Bandita dal giornale (speriamo) la mini-politica filo e
anti, introdotta dal Berchet una diffusa atmosfera di depolitica, sulla quale mi pare che
tutti, o quasi tutti, siano d'accordo, ci troviamo ora però col grosso problema di
scrivere qualcosa di più vicino allo studente del Berchet, che lo possa interessare. Sono
un segretario, e non un redattore, ma il giornale mi interessa molto, sotto l'aspetto del
malato grave. Si potrebbe continuare a fare della Cultura (promossa, al liceo, al grado di Generale), scrivere poesie, racconti, ricette gastronomiche, articoli sulla vita privata dei Beatles, romanzi d'appendice; o dell'Umorismo (basta, per carità!). o delle Inchieste del tipo " Tu cosa ne pensi, in coscienza?" tanto care a G.S., o della seria Decultura, che nemmeno quelli che l'hanno scoperta (e non inventata) sanno applicare, ma che fatta da un ginnasiale con un minimo di intuito, potrebbe risultare divertente; o della Depolitica (ma io, lo confesso, non la trovo molto, appassionante: è troppo poco seria) o anche della DE-Depolitica alla Allan Bay, studente de Leonardo, IV C e autore di un articolo intitolato "Abbiamo provato per voi a leggere S'". Ma tutto questo potrebbe interessare gli studenti? Quali sono i loro veri interessi? Non parlo del singolo individuo, perché ovviamente ciascun Tal dei Tali, studente del Berchet, compra il Corriere della Sera, Motociclismo, Grazia, Linus, Giovani, La Gazzetta dello Sport e trova nel suo giornale quello che vuole, quello che veramente gli interessa. |
Perciò il BERCHET, se non vuole diventare una specie di
Reader's Digest (Selezione, per intenderci) di trecento riviste specializzate per soli
uomini, per sole donne o per donne sole, per sportivissimi, per intellettuali, per
centauri (peraltro numerosi nel ns. Istituto) o per promettenti giovani conservatori, deve
diventare esso stesso una pubblicazione specializzata "per soli studenti del
Berchet", indirizzata al Tal dei Tali in quanto frequentatore di questo Istituto.
Sappiamo quanto squallidi, goffi e inutili risultino però i giornali d'Istituto troppo
"intimi", e lo sappiamo perché abbiamo letto il BERC8ET '67, '66, '65 eccetera
quando si metteva a fare polemiche sulle baruffe interne al C.S.B., pettegolezzi,
,spiritosaggini, per favore; forse è inutile dirlo. A che cosa serve un giornale d'Istituto? Cerchiamo di farlo diventare veramente un mezzo valido di comunicazione e di espressione, in cui si parli, ad esempio, dei programmi di studio, del sistema dei voti, e non di Marxismo o di Cristianesimo o delle faccende private del tale e del talaltro. E soprattutto, per arrivare a questo, facciamo in modo che il giornale esca regolarmente, cosa che si può ottenere molto semplicemente spremendosi il cervellino e buttando giù articoli, quando si hanno delle cose da dire, e leggendoli (davvero) se, le cose, si preferisce ascoltarle.. |