Vendetta nella società dei poemi omerici
La società raffigurata nei poemi appartiene al IX-VIII secolo a.C., tuttavia è bene ricordare che accanto ad essa sono presenti anche numerosi elementi che risalgono a stratificazioni di tradizioni antecedenti.
I poemi omerici assolvono la loro funzione paideutica e di conservazione dei valori in una società orale-aurale proponendo dei modelli di comportamento in taluni personaggi (ad esempio Ulisse/Tersite e Penelope/Clitemnestra); questi divenivano quindi dei paradigmi della timè, che veniva assegnata a ciascuno dalla démou phémis in base all'aderenza ai modelli proposti (meccanismo della società della vergogna).
In Omero non esiste ancora il diritto, ma è la vendetta a regolare e mantenere gli equilibri sociali: in una società dominata dalla vergogna, in cui la competizione è fortissima (per inciso la massima virtù dell'eroe era la bìa, concetto che troviamo anche in Esiodo), gli equilibri sociali si fondavano esclusivamente sulla dòxa.
A ciascun individuo era attribuita una timé che era tenuto a mantenere; non c'era coscienza del torto o del reato come socialmente sbagliati di per se stessi, ma essi si verificavano nel momento in cui la timè di un pari od un superiore veniva offesa: allora era dovere della "parte lesa" ristabilire gli equilibri sociali, utilizzando lo strumento previsto, che era appunto la vendetta (esercizio sociale della bìa).
Nei Poemi Omerici compaiono per la prima volta, marginalmente, delle virtù collaborative:
dikaiosùne dìke thémis;
questi termini indicano diverse sfumature del concetto di giustizia. Inoltre sono presenti solamente due personaggi che hanno la caratteristica di essere giusti (ma questo non è vero in tutte le occasioni): un uomo, Ulisse, ed un dio, Zeus.
Compare inoltre per la prima volta la poiné, la compensazione per il torto.
In un primo momento accettare la poiné era considerata un'azione vile ed indegna per un eroe; equivaleva ad una rinuncia della difesa della timé tramite la bìa, l'unico strumento considerato accettabile.
In seguito la poiné fu giudicata in modo positivo come strumento di mantenimento degli equilibri sociali, ed iniziò anche ad essere considerata soddisfacente dal punto di vista psicologico [1].
[1] Omero, Iliade, Canto IX
"Orgoglioso, selavaggio è il cuore che ha Achille nel petto; folle, crudele, egli non cura l'amicizia dei suoi compagni che presso le navi lo onoravano sopra di tutti. Eppure c'è chi accettò il prezzo [poiné] del fratello ammazzato, del figlio ucciso; e tra la sua gente rimane l'uno, dopo aver pagato un gran prezzo, mentre l'altro, che ha accettato il riscatto, frena il cuore e l'animo arrogante."
trad. Maria Grazia Ciani (Marsilio)
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Aiace Telamonio, il guerriero acheo più forte dopo Achille (e quindi il secondo anche per timé), gli rimprovera il suo rifiuto della poiné tributatagli dagli Achei: Aiace sostiene infatti che la timé di Achille sarebbe uscita accresciuta proprio per aver privilegiato il rapporto con amici ed alleati piuttosto che l'ostilità verso chi gli avesse recato offesa.
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