Così avviene in occasione del matrimonio imposto alla figlia appena sedicenne, Eleonora, allo scopo di ottenere la salvezza di Francesco. Di fronte alle esitazioni e ai rimorsi di Isabella, interviene Niccolò Machiavelli con queste parole:
"Per comandare le cose forti, signora, bisogna essere forti. E voi lo siete. L'umanità si può usare solo nella vita privata. E chi non ha altezza d'animo non può comandare uno stato."5 |
A ben vedere, in effetti, Isabella ha in sè molti degli elementi che Machiavelli attribuisce al proprio Principe: un forte senso dello stato, inteso come possesso di un sovrano che eserciti pienamente il proprio potere - beninteso, per Isabella, sempre in vista del bene comune6; la separazione - in genere - dell'azione politica da un rigido codice morale; un totale disincanto nell'accostarsi alla cosa pubblica, evitando chimere e disegni irrealizzabili, com'era invece tipico dell'allora nascente tradizione utopistica7; una fiducia ancora piuttosto spiccata nella possibilità che l'uomo ha di modificare il corso degli eventi per mezzo della propria virtù, opponendosi al cieco caso anche attraverso il calcolo e la previsione8 .
5 Maria Bellonci, op. cit., pg. 175
6 "Quel diciottenne, con il cuore acceso dei giovani," scrive la marchesa riguardo al faentino Astorre Manfredi, "dimostrava di sentire l'idea di unità fra la città e il signore, tra il signore e il popolo." (Maria Bellonci, op. cit., pg. 30).
E ancora, parlando del padre Ercole: "Si rimetteva a loro perché giudicassero lui e la guerra stessa, lo considerassero un uomo come loro e come loro esposto all'invasore veneziano. La città intera fu dalla sua parte." (Maria Bellonci, op. cit., pg. 31)
7 Si ricordi in particolare la teoria dello "stato ideale" formulata in prima battuta da Thomas More, che - pubblicata nel 1516 la sua Utopia - definisce la letteratura utopistica come "un'invenzione per mezzo della quale la verità, come rivestita di miele, può insinuarsi più dolcemente nella mente degli uomini" (Thomas More, Lettera a Peter Giles, 1517).
Allo stesso modo andrebbero citate altre note opere, contemporanee o di poco posteriori al prototipo di More, come la Città del Sole di Tommaso Campanella (1623), la Città felice di Francesco Patrizi, i Mondi di Anton Francesco Doni (1553), la Repubblica immaginaria di Ludovico Agostini, la Christianapolis di Johann Valentin Andreae (1619).
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8 Il tema del rapporto tra virtù e fortuna è centrale nell'intero pensiero umanistico - rinascimentale. Con l'Oratio de hominis dignitate Pico della Mirandola (1487) celebra con passione il libero arbitrio dell'uomo, "non costretto entro chiusa veruna"; sulle sue posizioni troviamo anche Coluccio Salutati, nella sua strenua difesa del primato della volontà (specialmente nel De fato, fortuna et casu), e Poggio Bracciolini (che nel Liber de nobilitate esalta la potenza della virtù, vittoriosa sulla fortuna).
Più problematico l'approccio di Leon Battista Alberti, che riflettendo sulla parabola discendente di Roma e sull'incertezza dei tempi s'interroga "se mai tanto nelle cose umane possa la fortuna, o se a lei sia questa soperchia licentia concesso, con sua instabilitate e incostantia porre in ruina le grandissime e prestantissime famiglie." (Leon Battista Alberti, Prologo ai Libri della famiglia).
![]() [Anonimo Fiorentino, Niccolò Machiavelli, 1500 ca] |
La conclusione tuttavia resta nel segno di un ottimistico trionfo della virtù: "Non è potere della fortuna, non è, come alcuni sciocchi credono, così facile vincere chi non voglia essere vinto. Tiene gioco la fortuna solo a chi se gli sottomette."
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Molto più drastico sarà invece Guicciardini, che nel trentesimo ricordo scrive: "Chi considera bene, non può negare che nelle cose umane la fortuna ha grandissima potestà, perché si vede che a ognora si ricevono grandissimi moti da accidenti fortuiti, e che non è in potestà degli uomini né a prevedergli né a schivarli: e benché lo accorgimento e sollecitudine degli uomini possa moderare molte cose, nondimeno da sola non basta, ma gli bisogna ancora la buona fortuna".