Per spiegare l’universalità del senso di colpa e giustificare che quello che era sentito come un io divino peccasse e soffrisse in un corpo mortale (l’interpretazione puritana dell’esistenza umana, accettata in Grecia solo dopo il V sec., prevedeva netta contrapposizione tra anima e corpo), si ricorse cioè ad un mito. Come conferma il papiro di Derveni, scoperto di recente, tutto sarebbe cominciato cioè dai malvagi Titani, che catturarono Dionisio infante, lo fecero a pezzetti, lo arrostirono, lo mangiarono, ma furono immediatamente inceneriti da un fulmine di Zeus; dal fumo dei loro resti nacque il genere umano, che ereditò quindi le orrende inclinazioni dei Titani, temperate da una particella minuscola di materia dell’anima divina, sostanza del dio Dionisio, ancora operante in loro come io occulto. Questo spiegava in modo soddisfacente ai puritani greci perché si sentissero contemporaneamente dei e criminali; il senso "apollineo" del distacco divino, e quello "dionisiaco" di identificazione con al divinità erano giustificati entrambi.