Torna a Europa

Torna a Indice Torna a Home Page

Il '48 in Francia

In Francia la situazione economica generale era pessima, negli anni 1846-47 i raccolti erano stati disastrosi ed il regime di Luigi Filippo, basato sugli affari, sulla rendita, sulle opere pubbliche, aveva retto bene fino a che la congiuntura economica mondiale era stata favorevole, mentre, finita la congiuntura favorevole, aveva mostrato tutta la sua debolezza, tanto più che la crisi non era solo agricola, ma anche finanziaria ed industriale: vi furono fallimenti a catena di imprese, sospensioni di grandi opere pubbliche avviate, quindi una caduta della speculazione e della Borsa, ed infine disoccupazione ed aumento della miseria.


Un ritratto di
Luigi Filippo

Il passivo del bilancio dello stato ammontava, nel 1846, a quarantasei milioni di franchi, e nel 1847 passò a cento milioni.
Politicamente il governo Guizot era ormai un governo reazionario, alleato di Austria, Russia e Prussia, contro tutta la tradizionale politica estera francese: il governo ed il regime erano corrotti: fece scandalo il caso del ministro dei Lavori Pubblici Teste, che aveva intascato centomila franchi per l’affare delle miniere della Haute-Saône; ma il caso di Teste fu solamente uno dei tanti, giacché vi erano decine e centinaia di funzionari pubblici o di ministri che si facevano comprare.

L’opposizione era alla Camera ridotta di numero, perché Guizot teneva strettamente sotto controllo le elezioni, e riusciva ad ogni tornata ad assicurarsi in Parlamento una larga maggioranza, e chiedeva soprattutto che si cambiasse politica estera e si allargasse il suffragio, e a questo scopo cominciò, nell’estate del 1847, la cosiddetta "campagna dei banchetti", che prendeva a modello quello che aveva vittoriosamente sperimentato Cobden in Inghilterra per propagandare il libero scampo: gli oppositori di Guizot presero ad organizzare grandi banchetti politici, lo scopo principale dei quali era promuovere un movimento di opinione vasto a sostegno della riforma elettorale, per l’allargamento del suffragio.
Nel febbraio del 1848 l’opposizione decise di indire un ultimo grande banchetto a Parigi, che doveva essere una sorta di chiusura delle manifestazioni iniziate l’estate prima: il momento era abbastanza delicato, non solo per quanto stava avvenendo in Italia, con le truppe austriache in movimento della penisola e la possibilità che scoppiasse una guerra, ma anche perché il re stesso, parlando alla Camera, aveva alluso alle iniziative dell’opposizione, criticandole; l’opposizione comunque indisse questo banchetto per il giorno 22, e Guizot lo proibì.

Seguirono proteste e grida di allarme per la libertà di pensiero garantita dalla stessa Costituzione, che a quel modo veniva conculcata, e si arrivò alla vigilia del 22 febbraio con Parigi presidiata dalle truppe, in un clima di grande nervosismo; finalmente si raggiunse un accordo, i membri dell’opposizione disdissero il banchetto in cambio della garanzia che alla Camera si sarebbe discussa una motivazione d’accusa al governo.
Luigi Filippo commentò sorridendo che i parigini non facevano mai rivoluzioni d’inverno, ma il giorno 22, il luogo dove si sarebbe dovuto banchettare era pieno di studenti ed operai, che si misero in corteo, e subito vi furono scontri ovunque morti, feriti, un tentativo di invadere la Camera.

 
Il primo ministro francese
Francois Guizot

Alla sera sembrava tutto finito, ma il giorno 23 si videro le prime barricate, e, fatto ancora più grave, la Guardia Nazionale, chiamata dal sovrano a sostegno dei soldati, si mise con gli insorti: il re ebbe paura, destituì Guizot e tentò di salvarsi proponendo un governo riformatore al quale avrebbe dovuto partecipare Thiers; la situazione precipitò la sera di quello stesso giorno, quando una colonna di dimostranti si diresse verso il ministero degli Esteri, protetto da un battaglione di fanteria e da uno di dragoni: i soldati spararono e vi furono in pochi minuti ventitré morti e trenta feriti, ed allora scoppio veramente la rivoluzione.
I dimostranti presero quei cadaveri e li portarono in giro per la città, per eccitare i parigini alla lotta, sorsero in poche ore quasi duemila barricate, mentre l’esercito non resisteva, ed i ribelli invasero prima l’Hôtel de Ville e poi il Palais-Royal, e tutti capirono che presto i rivoluzionari avrebbero marciato sulle Tuileries.
Allora Luigi Filippo abdicò in favore del nipote, un bambino di dieci anni, e poi fuggì con la regina attraverso i giardini delle Tuileries, dove lo aspettava una carrozza che lo avrebbe portato a Calais: Luigi Filippo aveva allora 75 anni, ed era l’ultimo re di Francia, e di ciò era probabilmente consapevole.

Poco dopo la Camera fu invasa e la monarchia abbattuta definitivamente; il giorno successivo a Parigi sbandierava il tricolore, ed all’Hôtel de Ville, dove si era costituito il governo provvisorio, venne proclamata la Repubblica.
Nel governo figuravano tutti i capi dell’opposizione democratica e repubblicana, tra i quali l’avvocato parigino Ledru-Rollin, cui fu affidato il dicastero degli Interni, il poeta Alphonse de Lamartine, che divenne ministro degli Esteri, ed erano presenti anche due socialisti, Blanc e l’operaio Alexandre Martin.

Tra i primi passi della Seconda Repubblica francese, degni di nota furono in particolare l’abrogazione di ogni limitazione alla libertà di stampa e la proclamazione del principio del diritto al lavoro, cui fece seguito la fondazione dei cosiddetti ateliers nationaux, posti alle dipendenze del ministero dei Lavori pubblici, che, nati per offrire posti di lavoro a chi ne era privo, furono adibiti a lavori di pubblica utilità.
Tutto ciò fece naturalmente nascere contrasti all’interno dello schieramento repubblicano, la cui ala moderata considerava pericoloso, oltre che economicamente assai costoso, un intervento diretto dello Stato nel mercato della manodopera.

Una prima secca sconfitta per le correnti di estrema sinistra venne dalle elezioni per l’Assemblea costituente, che si tennero il 23 aprile, in quanto il suffragio universale, portò alle urne un elettorato rurale, i cui orientamenti erano assai più conservatori di quelli prevalenti nella capitale: a risultare sconfitti furono sia i conservatori più estremi ed i monarchici che i socialisti e l’ala più radicale dello schieramento democratico, mentre i veri vincitori furono i repubblicani moderati, che costituirono l’ossatura del nuovo governo, dal quale vennero esclusi i socialisti Blanc ed Albert.

Il popolo parigino tentò allora di riprendere l’iniziativa con manifestazioni di piazza: il 15 maggio una grande dimostrazione conclusasi con l’invasione dell’Assemblea costituente fu prontamente repressa dalla Guardia nazionale e molti leader della sinistra rivoluzionaria furono arrestati.
Un mese dopo il governo emanò un decreto che stabiliva la chiusura degli ateliers nationaux ed ordinava ai disoccupati più giovani di arruolarsi nell’esercito; la reazione dei lavoratori di Parigi fu immediata, e sfociò il 22 giugno in una dimostrazione operaia che sfilò per Parigi al grido di "Pane o piombo! Piombo o lavoro!". Il giorno successivo, una grande folla di operai si riunì in Assemblea a piazza della Bastiglia, e nei quartieri popolari ricomparvero le barricate; la Guardia nazionale dei quartieri operai partecipò compatta alla insurrezione.


Meissonier, Le barricate di Rue de la
Mortellerie,
1848, Musée du Louvre

Il ministro della guerra Cavaignac, aveva già preparato, d'accordo con il governo ed i comandi militari, il piano di repressione, per il quale poteva usufruire dell'esercito e della Guardia nazionale dei rioni occidentali, quelli borghesi. Invece di contrastare l'insurrezione ai suoi inizi, Cavaignac tenne concentrate le forze, e le lanciò in tre colonne all'attacco contro i quartieri popolari, in cui l'insurrezione aveva potuto dilagare liberamente; nel corso del primo giorno, le truppe non riuscirono a penetrare a fondo nei quartieri insorti, ed il popolo esplicitò le sue richieste di riapertura degli ateliers nationaux e di scioglimento dell'Assemblea nazionale.
L'Assemblea rispose proclamando lo stato d'assedio ed affidando il governo al generale Cavaignac;i giorni 24 e 25 furono decisivi, e la mattina del 26 gli insorti rimasti chiesero un'amnistia, richiesta a cui il governo rispose domandando la resa senza condizioni. Anche l'ultimo sobborgo, quello di Saint-Antoine, venne occupato con la forza, ed il bilancio delle giornate fu gravemente pesante sia per i ribelli che per i militari.


La perdita politica della crisi di giugno fu grandissima: un abisso di odio fu scavato tra proletariato e borghesia, e la repressione rigorosa fu approvata da una larga parte della opinione pubblica. Furono chiusi i circoli giudicati pericolosi, sequestrati i giornali di opposizione, sciolta una parte della Guardia nazionale e gli arresti furono numerosi.
Le giornate di giugno segnarono un punto di svolta per la politica della seconda repubblica francese, poiché esse seppellirono le possibilità di una azione internazionale della Francia diretta a promuovere una riorganizzazione generale dell'Europa che fosse rispondente alle esigenze mostrate dalle rivoluzioni.

In Francia tornò dunque a trionfare il liberismo, e la nuova costituzione democratica varata il 21 novembre stabiliva l’elezione diretta da parte del popolo di un presidente della Repubblica e di un’unica Assemblea legislativa, entrambi a suffragio universale, e sanciva la repubblica democratica, fondata sulla sovranità popolare e basata sul trinomio Liberté, Egalité, Fraternité, che riprendevano gli ideali di famiglia, lavoro, proprietà ed ordine pubblico.

 
Un ritratto di Luigi Napoleone
Bonaparte

Alle elezioni presidenziali del 10 dicembre i repubblicani si presentarono divisi, con l’ala moderata che appoggiava Cavaignac e quella progressista Ledru-Rollin, mentre i conservatori sostennero la candidatura di Luigi Napoleone Bonaparte, figlio di quel fratello dell’imperatore che era stato re d’Olanda, e che era stato più volte incarcerato per tentativi di cospirazione sotto il regno di Luigi Filippo.
Il suo nome fece presa su vaste masse dell’elettorato popolare, ed ottenne quasi cinque milioni e mezzo di voti, contro il milione e mezzo di Cavaignac e i trecentomila di Ledru-Rollin.
Luigi Napoleone organizzò un governo di liberali orleanisti, che erano favorevoli all'Austria quanto lo era Guizot; il presidente, personalmente, era contrario a Vienna e favorevole alla causa nazionale italiana, con la quale aveva fraternizzato nel 1831.

Si chiudeva così la fase riformatrice della Seconda Repubblica, che avrebbe cessato di esistere anche nominalmente nel 1852, con l’assunzione al trono imperiale dello stesso Luigi Napoleone Bonaparte, con il nome di Napoleone III.