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Alla problematica delle origini risulta fondamentale il passo della Poetica di Aristotele, che qui di seguito si riporta:
tragJd a, da un lato, e il discorso sulla k£qarsij fatto da Aristotele, dall'altro lato. Alcune manifestazioni della religiosità mistica hanno lo scopo di liberare l'adepto da certe manifestazioni di delirio di natura religiosa. Il più celebre caso è la malattia definita "coribantismo", una manifestazione allucinatoria. Platone nelle Leggi si sofferma a parlarci dell'effetto che le danze accompagnate da musica avevano su questi malati. La liberazione dalla loro malattia ha tutto l'aspetto di una k£qarsij. Tramite l'agitazione provocata artificialmente dalla danza, a poco a poco si ristabilisce l'equilibrio nell'esaltato. I Coribanti appaiono però connessi con Dioniso. L'idea che chi causa uno scompenso possa anche curarlo è fortemente connessa alla natura del dio, colui che lega e libera, e che infonde la follia, ma sa anche liberarne i mortali. Il senso profondo della follia dionisiaca va colto nell'originaria natura mediterranea di Dioniso, il dio che incarna dentro sé la contraddizione primordiale di vita e di morte che sta alla base del ciclo naturale. Il discorso stesso di k£qarsij è legato a questa ciclicità del rinnovamento: l'esperienza di tremende passioni che rivelano la realtà estrema dell'essere è purificatrice. La religiosità mediterranea ci appare come il più antico sforzo, a noi noto, di sondare il mistero della vita umana. Chi si sommerge fino nelle più torbide sorgenti (quelle che noi moderni chiamiamo oscene) della vita, poteva, attraverso tale via, trovare la verità. Nei riti misterici, tuttavia, questa profondità veniva attinta grazie alla poesia sacra, al canto, all'inno. Dunque ogni culto misterico-mediterraneo, fondandosi sulla poesia sacra, comporta la rivelazione di un mito. Ma tale rivelazione costituisce anche il punto culminante della festa. La qewr a ha dunque una sua precisa collocazione nell'ambito della festa, perché costituisce il momento in cui, grazie alla rivelazione del mito, l'antico partecipante alla festa assume la consapevolezza delle ultime verità dell'esistenza umana. Attraverso la qewr a egli conosce: basti pensare alla famiglia di parole greche qewrÒj (l'invitato o il partecipante alla festa), e qewren (verbo che indica la conoscenza speculativa del linguaggio filosofico). Nei santuari il fedele, il qewrÒj attuava una contemplazione (qewr a) di quel mondo festivo creato dalla poesia greca, la quale gli conferisce durata elevandolo - per citare Kerényi - a una festa fuori del tempo. `H qewr a k£qarsin dÚnatai: per dirla in definitiva ancora con lo stesso Aristotele: "La contemplazione ha il potere di produrre catarsi".Per d tragJd aj lgomen ¢nalabÒntej aÙtÁj k tîn erhmnwn tÕn ginÒmenon Óron tÁj oÜsiaj. '/Estin oân tragJd a m mhsij pr£xewj spouda aj ka tele aj mgeqoj coÚshj, ¹dusmnJ lÒgJ cwrj k£stJ tîn edîn n toj mor oij, drèntwn ka oÙ di' ¢paggel aj, di' lou ka fÒbou pera nousa t¾n tîn toioÚtwn paqhm£twn k£qarsin (VI, 1449b, 23-27).
"Ma ora parliamo della tragedia e ricaviamo la definizione della sua essenza che sorge dalle cose dette avanti. La tragedia è imitazione di azione seria e compiuta, con una determinata ampiezza, in uno stile seducente mediante ciascuna specie delle sue manifestazioni separatamente nelle parti [della tragedia], e l'azione è dovuta ad attori e non esposta in forma narrativa: per mezzo della compassione e della paura ottiene come risultato la purificazione, che è opera di passioni di questo genere."
Il concetto di m mhsijriveste pertanto un ruolo fondamentale nella definizione aristotelica. Già in Poetica, 1448b, 5-6, Aristotele aveva sostenuto che alla base della natura umana v'è la tendenza ad imitare, e tale tendenza è dunque per lui anche all'origine della manifestazione di qualunque forma di poesia. L'importanza della m mhsij è congenita alla stirpe greca, alla quale risulta totalmente estraneo il concetto di creazione ex nihilo. Quel che viene creato è scoperto, perché esiste già, solo non è visibile. Nella cultura greca, pertanto, tutte le branche del sapere hanno fondamentalmente la caratteristica di essere imitazione di tipi.
Però esiste anche un altro filone culturale molto interessante per il concetto di m mhsij: quello della filosofia pitagorica. Per esempio nella musica, l'anima è spinta ad imitare i moti di ritmo ed armonia che sono quasi evocati come con un incantesimo dal canto e dal suono. M mhsij diverrebbe pertanto un concetto simile a quelli di yucagwg a, pJd», Ðmo wsij e che valgono "persuasione delle anime", "incantagione", "assimilazione", come costituenti di un atto unico grazie al quale l'effetto della musica sull'anima sarebbe assai simile ad un processo di magia omeopatica. Arist. non poteva certo non conoscere questo ambito, anche se nella brevità dello spunto didattico della Poetica egli pare averlo ignorato: alla m mhsij è legato pertanto un contenuto mistico-religioso.
L'altro termine che deve essere oggetto di analisi approfondita in questa definizione aristotelica è quello di k£qarsij. Altrove, e più precisamente nell'ottavo libro della Politica Aristotele aveva scritto:
"[...] Vediamo poi che costoro, quando si abbandonano a canti che mettono l'anima in uno stato di festività, vengono a trovarsi per effetto delle sacre melodie nella condizione di chi è fatto partecipe di risanamento e di catarsi. Il medesimo stato d'animo deve essere provocato anche in chi è capace di compassione e terrore, in chi è completamente dominato da una passione e in tutti gli altri, secondo i limiti in cui ciascuno è soggetto alle passioni: in tutti, dunque, si attua questa universale catarsi e si sentono come levati in alto con piacere. Poiché così i canti catartici procurano agli uomini una gioia esente da nocumento" (Pol., 1342a, 1-16).
In sintesi, compassione e timore e analoghe passioni generano catarsi. Il collegamento con la Poetica è evidente. In particolar modo la paura è un sentimento che, permettendoci di partecipare al male occorso a una persona, può essere prevalente quando si tratti di avvertire i dissidi insolubili della realtà.
Ma in che modo possono i p£qh ingenerare k£qarsij? La catarsi infatti non avviene di fronte a qualunque passione prodotta dai casi reali della vita, ma solo quando le passioni siano in un certo senso fittizie, ovverosia semplici imitazioni di casi della vita. Ancora una volta dobbiamo riferirci all'ambito pitagorico. Infatti da Giamblico sappiamo che nelle cerchie pitagoriche gli allievi venivano aiutati a sollevarsi dai turbamenti dell'animo con opportuni canti: dunque anche canti lirici, proprio come quel ditirambo da cui Arist. fa dipendere la nascita della tragedia.
Senonchè noi dobbiamo riferire il prodursi di questa catarsi a un canto corale. Se noi analizziamo il Poema lustrale di Empedocle, in cui, secondo il Rostagni, il filosofo agrigentino aveva ampiamente rappresentato il "sacro discorso" di Pitagora, ne esce un quadro che qui così si può riassumere: la terra è regno dell'odio, in cui le anime sono cadute, precipitate: infatti sulla terra ognuno vive della morte dell'altro. La vita del filosofo deve dunque consistere nella riconquista dell'amore, ma essa può solo avvenire contemplando la reale dimensione del male imperante. Il passaggio dal contrasto e dal molteplice all'Uno porta alla purificazione. Ma il presupposto di questo kaqarmÕjè la qewr a, ovvero la contemplazione del male. Si avrebbe pertanto una situazione molto simile a quella che si analizzava sopra: la contemplazione per mezzo delle passioni, cioè dell'angoscia suscitata dalle antinomie cosmiche, genera catarsi.
Il nuovo concetto di qewr a (contemplazione), dunque, si rivela di un'importanza assai grande per cercare di collegare insieme l'ambito a cui rimanderebbe la parola
Ascoltiamo ancora lo Stagirita, nel seguente passo della Poetica:
(Poetica, IX, 1451a, 36-38).FanerÕn d k tîn erhmnwn ka Óti oÙ tÕ t¦ genÒmena lgein, toàto poihtoà rgon st n, ¢ll' oa ¨n gnoito ka t¦ dunat£ kat¦ tÕ ekÕj À tÕ ¢nagkaon
"Da quello che si è detto risulta chiaro anche questo, che ufficio del poeta non è descrivere cose realmente accadute, bensì quali possono [in date condizioni] accadere: cioè cose le quali siano possibili secondo le leggi della verosimiglianza o della necessità."
Scopo di queste affermazioni di Aristotele è sottolineare che l'oggetto della m mhsij sta nell'universale. Mentre gli accadimenti della storia sono limitati e particolari, l'eccitazione degli affetti produce nell'arte catarsi, che è visione dell'universale, come dianzi abbiamo visto. Il prodotto dell'arte è pertanto vero, se può, tramite il meccanismo della catarsi, darci accesso all'universale. Ma cosa può stimolare il tragico nella materia eroica, che è alla base della tragedia? E' il fatto che nella materia eroica vi sia un'abbondanza di elementi irrazionali e dunque assurdi, ma che, in quanto tali possono avere un effetto passionale e fantastico e suscitare di conseguenza piacere. Individuando questo carattere fondamentale del mito eroico, Arist. ne ha dunque colto, pur senza poterla spiegare completamente, la mirabile complessità, ed ha senza dubbio intuito che è proprio da tale contraddittorietà che nasce il carattere extra-temporale ed eterno della tragedia. E' in realtà un'esigenza razionalistica ad impedire ad Aristotele la comprensione piena di tale contraddittorietà.
Il passo seguente consiste pertanto nell'individuazione di questa contraddittorietà: la rivelazione della storia sacra durante la festa religiosa, storia che è appunto l'oggetto della qewr a, ci rimanda ad alcune considerazioni storiche fondamentale sulla natura dei miti e del loro sviluppo. I miti greci si sono formati nel trapasso dalla civiltà mediterranea a quella indoeuropea, attraverso le sue varie fasi: micenea, dorica, omerica. In età achea si sviluppano feste incentrate sull'idea del trionfo e della celebrazione del principe acheo, l'eroe-re, e i sacrifici legati a tali celebrazioni. Ma la religiosità simbolica di altra matrice, preellenica, non poté essere mai completamente eliminato. Il culto degli antichi eroi veniva così a fondersi con motivi più schiettamente religiosi, ma l'incontro di elementi indoeuropei con preesistenti elementi mediterranei diede origine a leggende contraddittorie: la maggior parte delle dee cretesi vengono sostituite con loro ipostasi, le forme della grande dea femminile minoica appaiono ora come donne peccatrici (Elena, Fedra, Arianna), la cui storia sacra è degradata al rango di avventura galante. Capovolgimenti, ricchi di contraddizione, si andavano dunque operando nel trapasso da una civiltà mistica e spiritualistica, verso una civiltà essenzialmente logica. Atteggiamenti considerati nel tempo precedente come socialmente leciti, divengono ora motivo di colpa: il medioevo ellenico conosce il proliferare del senso di colpa, come reazione al passaggio da un'età all'altra. Il fenomeno sociale interagisce potentemente con la sfera religiosa: gli Indoeuropei erano portatori di valori patriarcali, e nella nuova società l'individuo, tendendo ad autoaffermarsi e a prendere coscienza di se stesso di fronte ai suoi simili, tende a valorizzare gli aspetti mascolini. Egli non può accettare la supremazia delle dee madri, ma preferisce legarsi a dee vergini (Artemide e Atena in età omerica), le quali esaltano un aspetto della originaria dea madre: l'autonomia dell'elemento femminile rispetto al paredro, che si risolve nell'esaltazione della verginità intesa come rinnovamento del sesso secondo il ciclo naturale, e che si trasforma però in un atteggiamento di totale condanna etica del momento sessuale e fecondante. Il mondo maschile (nuovo) e quello femminile (antico) sono però in contrasto nell'età di transizione, e questo contrasto si manifesta appunto nella contraddittorietà del mito, dove nonostante gli adattamenti patriarcali, qualcosa stona, non è più compreso: si veda per esempio l'atteggiamento profondamente ambivalente ed ostile che molti eroi omerici hanno nell'Iliade nei confronti di Elena, per non parlare dell'aperto disprezzo di cui è fatto oggetto Paride (paredro in origine della dea): in fin dei conti la loro presenza turba un ordine nuovo, ma mette anche questo nuovo a contatto con un elemento insopprimibile dell'esistenza, in aperto contrasto però con la spiritualità olimpica. Gli dèi olimpici nascono quando l'essere (Io) che sta dietro al divenire (ciclo naturale, elemento femminile, spiritualità simbolica) si concretizza in loro, immagine antropomorfa dell'essere visibile, eternamente bello e giovane. Non a caso l'immortalità rimanda all'essere unico, ed è sommamente in contrasto con l'idea del divenire, che presuppone imperiosamente il concetto di morte e rigenerazione.
Concludiamo con questa citazione, che ci pare riassumere con estrema sintesi il pensiero di Untersteiner sulle origini del tragico:
"L'intreccio delle civiltà, sotto l'egida delle manifestazioni religiose che riassumono e cristallizzano le idee che lo svolgersi dei miti sottintende, porta con sé quale conseguenza terrificante e feconda il contrasto e la contraddizione entro il dominio degli stessi miti che sono la creazione originale degli Indoeuropei e che hanno fatto degli Elleni un popolo di spiritualità inimitabile. Dalla formazione naturale, nel corso della storia, di questa categoria dello spirito, la contraddizione, contenuta nella plasticità di una storia sacra, è nato un problema. Poiché mancava la consapevolezza storica di quanto gli Elleni avevano innanzi ai loro occhi, queste contraddizioni che spesso tormentavano la storia mitica, dovevano imporre la domanda: che cosa significa questa contraddizione? Perché, ad esempio, l'uomo vuol sopraffare la donna, e la donna reagisce, fino alla colpa? Quando nella solennità festiva e nell'intensità della partecipazione da parte del fedele, si attuava la contemplazione (qewr a) di una determinata storia sacra, questa era contemplazione (qewr a) di miti che, per essersi costituiti geneticamente sul fondamento di una contraddizione, rivelavano un momento incomprensibile o assurdo, comunque insolubile. Se, come si è detto precedentemente, la contemplazione festiva degli Elleni culminava nella visione delle pure forme dell'essere, la contemplazione di una storia sacra, quando questa celava una contraddizione, doveva conquistare il fenomeno 'contraddizione' come particolare forma dell'essere. Noi sappiamo che questo momento tragico della realtà era incarnato nella figura di Dioniso" (M. Untersteiner, Le origini della tragedia e del tragico. Dalla preistoria a Eschilo, Cisalpino, Milano, 1984, pp. 132-133).-