Ritorna a indiceLA RELIGIONE E LA PENA DI MORTE

 

Nel corso dell'esecuzione della pena di morte per mezzo della sedia elettrica, a volte si riscontra che nel condannato è presente il battito cardiaco anche dopo che è stata somministrata la prima scarica mortale. Il medico quindi, che assiste all'esecuzione, annuncia che "c'è presenza di vita".

Cosi facendo il medico, nonostante abbia pronunciato il giuramento di Ippocrate, (cfr. L'eutanasia, in questo fascicolo) che lo impegna a preservare la vita, produce con il suo annuncio un grave effetto: una ulteriore richiesta di somministrazione da parte dello Stato di altre scariche del congegno assassino finchè il condannato sia realmente ucciso e il mewdico ne possa annunciare la morte.
Allo stesso modo il cappellano, di solito un ministro del culto cristiano, serve lo Stato prestando la sua opera nel corso dell'esecuzione e agevolandone lo svolgimento.

Ci si chiede quale sia la posizione delle comunità religiose che si ispirano alla tradizione giudaico-cristiana (la piu' diffusa nelle democrazie occidentali) di fronte alla presunta "moralità" dell' omicidio di Stato.
L'ironia che la chiesa cristiana, fondata da Gesu'di Nazaret che fu giustiziato sulla croce, sia incapace di impedire allo Stato di continuare sulla strada degli "omicidi amministrativi" rivela la totale assimilazione tra comunità religiosa e società: la vera obbedienza va allo Stato, non al Signore.

Nel corso dei secoli l'eredità giuridico-cristiana é stata coerente nell'insegnare che l'omicidio é un fatto immorale. Benchè la tradizione sia ambigua sul tema della pena capitale, in tutte le grandi confessioni religiose é emerso il consenso sulla tesi che la pena di morte contravviene alla morale e dovrebbe essere abolita. Quindi la norma etica ha finito per coincidere con la posizione ufficiale di tutte le democrazie occidentali che, con l'eccezione degli Stati Uniti, hanno abolito la pena di morte.

Uno dei motivi della posizione della Chiesa è la constatazione che ogni essere umano è figlio di Dio. Se ogni persona racchiude l'immagine di Dio, la società dovrebbe rispettarne l'integrità, invece di distruggerla mediante l'assassinio legalizzato dallo Stato. Ma a sostegno dell'eticità dell'omicidio sancito dallo Stato c'è la pretesa che lo Stato in questo modo possa risolvere il problema della criminalità.

Si arriva così a sostenere che l'omicidio è un atto morale purché sia lo Stato stesso a commetterlo e lo faccia per il bene del popolo.
Ma la comunità giudaico-cristiana sconfessa l'eticità di questo omicidio: la pena di morte non è un atto di reintegrazione, non riporta in vita la vittima, anzi aggiunge al circolo di sofferenze un'altra vittima con tutta la sua famiglia; in sostanza è un atto di rappresaglia. Non c'è nulla di insito nell'omicidio che richieda come vendetta la vita dell'omicida.

Anzi, la Bibbia ci mostra che alcuni dei figli prediletti di Yahweh erano omicidi, da Davide all'apostolo Paolo; ma Dio ha sempre distinto l'atto dalla persona che lo commette. Lo dimostra chiaramente il quarto capitolo della Genesi con il racconto del primo omicidio della storia umana, in cui Yahweh punisce Caino con l'esilio per l'omicidio del fratello Abele. L'immoralità dell'omicidio, che sia commesso dall'individuo o dallo Stato, è al centro della fede giudaico-cristiana. Per la Chiesa la vita va protetta, non annientata: la risposta morale all'omicidio esige che lo Stato non aggravi l'omicidio commettendone uno anch'esso. "La pena capitale deve essere abbandonata perché rappresenta unicamente un'applicazione della vendetta. I valori cristiani di giustizia, misericordia, perdono e riconciliazione sono realtà sconosciute in un sistema che prevede la pena di morte e in cui il bene pubblico diventa un eufemismo per indicare l'intenzione dello Stato di distruggere la vita umana. Esistono molte pene contro il comportamento criminale e le Nazioni europee se la cavano anche senza la pena di morte che è un assassinio alla vista di Dio e della Chiesa che lo rappresenta in terra. Il diritto umano alla vita è una realtà etica che la Chiesa dovrebbe proteggere più efficacemente, non limitandosi ad affermarlo ma facendo concrete pressioni politiche per la creazione di un tribunale internazionale che agisca nei paesi che cercano di uccidere i propri cittadini. " (Joseph B. Ingle, Il male estremo, Milano, Marco Tropea, 1997)

 

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