SENSO



Questo film di Visconti, uscito nelle sale cinematografiche nel 1954, è il primo nato da una stretta collaborazione con Suso Cecchi D'Amico, sceneggiatrice che resterà al fianco del registra fino alla sua morte. In Senso la loro "simbiosi" artistico-intellettuale non aveva raggiunto ancora quell'intensità che permise poi alla scrittrice di lavorare anche da sola, tanto la loro intesa s'intesificherà e tanto ella si addentrerà e comprenderà profondamente le concezioni, le intenzioni e gli scopi che l'esigente regista si prefiggeva con i suoi films. La gestazione di Senso fu così molto lunga, e i due lavorarono assiduamente insieme per mettere a punto quei mezzi tecnico-espressivi indispensabili a trasferire sulla pellicola un testo considerato sempre di natura strettamente letteraria, anche se sotto forma di sceneggiatura. Infatti l'alto livello artistico di Senso fece sì che questa produzione viscontiana di fatto fosse la prima a incontrare il favore del pubblico, anche se, nonostante le prudenze da parte dell'autore per non incontrare polemiche, reazioni pericolose per l'equilibrio sociale e politico (aspetti delicati nell'Italia di quegli anni) nonché censure, costituì motivo di scontro fra sostenitori e detrattori già alla Mostra di Venezia del '54.


Il regista, con la sua solita acribia, aggiusta il copricapo
a una comparsa.

Nella generale crisi ideologica e politica, un'interpretazione non ufficiale della sconfitta dell'esercito italiano a Custoza nella Terza guerra d'indipendenza, ambientazione scelta come ripiego di un film d'attualità, si può ben comprendere come abbia potuto sollevare paure, tensioni, polemiche, e i tagli censori non mancarono. Però, con riferimenti evidentemente rintracciabili nella poetica verista manzoniana, non fu solo la scelta di un momento storico critico interpretato in modo "scomodo" a suscitare critiche e interventi sulla rappresentazione: anche la più sottile e meno facilmente attaccabile resa, attraverso la vicenda umana dei due protagonisti, di quell'epoca specchio della novecentesca,  costituì la vera denuncia socio-politica.

 


Alida Valli nei panni della contessa Livia Serpieri
sul set di Senso (1954). Alle sue spalle il regista
che scruta intensamente la scena.

La traccia narrativa e drammatica dell'amore fra i due personaggi venne attinta dal regista da una novella di Boito definita dallo stesso "scartafaccio segreto della Contessa Livia"; questo scritto infatti si presenta come una lunga confessione sentimentale di una nobildonna veneta, inserendosi pienamente nella tradizione romantica della narrativa diaristica o epistolare. Ora si vede come lo sforzo, rintracciabile nella lunga redazione delle sceneggiature, fosse diretto a fondere armoniosamente in una decadente atmosfera il contesto storico con la vicenda intima, che forniva non pochi spunti drammatici, e questa, come fu una delle abilità del Manzoni, lo fu anche del Visconti, il quale ha dato a ogni personaggio la giusta dimensione storica e sociale, mantenendosi coerente con le linee di quel tipo di realismo che non era stile, ma un modo artistico e culturale di affrontatre la realtà umana e sociale dandone un rappresentazione plastica.
Venendo poi a essere predominante, per volere dello stesso autore che tagliò buona parte delle scene belliche, il dramma dell'amore travolgente, adultero, vissuto con dolore fino a un darsi totale e poi tradito e addirittura schernito, il film fornisce spunti di riflessione universale su un certo tipo di sentire umano e pone interrogativi di non poca complessità sull'essenza dell'amare; questi spunti rivelano aspetti che vanno quindi al di là della funzione simbolica per cui l'animo del singolo è l'animo dell'epoca in cui è inserito, ma diventano, in modo sublime, tragici in sé, e oltre all'abilità tecnico-artistica mettono in luce la grandezza interiore di Visconti artista.

Il film inizia con le riprese delle sontuose decorazioni del teatro "La Fenice" accompagnate dal  canto del Trovatore verdiano cui assistono in platea anche ufficiali austriaci; lo spettatore è poi subito messo a contatto con il clima di tensione che regnava a Venezia alla vigilia della battaglia di Custoza: alla fine del primo tempo dell'opera, dalle alte balconate piovono insulti insieme a volantini e fiori tricolori; si scatena una grande confusione fino al punto in cui Roberto Ussoni, uno dei capi del movimento rivoluzionario nonché cugino della bella Livia Serpieri, arriva a sfidare a duello un affasciante ufficiale austriaco.
La contessa, moglie di un nobile funzionario filoaustriaco, dal suo palco assiste alla contesa e si preoccupa fortemente per il parente verso cui prova un grande affetto, oltre a condividerne le ideologie politiche, e interviene perché l'indomani non si verifichi lo scontro. E' così che Livia conosce Franz.


L'attore Farley Granger nel ruolo di Franz Mahler, che viene
istruito da Visconti durante la scena nella villa di campagna
di Livia.

Subito, nel chiedergli molto prudentemente di lasciar perdere sciocchi duelli, resta affascinata dall'avvenenza del giovane e imbarazzata si allontana con il marito fingendo un malore.
La sera dopo, evidentemente falliti i tentativi i Livia, il cugino è costretto ad andare in esilio, e proprio mentre lei, disperata, è andata a dargli l'ultimo saluto prima della partenza, rincontra Franz, che subito le si avvicina con fare spavaldo e tenta di instaurare una conversazione con un incipit invero un po' provocatorio: insinua che Roberto sia l'amante di lei.
Lei se ne va, lui la segue, lei continua a camminare e lui praticamente comincia a inseguirla, lei un po' gli parla, lui la incalza con avances e così inizia, fra reticenze e cedimenti, fra le calli, i ponti, le piazze, nell'atmosfera decadente e notturna della città deserta, in cui risalta l'ampio mantello bianco dell'ufficiale, la lunga passeggiata che segna l'avvio della loro storia d'amore, o meglio dell'innamoramento folle di Livia.

La voce fuori campo della protagonista che ricorda e descrive il febbrile stato d'animo nei giorni che seguirono quella passeggiata esplicita il conflitto interiore della donna, che alla fine consapevole di usare come scusa il desiderio di aver notizie del cugino, va da lui. Inizia la loro clandestina relazione in una stanza affittata, relazione vissuta con senso di colpa e travaglio, ma allo stesso tempo troppo travolgente per essere interrotta, finché sarà lo stesso Franz a sparire di punto in bianco. Lei, fin da un mancato appuntamento si agita, comincia ad angosciarsi, a soffrire e decide di andare da lui, di cercarlo a casa sua, ma non lo trova. Ormai presa dalla disperazione Livia vaga sotto la pioggia per la città, quando un giorno, tornata da un'altra vana ricerca, la domestica le dice che è passato un uomo a cercarla e che la attende a un certo indirizzo, ed ella, nonostante il marito ormai sospetti e stia per scendere le scale a chiederle spiegazioni, esce e comincia a correre seguita dal coniuge verso la casa dove crede l'attenda il suo amante. Arrivano insieme davanti alla porta, lei con fermezza confessa tutto, ma quando entrano nell'appartamento è il cugino Roberto ad accoglierli. Devono partire per rifugiarsi in campagna, la guerra sta per scoppiare e Venezia non è sicura. Livia addolorata si fa persuadere dalle parole del parente che le affida il denaro messo da parte dai rivoluzionari.
Livia ormai rassegnata di fronte all'abbandono da parte dell'amato, trascorre qualche tempo nella casa di campagna, pur non riuscendo a darsi del tutto pace, ed ha compreso e razionalizzato un'esperienza che vede bene come deplorevole e immorale: non si sarebbe più lasciata trascinare da una passione così insulsa, era stata una debole sciocca ad aver ceduto a Venezia a un uomo più giovane, un ufficiale dell'esercito nemico; aveva tradito suo marito, suo cugino, la patria, era stata con se stessa troppo poco intransigente, poco matura.
Ma ecco che una notte, svegliata da un gran fracasso, abbaiare di cani e urla delle domestiche, si trova proprio nella sua camera da letto Franz in persona, che era fuggito dal campo di battaglia e non sapendo dove andare era andato da Livia e in piena notte si era arrampicato e aveva raggiunto il suo balcone. Lei, smentendo immediatamente i propositi da poco formulati, lo nasconde e gli concede di restare per quella notte, fino all'alba, quando egli dovrà partire.
Meravigliosa è la scena del dialogo fra i due quella serra, in cui il giovane riesce completamente e volontariamente a ribaltare tutte le sicurezze che lei faticosamente era riuscita a darsi stando lontano da lui; ora sfacciatamente sdraiato sul divano, mentre lei sconvolta gli dà le spalle seduta davanti allo specchio, la seduce senza amore, con speculato calcolo, con sottile e subdola abilità psicologica, con scuse ben costruite riguardo il suo allontanamento, le fa dire che lo ama ancora, la rigetta nella passione incontrollabile al punto che lei finisce col vegliarlo per tutta la notte mentre dorme sulle sue gambe.


L'intensa scena del granaio, durante la quale Livia è ormai completa-
mente alla mercè del suo perfido amante.

E' l'inizio della caduta definitiva: da allora lei lo amerà con vigore e trasporto rinnovati, il mattino dopo non lo lascerà andare via, felice lo nasconderà nel granaio e di nuovo incosciente e cieca si lascerà raggirare. Franz infatti è lì per un motivo molto venale e non certo per amore, ha bisogno di denaro con cui corrompere i medici e farsi esonerare dal servizio militare. Era stato tanto vile da spedire in esilio un uomo pur di non affrontarlo in un duello, tanto meno avrebbe avuto il coraggio di andare in guerra.

Lei d'altra parte, sinceramente innamorata, ha il terrore che a lui accadano le stesse sciagure che Franz stesso le ha detto che accadono sul campo, e quando lo vede andare via non può resistere e gli dà il denaro dei rivoluzionari.
Questo è uno dei momenti più drammatici di tutto il film: Livia con questo gesto consacra e sacrifica tutto, letteralmente tutto, a questo amore, a questo uomo che lo spettatore sa essere meschino, egoista, bugiardo: lui un vile ragazzotto dell'esercito, lei nobile, sincera, dignitosa dama veneziana.
Ma perché lei veda, perché lo spessissimo velo di Maya venga tolto, non passerà molto tempo, ma sarà tanto forte e doloroso quanto il suo amore era intenso e vero.

A questo punto la struttura profondamente melodrammatica del film giunge al suo quarto atto, seguendo da un lato l'andamento dell'opera verdiana sulle cui note "la tragedia" aveva avuto inizio, dall'altro reggendosi sui temi musicali della settima sinfonia di Bruckner, musicista che in un certo senso preannunciò la decadenza del mito asburgico e la cui melodia armoniosa risulta eccezionalmente legata in modo pregnante con la vicenda. La musica non ha una una mera funzione di accompagnamento o commento, ma è la struttura musicale del testo; e questa è una caratteristica della produzione viscontiana che diverrà costante, fondamentale e che nasce proprio dall'amore che l'autore nutriva per il sinfonismo germanico, da Beethoven a Mahler attraverso Wagner e Brucker e Mozart, associato magistralemente al melodramma italiano, e questi due elementi a loro volta armoniosamente uniti alla sua passione in ambito letterario per la narrativa ottocentesca e il romanzo europeo con Balzac, Tolstoj, Nievo, ma soprattutto Stendhal, e in ambito figurativo per i macchiaoli, fino a Fattori, Silvestro Lega o Telemaco Signorini e per gli stranieri, quali Feuerbach e Hayez. Ed è così che Visconti riesce nella sua creazione filmica a trasferire con perfetto equilibrio e in una perfetta unità tutti gli elementi compositivi del film, elementi di matrice artistica, come si vede,e secondo i suoi gusti, per cui con una visione attenta si possono cogliere i passaggi continui e motivati dalle parole ai suoni e viceversa, tra la recitazione e il canto, tra le inquadrature, le descrizioni d'ambiente e l'illustrazione dei sentimenti all'interno della struttura drammatica.
Il legame fra la storia di un amore sordido e una società in decadenza, la fine di un regno, il crollo dei valori etici ed estetici su cui si era retto diventa tragicamente palese nella  figura del tenente Mahler che non riesce a uscire dal chiuso del suo egoistico romanticismo, della sua ambiguità esistenziale, pur presentendo la propria fine, pur avendo coscienza della morte; così, quando Livia, che aveva ormai deciso di abbandonare letteralmente tutto per andare a Verona a vivere per sempre con lui, giunge nel suo appartamento, lo trova ubriaco, disastrato, in compagnia di una prostituta e senza più la sua bianca divisa. Le ride in faccia lui, straziato e crudele, lucido e pur folle, suicida e assassino, e dopo ever fatto sedere allo stesso tavolo le due donne, con un ironia che ha sapore di morte dice: "Che differenza c'è fra voi due?!". E dopo una serie di insulti, spie di quella rabbia e di quel furore, così forti perché perdenti, e così inconfessabilmente rivolti a se stesso, unica causa della sua morte, e che neanche di fronte al pianto disperato di Livia si attenuano, anzi li rafforza l'invisibile senso di colpa, ella corre via e la risata di lui fa da eco.
Egli l'ha uccisa, ha ucciso il suo amore totalizzante, lo scopo della sua vita, l'essenza stessa della sua vita, ha trasformato e ribaltato in reale terribile le speranze dolci su cui lei si era lasciata cullare durante il viaggio per raggiungerlo e realizzare l'amore; ora lei non può che, morto l'ideale, uccidere l'ufficiale disertore, semplicemente denunciandolo, per poi correre via urlando il nome di chi aveva amato, follemente forse, ciecamente certamente, ma amato; diventa difficile non chiedersi se l'amore possa essere di altra natura.