I Promessi Sposi
Capitolo XII
Era quello il second'anno di raccolta scarsa. Nell'antecedente, le
provvisioni rimaste degli anni addietro avevan supplito, fino a un certo segno, al
difetto; e la popolazione era giunta, non satolla né affamata, ma, certo, affatto
sprovveduta, alla messe del 1628, nel quale siamo con la nostra storia. Ora, questa messe
tanto desiderata riuscì ancor più misera della precedente, in parte per maggior
contrarietà delle stagioni (e questo non solo nel milanese, ma in un buon tratto di paese
circonvicino); in parte per colpa degli uomini. Il guasto e lo sperperìo della guerra, di
quella bella guerra di cui abbiam fatto menzione di sopra, era tale, che, nella parte
dello stato più vicina ad essa, molti poderi più dell'ordinario rimanevano incolti e
abbandonati da' contadini, i quali, in vece di procacciar col lavoro pane per sé e per
gli altri, eran costretti d'andare ad accattarlo per carità. Ho detto: più
dell'ordinario; perché le insopportabili gravezze, imposte con una cupidigia e con
un'insensatezza del pari sterminate, la condotta abituale, anche in piena pace, delle
truppe alloggiate ne' paesi, condotta che i dolorosi documenti di que' tempi uguagliano a
quella d'un nemico invasore, altre cagioni che non è qui il luogo di mentovare, andavano
già da qualche tempo operando lentamente quel tristo effetto in tutto il milanese: le
circostanze particolari di cui ora parliamo, erano come una repentina esacerbazione d'un
mal cronico. E quella qualunque raccolta non era ancor finita di riporre, che le
provvisioni per l'esercito, e lo sciupinìo che sempre le accompagna, ci fecero dentro un
tal vòto, che la penuria si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma
salutevole come inevitabile effetto, il rincaro.
Ma quando questo arriva a un certo
segno, nasce sempre (o almeno è sempre nata finora; e se ancora, dopo tanti scritti di
valentuomini, pensate in quel tempo!), nasce un'opinione ne' molti, che non ne sia cagione
la scarsezza. Si dimentica d'averla temuta, predetta; si suppone tutt'a un tratto che ci
sia grano abbastanza, e che il male venga dal non vendersene abbastanza per il consumo:
supposizioni che non stanno né in cielo, né in terra; ma che lusingano a un tempo la
collera e la speranza. Gl'incettatori di grano, reali o immaginari, i possessori di terre,
che non lo vendevano tutto in un giorno, i fornai che ne compravano, tutti coloro in somma
che ne avessero o poco o assai, o che avessero il nome d'averne, a questi si dava la colpa
della penuria e del rincaro, questi erano il bersaglio del lamento universale, l'abbominio
della moltitudine male e ben vestita. Si diceva di sicuro dov'erano i magazzini, i granai,
colmi, traboccanti, appuntellati; s'indicava il numero de' sacchi, spropositato; si
parlava con certezza dell'immensa quantità di granaglie che veniva spedita segretamente
in altri paesi; ne' quali probabilmente si gridava, con altrettanta sicurezza e con
fremito uguale, che le granaglie di là venivano a Milano. S'imploravan da' magistrati
que' provvedimenti, che alla moltitudine paion sempre, o almeno sono sempre parsi finora,
così giusti, così semplici, così atti a far saltar fuori il grano, nascosto, murato,
sepolto, come dicevano, e a far ritornar l'abbondanza. I magistrati qualche cosa facevano:
come di stabilire il prezzo massimo d'alcune derrate, d'intimar pene a chi ricusasse di
vendere, e altri editti di quel genere. Siccome però tutti i provvedimenti di questo
mondo, per quanto siano gagliardi, non hanno virtù di diminuire il bisogno del cibo, né
di far venire derrate fuor di stagione; e siccome questi in ispecie non avevan certamente
quella d'attirarne da dove ce ne potesse essere di soprabbondanti; così il male durava e
cresceva. La moltitudine attribuiva un tale effetto alla scarsezza e alla debolezza de'
rimedi, e ne sollecitava ad alte grida de' più generosi e decisivi. E per sua sventura,
trovò l'uomo secondo il suo cuore.
Nell'assenza del governatore don
Gonzalo Fernandez de Cordova, che comandava l'assedio di Casale del Monferrato, faceva le
sue veci in Milano il gran cancelliere Antonio Ferrer, pure spagnolo. Costui vide, e chi
non l'avrebbe veduto? che l'essere il pane a un prezzo giusto, è per sé una cosa molto
desiderabile; e pensò, e qui fu lo sbaglio, che un suo ordine potesse bastare a produrla.
Fissò la meta (così chiamano qui la tariffa in materia di commestibili), fissò
la meta del pane al prezzo che sarebbe stato il giusto, se il grano si fosse comunemente
venduto trentatré lire il moggio: e si vendeva fino a ottanta. Fece come una donna stata
giovine, che pensasse di ringiovinire, alterando la sua fede di battesimo.
Ordini meno insensati e meno iniqui
eran, più d'una volta, per la resistenza delle cose stesse, rimasti ineseguiti; ma
all'esecuzione di questo vegliava la moltitudine, che, vedendo finalmente convertito in
legge il suo desiderio, non avrebbe sofferto che fosse per celia. Accorse subito ai forni,
a chieder pane al prezzo tassato; e lo chiese con quel fare di risolutezza e di minaccia,
che dànno la passione, la forza e la legge riunite insieme. Se i fornai strillassero, non
lo domandate. Intridere, dimenare, infornare e sfornare senza posa; perché il popolo,
sentendo in confuso che l'era una cosa violenta, assediava i forni di continuo, per goder
quella cuccagna fin che durava; affacchinarsi, dico, e scalmanarsi più del solito, per
iscapitarci, ognun vede che bel piacere dovesse essere. Ma, da una parte i magistrati che
intimavan pene, dall'altra il popolo che voleva esser servito, e, punto punto che qualche
fornaio indugiasse, pressava e brontolava, con quel suo vocione, e minacciava una di
quelle sue giustizie, che sono delle peggio che si facciano in questo mondo; non c'era
redenzione, bisognava rimenare, infornare, sfornare e vendere. Però, a farli continuare
in quell'impresa, non bastava che fosse lor comandato, né che avessero molta paura;
bisognava potere: e un po' più che la cosa fosse durata, non avrebbero più potuto.
Facevan vedere ai magistrati l'iniquità e l'insopportabilità del carico imposto loro,
protestavano di voler gettar la pala nel forno, e andarsene; e intanto tiravano avanti
come potevano, sperando, sperando che, una volta o l'altra, il gran cancelliere avrebbe
inteso la ragione. Ma Antonio Ferrer, il quale era quel che ora si direbbe un uomo di
carattere, rispondeva che i fornai s'erano avvantaggiati molto e poi molto nel passato,
che s'avvantaggerebbero molto e poi molto col ritornar dell'abbondanza; che anche si
vedrebbe, si penserebbe forse a dar loro qualche risarcimento; e che intanto tirassero
ancora avanti. O fosse veramente persuaso lui di queste ragioni che allegava agli altri, o
che, anche conoscendo dagli effetti l'impossibilità di mantener quel suo editto, volesse
lasciare agli altri l'odiosità di rivocarlo; giacché, chi può ora entrar nel cervello
d'Antonio Ferrer? il fatto sta che rimase fermo su ciò che aveva stabilito. Finalmente i
decurioni (un magistrato municipale composto di nobili, che durò fino al novantasei del
secolo scorso) informaron per lettera il governatore, dello stato in cui eran le cose:
trovasse lui qualche ripiego, che le facesse andare.
Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i
capelli nelle faccende della guerra, fece ciò che il lettore s'immagina certamente:
nominò una giunta, alla quale conferì l'autorità di stabilire al pane un prezzo che
potesse correre; una cosa da poterci campar tanto una parte che l'altra. I deputati si
radunarono, o come qui si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d'allora, si
giuntarono; e dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, sospensioni,
proposizioni in aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una
necessità sentita da tutti, sapendo bene che giocavano una gran carta, ma convinti che
non c'era da far altro, conclusero di rincarare il pane. I fornai respirarono; ma il
popolo imbestialì.
La sera avanti questo giorno in cui
Renzo arrivò in Milano, le strade e le piazze brulicavano d'uomini, che trasportati da
una rabbia comune, predominati da un pensiero comune, conoscenti o estranei, si riunivano
in crocchi, senza essersi dati l'intesa, quasi senza avvedersene, come gocciole sparse
sullo stesso pendìo. Ogni discorso accresceva la persuasione e la passione degli uditori,
come di colui che l'aveva proferito. Tra tanti appassionati, c'eran pure alcuni più di
sangue freddo, i quali stavano osservando con molto piacere, che l'acqua s'andava
intorbidando; e s'ingegnavano d'intorbidarla di più, con que' ragionamenti, e con quelle
storie che i furbi sanno comporre, e che gli animi alterati sanno credere; e si
proponevano di non lasciarla posare, quell'acqua, senza farci un po' di pesca. Migliaia
d'uomini andarono a letto col sentimento indeterminato che qualche cosa bisognava fare,
che qualche cosa si farebbe. Avanti giorno, le strade eran di nuovo sparse di crocchi:
fanciulli, donne, uomini, vecchi, operai, poveri, si radunavano a sorte: qui era un
bisbiglio confuso di molte voci; là uno predicava, e gli altri applaudivano; questo
faceva al più vicino la stessa domanda ch'era allora stata fatta a lui; quest'altro
ripeteva l'esclamazione che s'era sentita risonare agli orecchi; per tutto lamenti,
minacce, maraviglie: un piccol numero di vocaboli era il materiale di tanti discorsi.
Non mancava altro che un'occasione,
una spinta, un avviamento qualunque, per ridurre le parole a fatti; e non tardò molto.
Uscivano, sul far del giorno, dalle botteghe de' fornai i garzoni che, con una gerla
carica di pane, andavano a portarne alle solite case. Il primo comparire d'uno di que'
malcapitati ragazzi dov'era un crocchio di gente, fu come il cadere d'un salterello acceso
in una polveriera. - Ecco se c'è il pane! - gridarono cento voci insieme. - Sì, per i
tiranni, che notano nell'abbondanza, e voglion far morir noi di fame, - dice uno;
s'accosta al ragazzetto, avventa la mano all'orlo della gerla, dà una stratta, e dice: -
lascia vedere -. Il ragazzetto diventa rosso, pallido, trema, vorrebbe dire: lasciatemi
andare; ma la parola gli muore in bocca; allenta le braccia, e cerca di liberarle in
fretta dalle cigne. - Giù quella gerla, - si grida intanto. Molte mani l'afferrano a un
tempo: è in terra; si butta per aria il canovaccio che la copre: una tepida fragranza si
diffonde all'intorno. - Siam cristiani anche noi: dobbiamo mangiar pane anche noi, - dice
il primo; prende un pan tondo, l'alza, facendolo vedere alla folla, l'addenta: mani alla
gerla, pani per aria; in men che non si dice, fu sparecchiato. Coloro a cui non era
toccato nulla, irritati alla vista del guadagno altrui, e animati dalla facilità
dell'impresa, si mossero a branchi, in cerca d'altre gerle: quante incontrate, tante
svaligiate. E non c'era neppur bisogno di dar l'assalto ai portatori: quelli che, per loro
disgrazia, si trovavano in giro, vista la mala parata, posavano volontariamente il carico,
e via a gambe. Con tutto ciò, coloro che rimanevano a denti secchi, erano senza paragone
i più; anche i conquistatori non eran soddisfatti di prede così piccole, e, mescolati
poi con gli uni e con gli altri, c'eran coloro che avevan fatto disegno sopra un disordine
più co' fiocchi. - Al forno ! al forno! - si grida.
Nella strada chiamata la Corsia de'
Servi, c'era, e c'è tuttavia un forno, che conserva lo stesso nome; nome che in toscano
viene a dire il forno delle grucce, e in milanese è composto di parole così eteroclite,
così bisbetiche, così salvatiche, che l'alfabeto della lingua non ha i segni per
indicarne il suono. A quella parte s'avventò la gente. Quelli della bottega stavano
interrogando il garzone tornato scarico, il quale, tutto sbigottito e abbaruffato,
riferiva balbettando la sua trista avventura; quando si sente un calpestìo e un urlìo
insieme; cresce e s'avvicina; compariscono i forieri della masnada.
Serra, serra; presto, presto: uno
corre a chiedere aiuto al capitano di giustizia; gli altri chiudono in fretta la bottega,
e appuntellano i battenti. La gente comincia a affollarsi di fuori, e a gridare: - pane!
pane! aprite! aprite!
Pochi momenti dopo, arriva il
capitano di giustizia, con una scorta d'alabardieri. - Largo, largo, figliuoli: a casa, a
casa; fate luogo al capitano di giustizia, - grida lui e gli alabardieri. La gente, che
non era ancor troppo fitta, fa un po' di luogo; dimodoché quelli poterono arrivare, e
postarsi, insieme, se non in ordine, davanti alla porta della bottega.
- Ma figliuoli, - predicava di lì
il capitano, - che fate qui? A casa, a casa. Dov'è il timor di Dio? Che dirà il re
nostro signore? Non vogliam farvi male; ma andate a casa. Da bravi! Che diamine volete far
qui, così ammontati? Niente di bene, ne per l'anima, né per il corpo. A casa, a casa.
Ma quelli che vedevan la faccia del
dicitore, e sentivan le sue parole, quand'anche avessero voluto ubbidire, dite un poco in
che maniera avrebber potuto, spinti com'erano, e incalzati da quelli di dietro, spinti
anch'essi da altri, come flutti da flutti, via via fino al l'estremità della folla, che
andava sempre crescendo. Al capitano, cominciava a mancargli il respiro. - Fateli dare
addietro ch'io possa riprender fiato, - diceva agli alabardieri: - ma non fate male a
nessuno. Vediamo d'entrare in bottega: picchiate; fateli stare indietro.
- Indietro! indietro! - gridano gli
alabardieri, buttandosi tutti insieme addosso ai primi, e respingendoli con l'aste
dell'alabarde. Quelli urlano, si tirano indietro, come possono; dànno con le schiene ne'
petti, co' gomiti nelle pance, co' calcagni sulle punte de' piedi a quelli che son dietro
a loro: si fa un pigìo, una calca, che quelli che si trovavano in mezzo, avrebbero pagato
qualcosa a essere altrove. Intanto un po' di vòto s'è fatto davanti alla porta: il
capitano picchia, ripicchia, urla che gli aprano: quelli di dentro vedono dalle finestre,
scendon di corsa, aprono; il capitano entra, chiama gli alabardieri, che si ficcan dentro
anch'essi l'un dopo l'altro, gli ultimi rattenendo la folla con l'alabarde. Quando sono
entrati tutti, si mette tanto di catenaccio, si riappuntella; il capitano sale di corsa, e
s'affaccia a una finestra. Uh, che formicolaio!
- Figliuoli, - grida: molti si
voltano in su; - figliuoli, andate a casa. Perdono generale a chi torna subito a casa.
- Pane! pane! aprite! aprite! - eran
le parole più distinte nell'urlìo orrendo, che la folla mandava in risposta.
- Giudizio, figliuoli! badate bene!
siete ancora a tempo. Via, andate, tornate a casa. Pane, ne avrete; ma non è questa la
maniera. Eh!... eh! che fate laggiù! Eh! a quella porta! oibò oibò! Vedo, vedo:
giudizio! badate bene! è un delitto grosso. Or ora vengo io. Eh! eh! smettete con que'
ferri; giù quelle mani. Vergogna! Voi altri milanesi, che, per la bontà, siete nominati
in tutto il mondo! Sentite, sentite: siete sempre stati buoni fi... Ah canaglia!
Questa rapida mutazione di stile fu
cagionata da una pietra che, uscita dalle mani d'uno di que' buoni figliuoli, venne a
batter nella fronte del capitano, sulla protuberanza sinistra della profondità
metafisica. - Canaglia! canaglia! - continuava a gridare, chiudendo presto presto la
finestra, e ritirandosi. Ma quantunque avesse gridato quanto n'aveva in canna, le sue
parole, buone e cattive, s'eran tutte dileguate e disfatte a mezz'aria, nella tempesta
delle grida che venivan di giù. Quello poi che diceva di vedere, era un gran lavorare di
pietre, di ferri (i primi che coloro avevano potuto procacciarsi per la strada), che si
faceva alla porta, per sfondarla, e alle finestre, per svellere l'inferriate: e già
l'opera era molto avanzata.
Intanto, padroni e garzoni della
bottega, ch'erano alle finestre de' piani di sopra, con una munizione di pietre (avranno
probabilmente disselciato un cortile), urlavano e facevan versacci a quelli di giù,
perché smettessero; facevan vedere le pietre, accennavano di volerle buttare. Visto
ch'era tempo perso, cominciarono a buttarle davvero. Neppur una ne cadeva in fallo;
giacché la calca era tale, che un granello di miglio, come si suol dire, non sarebbe
andato in terra.
- Ah birboni! ah furfantoni! È
questo il pane, che date alla povera gente? Ahi! Ahimè! Ohi! Ora, ora! - s'urlava di
giù. Più d'uno fu conciato male; due ragazzi vi rimasero morti. Il furore accrebbe le
forze della moltitudine: la porta fu sfondata, l'inferriate, svelte; e il torrente
penetrò per tutti i varchi. Quelli di dentro, vedendo la mala parata, scapparono in
soffitta: il capitano, gli alabardieri, e alcuni della casa stettero lì rannicchiati ne'
cantucci; altri, uscendo per gli abbaini, andavano su pe' tetti, come i gatti.
La vista della preda fece
dimenticare ai vincitori i disegni di vendette sanguinose. Si slanciano ai cassoni; il
pane è messo a ruba. Qualcheduno in vece corre al banco, butta giù la serratura,
agguanta le ciotole, piglia a manate, intasca, ed esce carico di quattrini, per tornar poi
a rubar pane, se ne rimarrà. La folla si sparge ne' magazzini. Metton mano ai sacchi, li
strascicano, li rovesciano: chi se ne caccia uno tra le gambe, gli scioglie la bocca, e,
per ridurlo a un carico da potersi portare, butta via una parte della farina: chi,
gridando: - aspetta, aspetta, - si china a parare il grembiule, un fazzoletto, il
cappello, per ricever quella grazia di Dio; uno corre a una madia, e prende un pezzo di
pasta, che s'allunga, e gli scappa da ogni parte; un altro, che ha conquistato un
burattello, lo porta per aria: chi va, chi viene: uomini, donne, fanciulli, spinte,
rispinte, urli, e un bianco polverìo che per tutto si posa, per tutto si solleva, e tutto
vela e annebbia. Di fuori, una calca composta di due processioni opposte, che si rompono e
s'intralciano a vicenda, di chi esce con la preda, e di chi vuol entrare a farne.
Mentre quel forno veniva così messo
sottosopra, nessun altro della città era quieto e senza pericolo. Ma a nessuno la gente
accorse in numero tale da potere intraprender tutto; in alcuni, i padroni avevan raccolto
degli ausiliari, e stavan sulle difese; altrove, trovandosi in pochi, venivano in certo
modo a patti: distribuivan pane a quelli che s'eran cominciati a affollare davanti alle
botteghe, con questo che se n'andassero. E quelli se n'andavano, non tanto perché fosser
soddisfatti, quanto perché gli alabardieri e la sbirraglia, stando alla larga da quel
tremendo forno delle grucce, si facevan però vedere altrove, in forza bastante a tenere
in rispetto i tristi che non fossero una folla. Così il trambusto andava sempre crescendo
a quel primo disgraziato forno; perché tutti coloro che gli pizzicavan le mani di far
qualche bell'impresa, correvan là, dove gli amici erano i più forti, e l'impunità
sicura.
A questo punto eran le cose, quando
Renzo, avendo ormai sgranocchiato il suo pane, veniva avanti per il borgo di porta
orientale, e s'avviava, senza saperlo, proprio al luogo centrale del tumulto. Andava, ora
lesto, ora ritardato dalla folla; e andando, guardava e stava in orecchi, per ricavar da
quel ronzìo confuso di discorsi qualche notizia più positiva dello stato delle cose. Ed
ecco a un di presso le parole che gli riuscì di rilevare in tutta la strada che fece.
- Ora è scoperta, - gridava uno, -
l'impostura infame di que' birboni, che dicevano che non c'era né pane, né farina, né
grano. Ora si vede la cosa chiara e lampante; e non ce la potranno più dare ad intendere.
Viva l'abbondanza!
- Vi dico io che tutto questo non
serve a nulla, - diceva un altro: - è un buco nell'acqua; anzi sarà peggio, se non si fa
una buona giustizia. Il pane verrà a buon mercato, ma ci metteranno il veleno, per far
morir la povera gente, come mosche. Già lo dicono che siam troppi; l'hanno detto nella
giunta; e lo so di certo, per averlo sentito dir io, con quest'orecchi, da una mia comare,
che è amica d'un parente d'uno sguattero d'uno di que' signori.
Parole da non ripetersi diceva, con
la schiuma alla bocca, un altro, che teneva con una mano un cencio di fazzoletto su'
capelli arruffati e insanguinati. E qualche vicino, come per consolarlo, gli faceva eco.
- Largo, largo, signori, in
cortesia; lascin passare un povero padre di famiglia, che porta da mangiare a cinque
figliuoli -. Così diceva uno che veniva barcollando sotto un gran sacco di farina; e
ognuno s'ingegnava di ritirarsi, per fargli largo.
- Io? - diceva un altro, quasi
sottovoce, a un suo compagno: - io me la batto. Son uomo di mondo, e so come vanno queste
cose. Questi merlotti che fanno ora tanto fracasso, domani o doman l'altro, se ne staranno
in casa, tutti pieni di paura. Ho già visto certi visi, certi galantuomini che giran,
facendo l'indiano, e notano chi c'è e chi non c'è: quando poi tutto è finito, si
raccolgono i conti, e a chi tocca, tocca.
- Quello che protegge i fornai, -
gridava una voce sonora, che attirò l'attenzione di Renzo, - è il vicario di
provvisione.
- Son tutti birboni, - diceva un
vicino.
- Sì; ma il capo è lui, -
replicava il primo.
Il vicario di provvisione, eletto
ogn'anno dal governatore tra sei nobili proposti dal Consiglio de' decurioni, era il
presidente di questo, e del tribunale di provvisione; il quale, composto di dodici, anche
questi nobili, aveva, con altre attribuzioni, quella principalmente dell'annona. Chi
occupava un tal posto doveva necessariamente, in tempi di fame e d'ignoranza, esser detto
l'autore de' mali: meno che non avesse fatto ciò che fece Ferrer; cosa che non era nelle
sue facoltà, se anche fosse stata nelle sue idee.
- Scellerati! - esclamava un altro:
- si può far di peggio? sono arrivati a dire che il gran cancelliere è un vecchio
rimbambito, per levargli il credito, e comandar loro soli. Bisognerebbe fare una gran
stia, e metterli dentro, a viver di vecce e di loglio, come volevano trattar noi.
- Pane eh? - diceva uno che cercava
d'andar in fretta: - sassate di libbra: pietre di questa fatta, che venivan giù come la
grandine. E che schiacciata di costole ! Non vedo l'ora d'essere a casa mia.
Tra questi discorsi, dai quali non
saprei dire se fosse più informato o sbalordito, e tra gli urtoni, arrivò Renzo
finalmente davanti a quel forno. La gente era già molto diradata, dimodoché poté
contemplare il brutto e recente soqquadro. Le mura scalcinate e ammaccate da sassi, da
mattoni, le finestre sgangherate, diroccata la porta.
«Questa poi non è una bella
cosa», disse Renzo tra sé: «se concian così tutti i forni, dove voglion fare il pane?
Ne' pozzi?»
Ogni tanto, usciva dalla bottega
qualcheduno che portava un pezzo di cassone, o di madia, o di frullone, la stanga d'una
gramola, una panca, una paniera, un libro di conti, qualche cosa in somma di quel povero
forno; e gridando: - largo, largo, - passava tra la gente. Tutti questi s'incamminavano
dalla stessa parte, e a un luogo convenuto, si vedeva. «Cos'è quest'altra storia?»
pensò di nuovo Renzo; e andò dietro a uno che, fatto un fascio d'asse spezzate e di
schegge, se lo mise in ispalla, avviandosi, come gli altri, per la strada che costeggia il
fianco settentrionale del duomo, e ha preso nome dagli scalini che c'erano, e da poco in
qua non ci son più. La voglia d'osservar gli avvenimenti non poté fare che il montanaro,
quando gli si scoprì davanti la gran mole, non si soffermasse a guardare in su, con la
bocca aperta. Studiò poi il passo, per raggiunger colui che aveva preso come per guida;
voltò il canto, diede un'occhiata anche alla facciata del duomo, rustica allora in gran
parte e ben lontana dal compimento; e sempre dietro a colui, che andava verso il mezzo
della piazza. La gente era più fitta quanto più s'andava avanti, ma al portatore gli si
faceva largo: egli fendeva l'onda del popolo, e Renzo, standogli sempre attaccato, arrivò
con lui al centro della folla. Lì c'era uno spazio vòto, e in mezzo, un mucchio di
brace, reliquie degli attrezzi detti di sopra. All'intorno era un batter di mani e di
piedi, un frastono di mille grida di trionfo e d'imprecazione.
L'uomo del fascio lo buttò su quel
mucchio; un altro, con un mozzicone di pala mezzo abbruciacchiato, sbracia il fuoco: il
fumo cresce e s'addensa; la fiamma si ridesta; con essa le grida sorgon più forti. - Viva
l'abbondanza! Moiano gli affamatori! Moia la carestia! Crepi la Provvisione! Crepi la
giunta! Viva il pane!
Veramente, la distruzion de'
frulloni e delle madie, la devastazion de' forni, e lo scompiglio de' fornai, non sono i
mezzi più spicci per far vivere il pane; ma questa è una di quelle sottigliezze
metafisiche, che una moltitudine non ci arriva. Però, senza essere un gran metafisico, un
uomo ci arriva talvolta alla prima, finch'è nuovo nella questione; e solo a forza di
parlarne, e di sentirne parlare, diventerà inabile anche a intenderle. A Renzo in fatti
quel pensiero gli era venuto, come abbiam visto, da principio, e gli tornava ogni momento.
Lo tenne per altro in sé; perché, di tanti visi, non ce n'era uno che sembrasse dire:
fratello, se fallo, correggimi, che l'avrò caro.
Già era di
nuovo finita la
fiamma; non si vedeva più venir nessuno con altra materia, e la gente cominciava a
annoiarsi; quando si sparse la voce, che, al Cordusio (una piazzetta o un crocicchio non
molto distante di lì), s'era messo l'assedio a un forno. Spesso, in simili circostanze,
l'annunzio d'una cosa la fa essere. Insieme con quella voce, si diffuse nella moltitudine
una voglia di correr là: - io vo; tu, vai? vengo; andiamo, - si sentiva per tutto: la
calca si rompe, e diventa una processione. Renzo rimaneva indietro, non movendosi quasi,
se non quanto era strascinato dal torrente; e teneva intanto consiglio in cuor suo, se
dovesse uscir dal baccano, e ritornare al convento, in cerca del padre Bonaventura, o
andare a vedere anche quest'altra. Prevalse di nuovo la curiosità. Però risolvette di
non cacciarsi nel fitto della mischia, a farsi ammaccar l'ossa, o a risicar qualcosa di
peggio; ma di tenersi in qualche distanza, a osservare. E trovandosi già un poco al
largo, si levò di tasca il secondo pane, e attaccandoci un morso, s'avviò alla coda
dell'esercito tumultuoso.
Questo, dalla piazza, era già
entrato nella strada corta e stretta di Pescheria vecchia, e di là, per quell'arco a
sbieco, nella piazza de' Mercanti. E lì eran ben pochi quelli che, nel passar davanti
alla nicchia che taglia il mezzo della loggia dell'edifizio chiamato allora il collegio
de' dottori, non dessero un'occhiatina alla grande statua che vi campeggiava, a quel viso
serio, burbero, accipigliato, e non dico abbastanza, di don Filippo II, che, anche dal
marmo, imponeva un non so che di rispetto, e, con quel braccio teso, pareva che fosse lì
per dire: ora vengo io, marmaglia.
Quella statua non c'è più, per un
caso singolare. Circa cento settant'anni dopo quello che stiam raccontando, un giorno le
fu cambiata la testa, le fu levato di mano lo scettro, e sostituito a questo un pugnale; e
alla statua fu messo nome Marco Bruto. Così accomodata stette forse un par d'anni; ma,
una mattina, certuni che non avevan simpatia con Marco Bruto, anzi dovevano avere con lui
una ruggine segreta, gettarono una fune intorno alla statua, la tiraron giù, le fecero
cento angherie; e, mutilata e ridotta a un torso informe, la strascicarono, con gli occhi
in fuori, e con le lingue fuori, per le strade, e, quando furon stracchi bene, la
ruzzolarono non so dove. Chi l'avesse detto a Andrea Biffi, quando la scolpiva !
Dalla piazza de' Mercanti, la
marmaglia insaccò, per quell'altr'arco, nella via de' fustagnai, e di lì si sparpagliò
nel Cordusio. Ognuno, al primo sboccarvi, guardava subito verso il forno ch'era stato
indicato. Ma in vece della moltitudine d'amici che s'aspettavano di trovar lì già al
lavoro, videro soltanto alcuni starsene, come esitando, a qualche distanza della bottega,
la quale era chiusa, e alle finestre gente armata, in atto di star pronti a difendersi. A
quella vista, chi si maravigliava, chi sagrava, chi rideva; chi si voltava, per informar
quelli che arrivavan via via; chi si fermava, chi voleva tornare indietro, chi diceva: -
avanti, avanti -. C'era un incalzare e un rattenere, come un ristagno, una titubazione, un
ronzìo confuso di contrasti e di consulte. In questa, scoppiò di mezzo alla folla una
maledetta voce: - c'è qui vicino la casa del vicario di provvisione: andiamo a far
giustizia, e a dare il sacco -. Parve il rammentarsi comune d'un concerto preso,
piùttosto che l'accettazione d'una proposta. - Dal vicario! dal vicario! - è il solo
grido che si possa sentire. La turba si move, tutta insieme, verso la strada dov'era la
casa nominata in un così cattivo punto.