I Greci e le Olimpiadi

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Il colonnato del Gymnasium ad Olimpia

Lo sport presso i Greci

Nell’antica Grecia era attribuita grandissima importanza agli esercizi fisici. L’uomo perfetto, secondo i Greci, non era l’uomo colto e buono, ma colui che univa alle virtù morali la bellezza e la salute fisica, cioè il kalÕj k¢gaqÒj, colui che era bello e buono.

"Avere buona salute - dice il poeta Simonide - è la cosa migliore per l’uomo; la seconda è la bellezza del corpo; terza è godere le ricchezze guadagnate onestamente; infine poter godere il fiore della giovinezza insieme con gli amici".

I Greci credevano moltissimo nello sport come momento di esercizio, in particolare in vista della guerra. La guerra e lo sport nell’antichità hanno molto in comune. Il successo e la vittoria nelle grandi manifestazioni atletiche erano visti, intorno al 500 a. C., come la prova di buona educazione fisica e della volontà, e aggiungevano prestigio alla famiglia di provenienza dell’atleta: sembra, però, che più tardi tale prestigio non si riversasse più sulla famiglia, ma sul singolo atleta e sulla sua città.
La città stessa faceva costruire a spese pubbliche bellissime palestre e ginnasi, con giardini, porticati, boschetti, bagni pubblici, sapendo che la salute e la robustezza dei cittadini sarebbe tornata a suo vantaggio, perché i giovani sani, forti ed abili nei movimenti sarebbero diventati certamente anche buoni soldati.
La pratica atletica costituiva un elemento fondamentale dell’educazione del cittadino.In effetti nella graduatoria delle discipline fondamentali per la formazione dell’uomo greco, l’educazione sportiva costituiva l’attività principale; subito dopo era collocato l’insegnamento della musica e, al terzo posto, veniva classificata l’educazione letteraria. La ginnastica serviva a sviluppare in modo armonico ed aggraziato il corpo dei giovinetti, in base ad un ideale di bellezza fisica molto caro al mondo greco, e contribuiva a plasmare il carattere dell’individuo, abituandolo a sopportare le fatiche, ad essere coraggioso in guerra e a socializzare con gli altri giovani.
I Greci cominciavano a coltivare l’attività fisica a sette anni e da quell’età trascorrevano gran parte del giorno nella palestra e nel ginnasio sotto l’attento controllo di un allenatore. I ginnasi erano i luoghi di ritrovo più frequentati anche da persone anziane, che venivano per assistere agli esercizi e per conversare. Era invece proibito l’ingresso ai meteci e agli schiavi, perché i Greci consideravano l’esercizio fisico come un privilegio riservato ai cittadini liberi. La pratica dello sport continuava fino all’età adulta e spesso proseguiva per tutta la vita.

 

Olimpia e le Olimpiadi

Olimpia fu un importante centro culturale e religioso del mondo ellenico, situato nel Peloponneso. Sin dall’origine, all’interno dell’area sacra, accanto alla tomba di Pelope, il progenitore di Agamennone e Menelao, vennero costruiti il tempio di Hera ed il tempio di Zeus. Quest’ultimo, più recente, fu eretto tra il 470 e il 456 a.C. e custodiva la statua del dio realizzata da Fidia, il cui laboratorio, senza il soffitto per permettere la costruzione della gigantesca statua di Zeus, era situato proprio all’interno dell’area sacra; più tardi l’officina di Fidia fu trasformata inchiesa cristiana.


Una ricostruzione dellòa gigantesca statua di Zeus di Fidia.

Il complesso disponeva inoltre di numerosi portici, di una specie di "albergo" per i visitatori e i pellegrini, di edifici templari in cui si conservavano i doni votivi, di luoghi per l’allenamento sportivo come il ginnasio e la palestra, e soprattutto di impianti destinati allo svolgimento delle competizioni vere e proprie, come lo stadio e l’ippodromo. Nonostante questa città fosse la sede di uno dei più grandi e celebri santuari dedicati a Zeus, il suo nome e la sua fama sono legati soprattutto alle feste ed alle gare che vi si svolgevano ogni quattro anni e che i Greci, dal nome della città, chiamarono appunto Olimpiadi.
Già dal 1000 a. C. Olimpia era il luogo di culto dedicato a Zeus; il suo carattere sacro si consolidò con il passare del tempo e, probabilmente, contribuì a farla scegliere come sede dei giochi più importanti di tutta l’antichità. Naturalmente questa scelta fu influenzata anche dal fatto che Olimpia non divenne mai una vera e propria città, ma rimase sempre e soltanto un santuario, o meglio il "bosco sacro di Altis", sito in una regione scarsamente impegnata dal punto di vista politico, nel sudovest della Grecia, lungo le rive del fiume Alfeo. Questo centro religioso, nel corso dei secoli successivi fu depredato dai barbari e distrutto dalle alluvioni. Il fiume Alfeo aveva sommerso il santuario che è stato faticosamente ricostruito sottraendolo pezzo dopo pezzo al fango delle inondazioni. L’altare di Zeus andò completamente distrutto. Ma il suo tempio, costruito nel V secolo, è sopravvissuto. La maggior parte delle fonti antiche attribuisce ad Eracle la fondazione di Olimpia. Il dio avrebbe delimitato l’Altis, il recinto sacro della città; qui avrebbe innalzato dodici altari alle dodici divinità del pantheon olimpico, piantato nel bosco sacro ulivi selvatici da cui provenivano i rami per intrecciare le corone dei vincitori e poi dedicato l’intero complesso a Zeus. All’interno dell’Altis si ergevano inoltre statue di dei, alcuni tempietti e il grande tempio di Zeus Olimpio, sui frontoni del quale erano scolpite delle scene mitologiche che rappresentavano una gara di corsa coi cocchi e la lotta tra Centauri e Lapiti.


Le rovine del tempio di Zeus ad Olimpia

All’interno del tempio era custodita la colossale statua di Zeus, tutta d’oro e d’avorio, che gli antichi consideravano il capolavoro di Fidia. In un’area immediatamente contigua ai templi e al recinto sacro sorsero gli impianti sportivi, all’inizio limitati allo stadio e all’ippodromo, in seguito ampliati con la costruzione del ginnasio e della palestra. L’istituzione dei giochi olimpici risale al 776 a.C. Da allora ad Olimpia si tenne un registro relativo a tutti i vincitori olimpici. La fama della città superò in breve tempo i ristretti limiti regionali, richiamando visitatori e atleti da tutta la Grecia. Dalla lista dei vincitori è possibile misurare la progressiva estensione della celebrità del santuario: nei primi decenni sono ricordati solo nomi di vincitori provenienti dall’Elide, in seguito si registrano vincitori spartani, poi peloponnesiaci e ateniesi, infine greci della Magna Grecia.
Le Olimpidi durarono per ben dodici secoli. Il 261 d. C. è la data dell’ultima Olimpiade di cui si ha notizia; è probabile che i giochi abbiano continuato a svolgersi fino al 393 d. C., anno in cui Teodosio, imperatore cristiano, ordinò che i culti ed i centri pagani venissero chiusi. Da questo momento iniziò l’inarrestabile processo di disfacimento di Olimpia sia sul piano materiale sia su quello religioso. Il divieto delle Olimpiadi e, in seguito, i terremoti ridussero Olimpia a un campo di rovine: le inondazioni dei fiumi Alfeo e Cladeo e le frane del monte Cronio distrussero e nascosero a poco a poco anche i suoi ruderi. Nel 1896, dopo ben 1500 anni di sospensione, un nobile francese, il barone Pierre de Coubertin, dopo aver speso la propria vita alla ricerca di finanziamenti e di aiuti, fece rinascere le Olimpiadi come segno di pace e di fratellanza universali. Le Olimpiadi moderne si svolgono, come sappiamo, ogni quattro anni. Nel 1996 è stato celebrato il centenario delle nuove Olimpiadi, svoltesi ad Atlanta, negli Stati Uniti. Oggi le Olimpiadi, attraverso la televisione, sono seguite da milioni di persone in tutto il mondo e sono un'occasione di festeggiamenti per il paese che le ospita. Anche per i Greci i giorni delle Olimpiadi erano giorni di festa per tutti, tanto che, se era in corso una guerra, si sospendevano i combattimenti. Si svolgevano nell’estate, tra luglio e agosto, nel mese greco di Ecatombeone, durante il plenilunio. I mercanti alzavano tende e baracche per mettere in vendita merci svariate,come del resto accade anche oggi, gli acrobati davano spettacolo negli spiazzi, gli oratori arringavano la folla:

"Pitagora disse che la vita umana gli sembrava varia come il mercato che si teneva (ad Olimpia) in occasione del più grande spettacolo di tutta la Grecia; qui alcuni, dopo lunga esercitazione fisica, cercavano la gloria e la nobiltà dell’incoronazione, altri vi venivano per vendere e comprare, indotti dal desiderio di guadagno, e c’era gente che, sommamente nobile, non cercava né gloria né guadagno, ma veniva per vedere ed osservare che cosa vi si faceva e come" (Cicerone, Tusculanae disputationes, V, 3).

Il comico Menandro con un solo verso definisce efficacemente l’atmosfera delle feste d’Olimpia:

"Folla, mercato, acrobati, divertimenti e ladri"

Le condizioni del pubblico erano tutt’altro che confortevoli. Da Olimpia c’era un solo albergo, destinato alle personalità, e la gente comune doveva dormire all’aperto, per terra, o sotto i porticati. I più ricchi si alzavano una tenda. Il caldo spesso era soffocante, l’acqua tanto scarsa che

"molti spettatori dei giochi olimpici dovettero patire la sete e molti morivano con violente malattie, che allora per la siccità della regine si diffondevano facilmente in una grande moltitudine".
(Luciano, Morte di Peregrino, 19)

Mosche, zanzare e altri insetti tormentavano gli spettatori e si facevano appositi sacrifici a Zeus, perché li liberasse da questo supplizio. Nonostante ciò, la passione per i giochi era così grande, che ogni volta accorrevano dalle quaranta alle cinquanta mila persone!
Le feste duravano sette giorni, di cui il primo e l’ultimo dedicati a cerimonie religiose, i cinque intermedi alle gare. Le motivazioni dell’origine dei giochi sono da ricercare soprattutto in ambito religioso, cui si legano tutte le attività agonistiche della Grecia antica. Le competizioni sportive si svolgono infatti, sia ad Olimpia che nelle altre sedi dei giochi panellenici, in concomitanza con particolari cerimonie religiose ed hanno uno stretto carattere rituale con ben determinate pratiche di culto connesse a specifiche divinità: Zeus ad Olimpia e a Nemea, Apollo a Delfi, Poseidone presso l’Istmo di Corinto.


I resti dello stadio di Olimpia

Sull’origine dei giochi olimpici l’antichità tramanda una serie molto complessa e talvolta contraddittoria di leggende. Gli abitanti dell’Elide raccontavano che l’origine dei giochi si poteva attribuire a Zeus e a suo padre Urano, che avrebbero gareggiato per il possesso dell’universo; in un secondo momento tutti gli altri dei sarebbero scesi in gara ed Apollo sarebbe risultato vincitore.

Una seconda leggenda fa risalire l’origine dei giochi ad Eracle, che vinse nella corsa i suoi cinque fratelli e regolamentò i giochi, stabilendo che si dovessero svolgere ogni cinque anni, numero desunto appunto da quello dei fratelli. La nascita della manifestazione, in epoca storica, va comunque attribuita ad Ifito, re dell’Elide, in collaborazione con il legislatore spartano Licurgo. Essi, per porre fine ad una pestilenza che travagliava la Grecia, suggellarono, su consiglio dell’oracolo di Delfi, un accordo con diverse prescrizioni. Furono indetti i giochi olimpici e nel periodo del loro svolgimento fu decisa la tregua sacra durante la quale le guerre e le lotte dovevano essere sospese in modo che tutti i cittadini potessero assistere o partecipare alle manifestazioni religiose e sportive. La durata di questa tregua fu inizialmente di un mese, successivamente di tre, e addirittura si arrivò a concepire "l’anno sacro" per dar modo agli atleti, ai delegati ed agli spettatori di raggiungere Olimpia e tornarsene nelle loro sedi in pace.
Le prime Olimpiadi duravano all’inizio un giorno solo, poiché si effettuava la sola gara di corsa; in seguito, quando furono aggiunte altre gare, insieme ai sacrifici a Zeus e ad altre cerimonie, si svolsero in tre e poi in cinque giorni. Prima delle gare ufficiali, gli aspiranti concorrenti si allenavano per un intero mese sotto l’occhio attento e severo dei giudici di gara, chiamati ellanodici. Questo periodo di allenamento serviva per scegliere gli atleti veramente preparati e capaci di gareggiare ad Olimpia.
Ogni competizione era definita da regole e formule precise. Lo scopo dei concorrenti era quello di ottenere gloria e grandi riconoscimenti in seguito alla vittoria. E’ opportuno aggiungere che non veniva ancora praticato il gioco di squadra, per cui le prove erano sempre individuali. Sebbene la Grecia avesse migliaia di miglia di coste e centinaia di isole nessuno sport d’acqua venne mai incluso nel programma delle gare.

Le competizioni erano le seguenti:

LA CORSA


Rilievo raffiguranti atleti impegnati in una gara


Era la gara più antica praticata ad Olimpia. Essa si differenziava per categorie di età e comprendeva vari tipi di specialità: lo stadion, il diaolus, il dolichos, l’hippios dromos e la corsa armata. I partecipanti alle corse si disponevano inizialmente su una linea di partenza, tracciata sulla sabbia dello stadio o indicata da un pilastro (in seguito venne fissata, alle colonne di partenza, una fune, che cadeva dinanzi agli atleti al segnale dei giudici); il segnale di partenza poteva essere dato da un araldo che gridava " Via!" o con uno squillo di tromba.

IL SALTO
Inizialmente era una gara isolata, nata da necessità pratiche per superare ostacoli naturali; in seguito venne inserita tra le discipline del pentathlon e sembra costituisse l’esercizio più difficile e importante. Le fonti letterarie e le raffigurazioni iconografiche attestano che il salto veniva eseguito al suono del flauto, che ritmava in maniera cadenzata i tempi del movimento.

IL LANCIO DEL DISCO


Il celebre discobolo di Mirone, opera risalente
alla prima metà del V sec. a.C.

Si tratta della competizione sportiva più celebre. Il disco di età classica era un oggetto circolare, di pietra o di metallo, più spesso al centro che ai bordi e di dimensioni tali che, tenuto in mano, superava la metà dell’avambraccio; talvolta poteva anche essere decorato al centro. Il peso in uso ad Olimpia era molto probabilmente una misura canonica e si aggirava intorno ai 2 Kg.

IL LANCIO DEL GIAVELLOTTO
Era già praticato dalle popolazioni primitive come specifica attività di caccia ed entrò in breve a far parte del programma olimpico. L’atleta prendeva una breve rincorsa, partendo con il braccio e l’asta portati in alto per abbassarli poi e infine scagliare il giavellotto verso il cielo curando attentamente l’angolazione per ottenere la misura più lunga.

IL PANCRAZIO
Fu probabilmente l’ultima tra le discipline atletiche greche introdotte alle olimpiadi e consisteva in una sorta di unione tra pugilato e lotta. Era uno sport davvero spettacolare e cruento in cui quasi tutte le prese ed i colpi erano ammessi.

LE GARE IPPICHE
Di vario tipo e di grande spettacolarità furono anche le gare ippiche. La prima corsa ippica che fu introdotta nel programma dei giochi olimpici fu il tiro a quattro cavalli, gara simbolo dell’aristocrazia greca. Fu in seguito introdotta la gara dei cavalli montati senza sella e poi anche gare di carri trainati da mule o da giumente. Sempre a cavallo si svolgevano gare di tiro con l’arco e con il giavellotto.

IL PENTATHLON
Accanto alle singole prove atletiche, il mondo greco conobbe anche un tipo di competizione che prevedeva cinque diverse gare: corsa, salto, lancio del disco e del giavellotto, lotta. Ancora oggi il pentathlon è una delle discipline sportive ammesse alle olimpiadi.

LA LOTTA
La gara era praticata su un terreno sabbioso, dissodato e livellato, in modo da proteggere il corpo dalle cadute; in epoca più tarda la lotta si effettuava su una vera e propria pedana. I lottatori indossavano inizialmente la cintura, che fu però ben presto abolita; nelle esercitazioni in palestra (mai nelle competizioni vere e proprie) potevano calzare una cuffia sulla testa. La lotta non conobbe distinzioni di categorie di peso, ma solo classi di età, distinte tra giovani ed adulti. La gara consisteva nell’atterramento dell’avversario e si articolava in una ben precisa serie di prese e di mosse. I lottatori si fronteggiavano studiandosi e poi si afferravano praticando tutta una serie di manovre volte a far cadere a terra l’avversario, di spalle o in ginocchio. Le prese potevano effettuarsi alle braccia, al collo ed al corpo in vario modo. La vittoria era assegnata all’atleta che riusciva ad abbattere per tre volte l’avversario, ma il successo più ambito era senza dubbio una vittoria ottenuta senza mai cadere nella polvere.

Da tutte queste gare erano escluse le donne; ad Olimpia però si celebravano ogni quattro anni le feste in onore di Hera riservate esclusivamente alle residenti nell’Elide. Queste feste, che erano di origine antichissima, comprendevano una gara in cui alcune fanciulle, raggruppate per età, correvano su una distanza leggermente inferiore ad uno stadio, indossando corte tuniche che lasciavano scoperta la spalla destra ed il seno. Le vincitrici delle gare venuvano incoronate con tralci di ulivo selvatico, così come i vincitori maschi.

IL PUGILATO


Affresco rappresentante dei giovani in una
gara di pugilato. 1550-1500 circa a.C.

Non conosciamo bene quali fossero le regola di questa pratica sportiva: certamente erano proibite prese e spinte ed era lecito soltanto lo scontro con i pugni. Non esistevano pause o "round", per cui l’incontro si concludeva solo in seguito allo sfinimento di uno dei due sfidanti. La gara era molto violenta e giungeva spesso a provocare lesioni mortali al perdente. La sconfitta poteva avvenire solo per k.o.. dell’avversario oppure per resa di uno dei due contendenti il quale alzava l’indice della mano destra per manifestare la sua intenzione di interrompere l’incontro.

 

COME SI ARTICOLAVANO LE GIORNATE?

Il primo giorno

Il primo giorno delle Olimpiadi era consacrato ai riti religiosi ed ai sacrifici propiziatori rivolti agli dei. Si iniziava la processione dei giudici e degli atleti lungo la Via Sacra da Elide, l’antico capoluogo dell’omonima regione, ad Olimpia. La processione si concludeva davanti all’altare di Zeus Orchios, cioè di Zeus protettore dei giuramenti; qui gli atleti, i loro parenti, gli allenatori ed i giudici di gara promettevano l’integrità morale, una gara leale ed onesta ed un giudizio imparziale.

Il secondo giorno

Sullo svolgimento della seconda giornata ci sono ipotesi diverse: alcuni sostengono che fosse dedicata alla gara dei fanciulli, cioè dei minori di 16 anni che si misuravano nella corsa, nella lotta e nel pugilato e, in seguito nel pentathlon e nel pancrazio; altri affermano che, nella mattina, si svolgevano sfilate di carri e corse nell’ippodromo, mentre il pomeriggio era dedicato alle discipline del pentathlon con finale rito funebre.

Il terzo giorno

La mattina era dedicata a diverse cerimonie religiose, che culminavano nel solenne sacrificio di cento buoi davanti al grande altare di Zeus.

Il quarto giorno

Si svolgevano le gare più spettacolari, concluse dalla corsa degli opliti. La sera stessa si cominciava già a festeggiare i vincitori, benché non fosse ancora avvenuta la proclamazione ufficiale.

Il quinto giorno

Aveva luogo la solenne processione che culminava con la premiazione degli atleti la cui testa veniva incoronata da un tralcio di ulivo selvatica. Seguivano poi manifestazioni e processioni di giubilo dei cittadini festanti e, in serata, si apprestavano sontuosi banchetti.

Gli atleti vincitori di Olimpia venivano incoronati con un tralcio di ulivo selvatico. Questa tradizione viene fatta risalire ad Eracle, che ne avrebbe portato la prima pianta nell’Altis.
I rami destinati alle ghirlande dei vincitori venivano tagliati, secondo il rito, con un coltello d’oro da fanciulli di buona famiglia, che avessero entrambi i genitori in vita. Ma altri premi venivano consegnati ai vincitori: un tripode o un lebete, entrambi vasi di bronzo, molto panciuti e capienti, scudi o coppe dorate; oppure grandi anfore ricolme di olio. Da questi premi di carattere prettamente materiale si passò ben presto al denaro: venivano infatti corrisposte agli atleti vincitori grosse quantità di dracme. Con l’introduzione del denaro si registravano i primi episodi di corruzione di giudici di gara e ci si avvia inevitabilmente verso il professionismo. Gli atleti vincitori potevano essere celebrati anche tramite l’erezione di statue o la raffigurazione della loro effige in monete. Le loro vittorie potevano essere inoltre cantate da poeti che componevano odi ed epinici, cioè canti appositi per la vittoria, recitati di corte in corte, che contribuivano a diffondere la gloria degli atleti. Pindaro, uno dei più celebri poeti greci, dedicò proprio ai vincitori di gare numerosi suoi inni chiamati epinici (da epi= per e nikh = vittoria).

Già nell’antichità era molto vivo il tifo sportivo e svolgeva l’importantissimo ruolo di diffondere la fama degli atleti più valenti. Il pubblico sosteneva con grida i concorrenti e talvolta influiva decisamente sull’esito delle gare. Solo più tardi, quando i valori dell’atletica si erano quasi del tutto spenti, il tifo assunse connotazioni negative divenendo espressione di violenza e di contrasti e fu, per questo, osteggiato dalle personalità di cultura più note. Come possiamo notare non è cambiato poi molto da quello che accade ai nostri giorni. Infatti spesso assistiamo ad episodi di violenza di cui sono protagonisti i tifosi più fanatici (ultras) che, così facendo, manifestano la loro ignoranza, ma soprattutto rovinano un importante momento di piacere e socializzazione quale lo sport, questa tradizione millenaria che oramai è parte integrante di tutti i popoli.

 

Approfondimenti

Il mito del fiume Alfeo

Dice il poeta Esiodo: "Non attraversate mai le acque dei fiumi dal corso eterno senza aver rivolto loro una preghiera: Chi, nell’attraversare un fiume, non immerge le sue mani nelle acque per purificarsi, attira su di sé l’ira degli dei". I fiumi, figli dell’Oceano e di Teti, percorrono la grande madre Terra in ogni senso. Sono anch’essi divinità, hanno loro templi e sono onorati con sacrifici di tori o di cavalli. I poeti e gli artisti li rappresentano adagiati come vecchi maestosi e solenni, con grandi barbe e chiome fluenti incoronati di giunco, e con un gomito appoggiato su un’urna da cui scorre acqua perenne. Se hanno il corso sinuoso la figura in cui si personificano è quella del serpente. Gli affluenti vengono invece rappresentati con figure di adolescenti o di fanciulli. I fiumi mugghianti e i limpidi ruscelli e le terse fontane sono abitati dalle ninfe Nàiadi, giovinette piene di fascino per ingenuità e grazia, che tengono in mano una conchiglia.
Molte leggende si erano formate intorno alle fontane e ai fiumi; bellissima è quella dell’Alfèo, in Sicilia. C’era una volta in Arcadia un famoso cacciatore, Alfeo, che, invaghitosi della ninfa Aretùsa, la inseguì sino a Siracusa, dove Diana, commossa dalla sua dispersione, la trasformò in fontana; ma Alfeo, cambiato in fiume, continuò la sua corsa sino a confondere le sue acque con quelle di Aretusa.

Le gare nel V libro dell’Eneide

I giochi che vengono disputati in onore di Anchise sono modellati su quelli omerici del XXIII libro dell’Iliade, celebrati in onore di Patroclo. Si trattava quindi delle antiche gare greche che si svolgevano alle Olimpiadi, divenute comuni anche in Roma e in tutto l’impero fino all’epoca dei primi regni romano-barbarici. A Roma, all’epoca di Virgilio, tra i vari giochi di forza e di destrezza era fondamentale il complesso di gare del pentathlon.
Nel V libro dell’Eneide si parla di una regata, gara non prevista alle Olimpiadi, e della corsa con le bighe, carri trainati da cavalli, corrispondente alle greche gare ippiche.
Enea premia il vincitore della regata cingendogli la fronte con una corona di alloro, ma vengono premiati anche gli altri, compreso Sergesto che è arrivato per ultimo con la nave malconcia.
A distinguere il vincitore è soprattutto la corona d’alloro, ma per il vincitore ci sono anche altri voti: mantelli, armature, qualche bacino di bronzo; vengono comunque tutti premiati. Questo spirito così sportivo era molto diffuso nell’antichità.

Pindaro e gli epinici

Pindaro nacque nel 518 a.C. Cinoscefale, in Tessaglia, non lontano da Tebe. Aristocratico (discendente degli Egineti?) o no che fosse, fu però tale di sentimenti. Fu avviato alla poesia da due poetesse: Mirtide e Corinna, si trovò ad avere ad Atene quale maestro di musica e di virtuosismi tecnici il celebre Laso di Ermione. Fu a Cirene presso Arcesilao IV, a Siracusa presso Gerone, ad Agrigento presso Terone. Curò molto l’educazione religiosa dei suoi tre figli: Protomaca, Eumete, Daifanto, e lui stesso costruì templi agli dei che sembra gli siano apparsi in persona (Pan, Persefone, ecc.). Godette anche la benevolenza di Alessandro Magno, il quale nell’occupazione e distruzione di Tebe, diede ordine che la sola casa di Pindaro fosse risparmiata per rendere onore a colui dal quale pare fosse stato cantato, in uno scollio (frammento della sua opera), coll’ appellativo di Filelleno. Morì ad Argo nel 438 a.C., reclinando il capo sull’òmero di Teosseno, un giovinetto amato, lasciando di sé, come aveva promesso ai figli, una imperitura fama.
Dalla sua opera di complessivi 17 libri che rappresentano l’intera produzione pindarica ci sono giunti solo 4 libri di epinici e frammenti di altri la cui conoscenza é andata arricchendosi in seguito a scoperte di papiri contenenti soprattutto peani e partenii. Gli epinici sono 44: il I libro comprende 14 Olimpiche; il II, 12 Pitiche; il III, 11 Nemee; il IV 7 Istmiche.
Questi epinici, o canti per la vittoria, prendono appunto nome dalle località dove si svolgevano le gare (Olimpia, Delfi, Nemea,Corinto), consistenti per lo più nel pancrazio (unione tra lotta e pugilato) e pentatlo (competizione in cinque gare: corsa,salto, lancio del disco e del giavellotto, lotta) ed erano dedicati a personaggi illustri, ad eroi o a semplici mortali che si erano affermati in tali gare. Nell’epinicio pindarico tra gli elementi che lo costituiscono (attualità, mito, gnome), ha maggior importanza, quello mitologico cui il poeta si allaccia prendendo spunto dal luogo stesso della vittoria o dalle particolari circostanze o dall’origine del vincitore o da esempi illustri. Ma il punto di sutura o di passaggio fra i vari elementi, é quello che lascia più perplesso il lettore, giacché è proprio di Pindaro non tener conto dell’apparente logicità, poichè egli componeva per via di immagini, come se di un vasto racconto mitico non volesse rammentare che alcuni luminosi quadri (voli pindarici, saltare da un concetto ad un altro senza seguire tutti i passaggi logici). Nella gnome il poeta ha modo di esprimere anche i suoi pensieri che ci rivelano appunto una profonda religiosità.
Questi tre elementi costitutivi si ritrovano pressoché costanti in tutte le odi. In queste i nomi dei vincitori sono assai vari, ma alcuni sono celebrati con maggiore insistenza e talvolta la medesima vittoria è cantata due volte, come ad esempio nell’Olimpica III che tratta della medesima vittoria conseguita da Terone di Agrigento, che viene celebrata ancora nell’Olimpica II, e nella I, II, III Pitica, ma per vittorie sempre diverse riportate con il cavallo e con la quadriga.
Per Pindaro il valore dell’uomo è unicamente determinato dal favore e dalla benevolenza dei dei. Essi sono rappresentati con purezza di linee e di etica idealità. Il modo di Pindaro è talvolta sconcertante: abbozza e crea nello stesso tempo con delle pennellate di una potenza e di un fulgore accecante non è retorica la sua ma un continuo tentativo di rifarsi a valori più alti, divini ed eroici, che possano servire di edificazione alla fede. Notevole è la sua lingua che è ionica con colorito dorico misto ad elementi eolici e beotici. Mirabile il suo stile, vigoroso e impetuoso.

 

Visita al museo


Prassitele, Hermes con Dioniso fanciullo in braccio,
IV secolo a.C.

Statua di Ermes con in braccio Dioniso, la famosa Nike Optera vittoria senza ali affinchè non volasse via, alcuni lavori di Fidia, l’elmetto di Milzide, il fregio del tempio di Zeus, uno rappresentante la staticità che raffigura un momento della vita dei giovani con Apollo, uno che rappresenta il movimento: guerra fra Lapiti e Centauri.

 

BIBLIOGRAFIA

E. Bonifazi, Itinerari di storia, vol. 1, Bulgarini, Firenze, 1996.

F. Ballotto, Storia della letteratura greca, Signorelli, Milano, 1967.

Dizionario della civiltà classica, a cura di AA. VV., Rizzoli, Milano, 1994.

Peter Levi, Atlante del mondo greco, Istituto Geografico De Agostini, Oxford, 1984.