A Mario Untersteiner, 20 novembre 1947

Caro Professore,
la notizia che mi ha letto con simpatia e con gusto mi dà molta gioia. Il mio libro è nato da un interesse per il problema del mito e delle cose etnologiche che m'ha indotto e mi induce a molte strane letture - ma poche mi hanno dato la soddisfazione e lo stimolo della sua Fisiologia. Pensi che le Sue pagine hanno anche avuto questo effetto, che ho ripreso grammatiche e dizionari (dopo una giovinezza tutta impegnata in problemi di narrativa nordamericana e anglosassone) di molti anni fa, quando posso, rosicchiandomi Omero, col solo rimpianto di non poter procedere scioltamente come vorrei. E' una lingua terribile - divina e terribile, come la terra secondo Endimione. Inutile dirLe che ogni Suo appunto e apprezzamento mi sarà carissimo. Anche se non stampato.
Con cordiale amicizia
Cesare Pavese

A Mario Untersteiner , 12 gennaio 1948

Caro Professore,
ho la sua e il numero (l'ultimo, ohimè!) dell'Educazione Politica.
Adesso una proposta. Da parte di Einaudi. E' molto tempo che io sogno di vedere stampata una versione quasi letterale, a verso a verso, andando a capo quando il senso è finito, dell'Iliade e dell'Odissea. Come i drammi elisabettiani tradotti da Piccoli per Laterza. Come i versetti di Spoon River di cui Le mando un saggio. Ho reso l'idea? Che ne direbbe di pensarci anche Lei, e magari impegnarsi per farcela. O consigliarci, se le Sue occupazioni non glielo consentono? Già l'Eschilo mi pare sia andato accostandoLa a questo lavoro.
Grazie ancora
suo Pavese
Aspetto Odissea XI.

A Rosa Calzecchi Onesti, 14 giugno 1949

Cara Signorina,
ricevo tanto Omero che non so più dove metterlo. Ormai, avendo perso del tempo, ho quattro canti interi (XI-XIV) da rivedere. Vede che esempi Le do, a Lei che non dorme di notte per finire in tempo? Ma mi ci metterò subito. Ho intanto ricevuto la sua lettera del 31 maggio, gentile e luminosa e penetrante come un mazzetto di fiori profumati. Per questo, in fondo, si scrivono libri; per aprire questo dialogo. La sua caratterizzazione, soprattutto paesistica, è molto giusta e tradisce un'identica dolce mania in Lei: l'illusione di penetrare la natura, di poter arrivare a sentirne la vita in modi quasi magici, certo simpatetici. Non sarebbe quella fine maneggiatrice di parole che è, se non sentisse così i fenomeni del mondo anche Lei.
Quanto alla soluzione che mi augura di trovare, io credo che difficilmente andrò oltre il capitolo XIV del Gallo. Comunque, non si è sbagliata sentendo che qui è il punto infiammato, il locus di tutta la mia coscienza.
La ringrazio con una gioia profonda e mi auguro che il Suo Omero trovi a suo tempo lettori tanto avveduti.
Cordialità
suo Pavese

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