Scuola Privata confessionale
di Massimo Marzocchi

E' sorprendente per uno studente che vive ed è a conoscenza dei problemi quotidiani della scuola ritrovare le stesse tematiche in un articolo datato gennaio 1968. Questa è stata la mia reazione leggendo un articolo di Berchet 68 intitolato "Scuola Privata Confessionale", in cui emerge in tutta la sua complessità la questione della scuola cattolica e di possibili finanziamenti a suo favore. Ed è ancora più stupefacente scoprire come questo problema si già trattato da Gaetano Salvemini nel 1914. Ecco il testo dell'articolo che ci illustra l'opinione di un berchettiano di trent'anni fa su questa annosa questione:

«La politica scolastica del partito clericale non può essere in Italia che una sola: deprimere la scuola pubblica, non far nulla per migliorarla e più largamente dotarla; favorire le scuole private confessionali con sussidi pubblici, e con sedi d'esami, con pareggiamenti; rafforzata a poco a poco la scuola privata confessionale e disorganizzata la scuola pubblica, sopprimere al momento opportuno questa e presentare come unica salvatrice della gioventù quella. Programma terribilmente pericoloso perchè non richiede nessuno sforzo di lotta attenta ed attiva ma solo di una tranquilla e costante inerzia, troppo comoda per i nostri burocrati e per i nostri politicanti, troppo facile per l'oligarchia opportunista che ci sgoverna». Così scriveva nel 1914 Gaetano Salvemini. 

Dopo oltre mezzo secolo la situazione della scuola italiana ancora non ci consente di considerare superata la fase salveminiana. Occorre innanzi tutto a questo proposito osservare  come il problema presenti due aspetti apparentemente distinti che però si intrecciano e finiscono col coincidere: l'aspetto politico della scuola non statale, e l'aspetto morale, o, se si preferisce pedagogico, della scuola confessionale.

Ho detto che le due cose finiscono col coincidere perché entrambe sono espressione di una unica realtà: la soggezione dello Stato alla Chiesa, soggezione che investe tutta la vita italiana: coercizioni nel campo dello spettacolo e della stampa, clamorose evasione nel campo fiscale, arrogante difesa di ingiusti monopoli nel campo dell'istruzione. Mi soffermo su quest'ultimo apsetto, visto che in questa sede è quello che ci deve interessare maggiormente. La piaga è evidente a ogni livello dell'istruzione pubblica, dagli asili all'università. E mi spiego. Cominciamo con l'asilo infantile detto anche, a dispetto della più moderna pedagogia, ma in ossequio alle suore, scuola materna. Come tutti ricorderanno questo tema ha provocato ben due crisi di governo. Allora i motivi di divergenza all'interno della maggioranza furono due: l'istituzione della scuola materna statale e la scelta del personale insegnante (se dovessero essere solo donne o anche uomini). I portarono difficili argomentazioni pedagogiche per coprire certe esigenze politiche ben precise. Quanto al secondo problema, quello della scelta del corpo insegnante, la spiegazione politica è semplicissima e ce la fornisce la stessa relazione di magggioranza firmata dal sen. Alfredo Moneti, democristiano:

Istituti pubblici: educatrici 12.366, di cui monache 5.348

Istituti priv. laici: educatrici 13.962, di cui monache 9.781

Istituti priv.religiosi: educatrici 9091, di cui monache 8051.

Quanto invece al primo punto si cercò di dimostrare come la scuola materna è un "ambiente di educazione e di formazione" che "prepara il bambino alla fanciullezza e quindi alla scuola elementare e non invece un istituto di istruzione preparatoria alla scuola elementare.

Questo voler dimostrare il carattere prescolastico e assistenziale della scuola materna anziché considerarla un ente scolastico ed educativo, che cosa voleva in realtà significare? Solo questo: se la scuola materna fosse una scuola, non potrebbero gli asili infantili privati essere finanziati dallo Stato (art.33 c 34 della Costituzione). Essendo invece un ente prescolastico ciò può avvenire (art.31) come spiega esplicitamente lo stesso sen. Moneti.




In realtà quello delle scuole private è un problema estremamente grave, che investe tutto il campo dell'istruzione pubblica. (Ma non è un controsenso parlare di istruzione pubblica riferendosi agli istituti privati?). E' vero che ognuno ha il diritto di istruirsi dove gli pare, è vero che nessuno può né deve impedire al cattolico di studiare in una scuola cattolica, ma d'altra parte non è lecito che sia proprio lo Stato a sovvenzionare tali istituti con i soldi di tutti i cittadini specie quando accusa proprio la carenza di fondi per spiegare la mancanza di aule, di insegnanti, di doposcuola (che per la scuola dell'obbligo è prescritto dalla legge).
Ma ciò che è addirittura scandaloso è la serie di monopoli detenuti dagli istituti privati. Quante famiglie sono costrette a mandare figli all'asilo dalle monache non già in non di una precisa scelta ideologica, ma solo perché è l'unico esistente nel rione o nel paese? Oppure quante sono le famiglie in cui, lavorando padre e madre, i figli frequentano scuole elementari o medie inferiori private perché almeno " si sa dove sono " dalle 8 del mattino alle 5 del pomeriggio? E parlo qui di scuola dell'obbligo per la quale dovrebbe esistere per legge, come ripeto, il doposcuola.

E non è forse vero che l'unica università che istituisca corsi serali, almeno per alcune facoltà, è la Cattolica? La nuova legge per la riforma universitaria, la 2314, che verrà approvata forse entro l'attuale legislatura, prevede l'istituzione dei corsi serali, da parte dell'università statale. Speriamo che questi corsi non facciano la fine del doposcuola nella media unica. D'altra parte leggerete sul prossimo numero del "Berchet" quali difetti (troppo numerosi) stiano accanto ai pregi (pochi) della 2314.

Rifacendomi alle distinzioni che avevo fatto all'inizio, dopo aver esaminato l'aspetto politico della scuola non statale, mi soffermerò ora sull'aspetto morale e pedagogico della scuola confessionale. A questo proposito mi pare che l'esempio più illuminante lo possa dare il decreto del Presidente della Repubblica per "l'approvazione di nuovi programmi per l'insegnamento della religione nella scuola secondaria superiore" che risale a sei mesi fa.

L'insegnamento della religione viene definito un "servizio reso agli alunni, perché possano fruire del loro diritto di onorare Dio secondo il dettame della retta coscienza" per "perseguire una scoperta sempre più personale del piano di salvezza disposto da Dio per l'uomo, realizzato da Cristo nella Chiesa, per opera dello Spirito Santo". Gli alunni dovranno essere educati a "discernere i segni della presenza e dell'amore di Dio Padre, Figlio e Spirito Santo" e a fare "riferimento alla storia della Chiesa considerata non come pura vicenda di forze umane, ma come mistero di salvezza continuato nel tempo". Si dovranno inoltre "proporre quei motivi che facilitino una opzione morale fondamentale per Cristo e la sua Chiesa". (Notate bene: questo mi pare il punto più importante). Il tutto sta scritto in un decreto del presidente Saragat, il primo socialista al Ouirinale.

Vorrei a questo punto concludere con un ammonimento. Forse qualcuno leggendo questo articolo ha ripensato ad un libro recente: quello della Scuola di Barbiana. L'autore, Don Milani, era un sacerdote. Ebbene non vorrei che i purissimi intenti di quel maestro servissero in qualche modo a coprire le colpe della burocrazia cattolica ufficiale. Infatti ora che Don Milani è morto è troppo facile parlare bene di lui. Il fatto è che quando era vivo il cardinale Elia della Costa, allora cardinale di Firenze, lo allontanò dalla sua parrocchia vicino a Prato per trasferirlo presso la sperduta prioria di Sant'Andrea di Barbiana nel Mugello, dove è morto in giovane età pochi mesi or sono. La relazione fra la posizione apertamente di rottura di Don Milani e il provvedimento della gerarchia ecclesiastica è fin troppo facile.


Massimo Marzocchi                             

  

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