Il prezzo per la pace
di Felice Perussia

Noi profani siamo soliti considerare il problema del disarmo solo in termini di sentimento, ma, osservando meglio si nota subito quanto esso sia importante anche da un punto di vista economico.

Come esempio prederò gli Stati Uniti che, oltre ad essere i principali accusati di militarismo, sono l'unico, tra i grossi Stati, di cui si hanno dati ufficiali.

Negli USA la spesa bellica è, per il 1967, di 70 miliardi di dollari, pari a 1/10 del bilancio nazionale, con l'impiego diretto di 20 milioni di persone: esercito, industrie della guerra, ecc., e indirecto di 50 milioni, se si comprendono anche le industrie che producono ruote, pistole, benzina ecc.

Se venisse vietata la produzione di mezzi bellici, la disoccupazione passerebbe dai tre milioni di persone odierno, 1,5% della popolazione a 20-30 milioni , 10-15%, con una relativa crisi economica che peserebbe non solo sugli USA, ma anche sui paesi dell'Europa occidentale, dato che essi dipendono direttamente dall'economia americana.

La soluzione più semplice parrebbe quella di devolvere i mezzi per la guerra a scopi pacifici, ma così facendo sognerebbe un grave problema: quello della conversione delle belliche in industrie in pace. Tale conversione porterebbe necessariamente alla riqualificazione delle forze lavorative impegnate e oggi nell'industria della guerra, il che porterebbe ad una stasi economica essendoci 20.000.000 di lavoratori in meno per il periodo della riqualificazione, e facilmente ad una depressione, dovuta al fatto che le industrie civili produrrebbero la stessa quantità, mentre la richiesta sarebbe notevolmente inferiore dato l'alto numero di disoccupati, anche temporanei. Da ciò nascerebbe l'inflazione, oppure un'ulteriore aumento della disoccupazione, dovuta al ristrutturazione dell'industria, con risultati ancora più catastrofici, in particolare della depressione economica degli USA e di tutti gli Stati ad essi collegati.

Rimarrebbero dunque due soluzioni: la prima è quella di ridurre gradualmente le spese militari. Ma anch'essa ha i suoi problemi, e cioè che una riduzione delle spese militari può essere rimpiazzata solo parzialmente dalle spese civili in quanto il denaro risparmiato non andrebbe direttamente ai cittadini bensì allo Stato, che non può certo spendere tutto quel denaro per strade ed ospedali, in quanto ve ne sarebbero troppi e si spenderebbe con ben poco profitto, ne tanto meno potrebbe donarlo ai Paesi sottosviluppati, perché ciò darebbe fastidio ai contribuenti, che non amano pagare tasse senza un utile tangibile. La seconda soluzione sarebbe quella di ridurre l'aggravio fiscale, il che però porterebbe ad un notevole aumento dei risparmi, dato che raramente si spende tutto ciò che si guadagna, e i risparmi sono utili solo se controbilanciati da corrispondenti investimenti, che, venendo a mancare un'importante voce alle spese pubbliche, difficilmente sono sufficienti, cosicché diminuisce la domanda effettiva ed aumenta la disoccupazione, Il problema del disarmo non è dunque cosi semplice come può, sembrare, e non lo si può quindi considerare con la leggerezza che ci è proverbiale.

 

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