso, proprio da amico; ma non
l'ha voluto. Alle volte, la gente ha dell'idee curiose. Io non ci ho colpa: il mio buon
cuore l'ho fatto vedere. Ora, giacché la cosa è fatta, non bisogna lasciarlo andare a
male - Così detto, lo prese, e lo votò in un sorso.
- Ho inteso, - disse il garzone,
andandosene.
- Ah! avete inteso anche voi, -
riprese Renzo: - dunque è vero. Quando le ragioni son giuste...!
Qui è necessario tutto l'amore, che
portiamo alla verità, per farci proseguire fedelmente un racconto di così poco onore a
un personaggio tanto principale, si potrebbe quasi dire al primo uomo della nostra storia.
Per questa stessa ragione d'imparzialità, dobbiamo però anche avvertire ch'era la prima
volta, che a Renzo avvenisse un caso simile: e appunto questo suo non esser uso a stravizi
fu cagione in gran parte che il primo gli riuscisse così fatale. Que' pochi bicchieri che
aveva buttati giù da principio, l'uno dietro l'altro, contro il suo solito, parte per
quell'arsione che si sentiva, parte per una certa alterazione d'animo, che non gli
lasciava far nulla con misura, gli diedero subito alla testa: a un bevitore un po'
esercitato non avrebbero fatto altro che levargli la sete. Su questo il nostro anonimo fa
una osservazione, che noi ripeteremo: e conti quel che può contare. Le abitudini
temperate e oneste, dice, recano anche questo vantaggio, che, quanto più sono inveterate
e radicate in un uomo, tanto più facilmente, appena appena se n'allontani, se ne risente
subito; dimodoché se ne ricorda poi per un pezzo; e anche uno sproposito gli serve di
scola.
Comunque sia, quando que' primi fumi
furono saliti alla testa di Renzo, vino e parole continuarono a andare, l'uno in giù e
l'altre in su, senza misura né regola: e, al punto a cui l'abbiam lasciato, stava già
come poteva. Si sentiva una gran voglia di parlare: ascoltatori, o almeno uomini presenti
che potesse prender per tali, non ne mancava; e, per qualche tempo, anche le parole eran
venute via senza farsi pregare, e s'eran lasciate collocare in un certo qual ordine. Ma a
poco a poco, quella faccenda di finir le frasi cominciò a divenirgli fieramente
difficile. Il pensiero, che s'era presentato vivo e risoluto alla sua mente, s'annebbiava
e svaniva tutt'a un tratto; e la parola, dopo essersi fatta aspettare un pezzo, non era
quella che fosse al caso. In queste angustie, per uno di que' falsi istinti che, in tante
cose, rovinan gli uomini, ricorreva a quel benedetto fiasco. Ma di che aiuto gli potesse
essere il fiasco, in una tale circostanza, chi ha fior di senno lo dica.
Noi riferiremo soltanto alcune delle
moltissime parole che mandò fuori, in quella sciagurata sera: le molte più che
tralasciamo, disdirebbero troppo; perché, non solo non hanno senso, ma non fanno vista
d'averlo: condizione necessaria in un libro stampato.
- Ah oste, oste! - ricominciò,
accompagnandolo con l'occhio intorno alla tavola, o sotto la cappa del cammino; talvolta
fissandolo dove non era, e parlando sempre in mezzo al chiasso della brigata: - oste che
tu sei! Non posso mandarla giù... quel tiro del nome, cognome e negozio. A un figliuolo
par mio...! Non ti sei portato bene. Che soddisfazione, che sugo, che gusto... di mettere
in carta un povero figliuolo? Parlo bene, signori? Gli osti dovrebbero tenere dalla parte
de' buoni figliuoli... Senti, senti, oste; ti voglio fare un paragone... per la ragione...
Ridono eh? Ho un po' di brio, sì... ma le ragioni le dico giuste. Dimmi un poco; chi è
che ti manda avanti la bottega? I poveri figliuoli, n'è vero? dico bene? Guarda un po' se
que' signori delle gride vengono mai da te a bere un bicchierino.
- Tutta gente che beve acqua, -
disse un vicino di Renzo.
- Vogliono stare in sé, - soggiunse
un altro, - per poter dir le bugie a dovere.
- Ah! - gridò Renzo: - ora è il
poeta che ha parlato. Dunque intendete anche voi altri le mie ragioni. Rispondi dunque,
oste: e Ferrer, che è il meglio di tutti, è mai venuto qui a fare un brindisi, e a
spendere un becco d'un quattrino? E quel cane assassino di don...? Sto zitto, perché sono
in cervello anche troppo. Ferrer e il padre Crrr... so io, son due galantuomini; ma ce
n'è pochi de' galantuomini. I vecchi peggio de' giovani; e i giovani... peggio ancora de'
vecchi. Però, son contento che non si sia fatto sangue: oibò; barbarie, da lasciarle
fare al boia. Pane; oh questo sì. Ne ho ricevuti degli urtoni; ma... ne ho anche dati.
Largo! abbondanza! viva!... Eppure, anche Ferrer... qualche parolina in latino... siés
baraòs trapolorum... Maledetto vizio! Viva! giustizia! pane! ah, ecco le parole
giuste!... Là ci volevano que' galantuomini... quando scappò fuori quel maledetto ton
ton ton, e poi ancora ton ton ton. Non si sarebbe fuggiti, ve', allora. Tenerlo lì quel
signor curato... So io a chi penso!
A questa parola, abbassò la testa,
e stette qualche tempo, come assorto in un pensiero: poi mise un gran sospiro, e alzò il
viso, con due occhi inumiditi e lustri, con un certo accoramento così svenevole, così
sguaiato, che guai se chi n'era l'oggetto avesse potuto vederlo un momento. Ma quegli
omacci che già avevan cominciato a prendersi spasso dell'eloquenza appassionata e
imbrogliata di Renzo, tanto più se ne presero della sua aria compunta; i più vicini
dicevano agli altri: guardate; e tutti si voltavano a lui; tanto che divenne lo zimbello
della brigata. Non già che tutti fossero nel loro buon senno, o nel loro qual si fosse
senno ordinario; ma, per dire il vero, nessuno n'era tanto uscito, quanto il povero Renzo:
e per di più era contadino. Si misero, or l'uno or l'altro, a stuzzicarlo con domande
sciocche e grossolane, con cerimonie canzonatorie. Renzo, ora dava segno d'averselo per
male, ora prendeva la cosa in ischerzo, ora, senza badare a tutte quelle voci, parlava di
tutt'altro, ora rispondeva, ora interrogava; sempre a salti, e fuor di proposito. Per
buona sorte, in quel vaneggiamento, gli era però rimasta come un'attenzione istintiva a
scansare i nomi delle persone; dimodoché anche quello che doveva esser più altamente
fitto nella sua memoria, non fu proferito: ché troppo ci dispiacerebbe se quel nome, per
il quale anche noi sentiamo un po' d'affetto e di riverenza, fosse stato strascinato per
quelle boccacce, fosse divenuto trastullo di quelle lingue sciagurate.