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Il quadro napoleonico in Italia

 

La Rivoluzione francese in Italia suscitò diverse reazioni: da un lato, essa provocò entusiasmo tra gli ambienti borghesi e gli intellettuali, dall'altro, vi fu una certa ostilità da parte dei governi della penisola e dei ceti privilegiati, timorosi di perdere le posizioni preminenti da loro occupate rispetto al resto della popolazione.
Le masse reagirono con un eccessivo entusiasmo, spinte non tanto dalle ideologie, quanto dalla difficile situazione economica nella quale versava il nostro paese, illudendosi che la rivoluzione avrebbe costituito la soluzione a tutti i loro problemi.

I governanti dei vari Stati in cui era suddivisa la penisola non si schierarono attivamente in favore dei movimenti rivoluzionari, rimanendo neutrali, o trovandosi in una tale condizione di subordinazione alle grandi Potenze da dover aderire alla coalizione controrivoluzionaria.
Avvenne dunque che, per una naturale reazione a tale atteggiamento indifferente o ostile dei vari governi, si formassero movimenti di stampo patriottico-giacobino, che posero presto il problema del Risorgimento e dell'unità politica del nostro Paese; questi gruppi giacobini trassero origine dalla trasformazione di logge della Massoneria, presenti inizialmente in Piemonte e nel reame di Napoli, poi diffusesi nel resto della penisola e per altro condannate duramente dalla Chiesa.

Malgrado la defezione di alcuni Stati all'interno della coalizione antifrancese, il Piemonte nella primavera del 1795 rimaneva fedele all'Austria, prendendo in alcune occasioni l'offensiva contro la Francia; l'anno successivo, quando il Direttorio affidò al generale Bonaparte il comando dell'Armata d'Italia, la situazione volse a favore dei Francesi, ed il re Vittorio Amedeo III di Savoia fu costretto a firmare l'armistizio di Cherasco, con il quale il Piemonte diventava praticamente una base per le ulteriori mosse delle forze francesi in Italia. Napoleone infatti, nel maggio del 1796, penetrò in Lombardia e, battuti gli Austriaci, entrò a Milano il 15 di maggio. La successiva caduta della fortezza di Mantova, e la minaccia di una marcia su Vienna da parte delle truppe francesi che già erano alle porte della città, convinsero infine l'Austria a firmare il trattato di Campoformio, il 17 ottobre del 1797, con il quale si riconosceva il dominio francese sul Belgio e sul Milanese, ed il passaggio all'Impero Asburgico della antica repubblica di Venezia.

Intanto a Milano, che era divenuta la sede del patriottismo italiano, un po’ perché resa importante da Napoleone e un po’ per il significativo afflusso di esuli, si andavano svolgendo polemiche sul futuro assetto dell’Italia; di ciò si discuteva soprattutto sui periodici, tra i più importanti di questi il "Termometro politico" ed il "Giornale dei patrioti italiani".
Sugli stessi periodici si discuteva soprattutto dell’assetto istituzionale da dare all’Italia; le tesi erano due: unitaria e federalista. La prima, che prevedeva la progressiva costruzione dell’"universale repubblica italiana", aveva come sostenitori il Verri, il Gioia, il Galdi ed il Ranza; mentre invece la seconda tesi, che puntava alla creazione di dieci repubbliche, aventi ognuna una sua capitale, unite da un potere federale al quale sarebbe spettata la direzione della politica estera, era appoggiata da nomi come il Fantuzzi, il Rouher e il poeta Fantoni. Sempre parlando di questo,  possiamo aggiungere, come nota fondamentale, che le due tesi per un nuovo assetto istituzionale dell'Italia in questo periodo erano già presenti nelle discussioni e negli scritti degli intellettuali milanesi.

A Reggio Emilia il locale Senato, distaccandosi dalla Reggenza estense, aveva creato un governo provvisorio e chiesto la protezione francese; proprio in quei giorno a Reggio fu sorpreso un nucleo di Austriaci che venne attaccato e fatto prigioniero; l’episodio fruttò al Direttorio reggiano i complimenti di Napoleone. Si può dunque dire che i Reggiani dettero una scossa alla sonnacchiosa Italia; nell’ottobre del 1796, per iniziativa francese, si riunì un congresso a Modena con i rappresentanti di Bologna, Ferrara, Modena e Reggio, che deliberò la creazione di una "Confederazione Cispadana", ovvero una lega militare, e decretò inoltre la fondazione di una "Legione italiana"; in quegli stessi mesi Napoleone aveva progettato di fondare una "Repubblica Cisalpina". Questa creazione venne annunziata il 19 maggio 1797 e nei mesi successivi i territori della Repubblica Cispadana furono annessi a quelli della Cisalpina, la quale Costituzione fu impostata sul modello francese del 1795.

Ancor prima del trattato di Campoformio, nel Nord erano sorti movimenti patriottici, che furono stroncati con severe repressioni; molto più gravi furono i moti causati dal malcontento per il trattato stesso e la cessione di Venezia all’Austria; vane furono anche le espressioni di dolore per il sacrificio di Venezia dei più importanti poeti, come ad esempio il Foscolo. Comunque i patrioti italiani dallo stesso sacrificio traevano argomento per stringersi intorno alla Cisalpina, che ormai rimaneva l’unica espressione di indipendenza dell’Italia; ripartendo alla volta della Francia, Bonaparte lasciò una situazione instabile, che comunque  rispecchiava tutta l’affrettata costruzione napoleonica.

Vicende importanti frattanto si svolgevano nei vari Stati italiani; la Francia mirava all’occupazione di Roma poiché in un tumulto di piazza di repubblicani romani, sedato dalle truppe pontificie, era rimasto vittima delle stesse truppe il generale francese Duphot; proprio per questo il Direttorio francese prese la decisione di invadere Roma. Tale spedizione determinò la fuga del papa Pio VI; la Costituzione della repubblica romana ricalcava il modello francese del ‘95; molti, comunque, furono per essa i problemi, che la costrinsero alla vendita di molti beni della Chiesa per far fronte alle onerose contribuzioni imposte dai Francesi. L’occupazione di Roma aveva inasprito i rapporti tra Francia e Regno di Napoli, ed in quello stesso anno il re Ferdinando IV decise di invadere la repubblica; i Francesi contrattaccarono subito e per Napoleone inizialmente l’avanzata fu ben facile, con l’esercito francese che si apprestava a giungere fino a Capua; nel 1799 Francesco Pignatelli stipulò una tregua a Sparanise che prevedeva l’occupazione francese di metà del regno e una notevole indennità di guerra. Pressoché contemporanea alla caduta della monarchia napoletana fu quella piemontese; infatti, nello stesso mese il re Carlo Emanuele IV fu costretto a firmare un atto col quale cedeva ai Francesi ogni autorità sul Piemonte ed invitava i suoi sudditi ad obbedire a qualunque governo che ai Francesi volessero instaurare nel regno; ordinava altresì ai suoi soldati di considerarsi parte integrante dell’esercito francese.
Ai primi di marzo del 1799, infine, i Francesi procedevano all’occupazione anche del Granducato di Toscana, costringendo il granduca Ferdinando III ad abbandonare Firenze ed istituendo nella regione toscana non una nuova repubblica, ma soltanto una specie di amministrazione provvisoria.

Quando Napoleone partì per conquistare l’Egitto, venne costituita una formidabile coalizione contro la Francia alla quale aderirono Austria, Turchia, Russia e Regno di Napoli.
Le vittorie di questa coalizione determinarono la perdita di gran parte dei territori italiani e minacciarono di invasione lo stesso territorio nazionale francese: tra gli ultimi giorni di marzo e i primi di aprile, gli Austriaci batterono più volte l’esercito francese, comandati dallo Scherer, nella zona dell’Adige, costringendolo a ripiegare sulla linea dell’Adda; gli Austriaci ebbero anche come aiuto l’intervento di alcune truppe russe, comandate dal maresciallo Suvorov, ed i Francesi, guidati dal Moreau, subirono il 27 Aprile a Cassano d’Adda una sconfitta decisiva.
La repubblica Cisalpina cessò così di esistere, almeno per il momento. La Francia più tardi perse anche la Toscana, la repubblica partenopea e quella romana.

Tra la fine del 1799 e l’inizio del 1800 si assistette ad una gloriosa riscossa napoleonica; il Suvorov era stato già sconfitto in un’aspra battaglia presso Zurigo, e nel frattempo Napoleone era ritornato in Francia dove aveva assunto poteri dittatoriali; così il 14 giugno a Marengo, inflisse una dura sconfitta all’esercito austriaco permettendo la rifondazione della repubblica Cisalpina e Ligure e riconquistando Toscana e Piemonte. Prima della fine dell’anno ha inizio la seconda fase della campagna fin qui trionfante; nel 1801 gli Austriaci si vedono costretti a firmare la pace di Duneville; dopo la fine di quest’ultima fase la Francia si ritrovò ancora più estesa territorialmente rispetto al periodo precedente la "caduta".

Rimaneva contro la Francia la sola Inghilterra, che era però ritenuta imbattibile grazie alla sua flotta; nel 1802 il trattato di Amiens prevedeva il riconoscimento da parte degli Inglesi della repubblica francese; questo trattato costituì un nuovo clamoroso trionfo di Bonaparte, che infatti venne nominata Console a vita e quindi Imperatore. Dopo pochi anni accennava a riprendersi la lotta tra Francia e Inghilterra; nel 1805 la flotta francese fu annientata da quella inglese a Trafalgar, una vittoria che lo stesso ammiraglio britannico Nelson pagò con la sua vita; Napoleone, malgrado questa sconfitta che renderà per sempre impossibile un attacco alla Gran Bretagna, raggiunse l'apice del suo trionfo, sbaragliando le coalizioni messe in campo contro di lui; non potendo sconfiggere militarmente gli Inglesi, decise di combatterla sul piano economico col celeberrimo "blocco continentale", che impediva ogni tipo di commercio con la sua rivale primaria. Ma per compiere pienamente questo progetto Bonaparte aveva bisogno di significativi appoggi che non avrebbe mai avuto. Nel frattempo l'occupazione di Roma e l'esilio forzato del Papa suscitarono opinioni contrastanti anche all'interno della Francia, paese di solida tradizione cattolica, mentre andava formandosi  una coalizione decisiva che avrebbe messo in ginocchio definitivamente Napoleone.

In Italia Napoleone ampliò i territori sotto il suo dominio e diede un assetto alla penisola che avrebbe potuto cambiare solo con la caduta del suo impero;  la sua decadenza iniziò con la campagna di Russia, in cui l'esercito napoleonico, pur entrando vittorioso nella capitale russa, fu costretto ad una drammatica ritirata che costò la vita ad un gran numero di soldati francesi.
Le forze della nuova coalizione, costituite da Gran Bretagna, Austria, Prussia, Russia e Svezia, poterono così riuscire a sconfiggere Napoleone ed entrare trionfanti a Parigi nel 1814. Naturalmente questo crollo comportò lo sfacelo dell’assetto politico dell’Italia e il Papa poté riprendere tranquillamente dimora a Roma. In seguito Napoleone riprese il potere in Francia e tentò l'ultimo colpo di coda, venendo però sconfitto definitivamente a Waterloo e costretto all'esilio.
Furono le potenze vincitrici a dettare il nuovo assetto politico dell'Europa post-napoleonica durante il Congresso di Vienna, i cui lavori proseguirono incuranti del ritorno sulla scena di Napoleone, con lo scopo di riportare l'Europa allo status quo ante.

Il progetto napoleonico crollò, ma il suo messaggio e la sua importanza rimasero indenni, anzi si svilupparono come idee innovative in un continente conservatore.