IL TEATRO GRECO

EPIDAURO
La città d’Epidauro si trova in riva al mare nella regione detta Argolide. Qui sorse un santuario sacro ad Asclepio, dio della medicina, che nel IV sec. a.C. raggiunse una grande importanza in tutta la Grecia. Il suo teatro era uno dei più belli anche ai tempi dell’imperatore Adriano II sec. d.C. Questo teatro, è tuttora in ottime condizioni. Si definisce in realtà anfiteatro perché ha il theatron doppio.

IL TEATRO

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Il teatro di Epidauro risalente al IV sec. a.C.

Secondo la teoria aristotelica la nascita del "vero" teatro si è avuta nel piccolo territorio dell’Attica, una regione in cui l’uomo era al centro e dominava tutto. Questa concezione porrà le basi per la nascita della tragedia.

Sarebbe stato il culto di Dioniso a dare inizio alla tragedia e quindi il primo luogo teatrale fu il suo altare, attorno al quale i COREUTI solennizzavano con il canto il sacrificio rituale, avendo così un circolo con l’ara al centro. Più tardi i coreuti lasciarono libero un terzo del cerchio per innalzare la tenda dove l’unico attore doveva travestirsi, la SKENE’. Dietro il coro c’era il pubblico, alzato su scalinate di legno, adagiate sulla pendenza dei colli.

Innanzi tutto l’edificio teatrale era all’aperto ed era formato da tre parti:

L’ORCHESTRA, dove il coro danzava e cantava, di forma semicircolare, tranne ad Epidauro dove era un cerchio.

LA CAVEA su cui sedevano gli spettatori, questo luogo inizialmente si chiamava THEATRO, dal verbo theaomai (vedere).


Un sedile del teatro di Dioniso ad Atene,
risalente al IV secolo a.C.

Esisteva nella cavea una fila di posti d’onore, la prima fila, con seggi dotati di appoggi per la schiena e le braccia. Questi posti erano riservati ai sacerdoti, ai magistrati, agli orfani di guerra e ai rappresentanti degli stati stranieri.

LA SCENA, un edificio di legno e pietra che sostituì la skenè.

Davanti alla scena vi era il PROSKENION, il palcoscenico.

All’inizio gli attori recitavano nell’ORCHESTRA, poi si spostarono sul PROSKENION.

Raramente si cambiava la scenografia, ma quando ciò doveva avvenire si usava la scena duttile, in altre parole un tavolato dipinto mosso da ruote.

Gli attori erano solo uomini anche per le parti femminili. Erano forniti di una maschera che nascondeva tutto il capo fatta di tela gessata, pelle o legno. Entravano in scena indossando costumi ricchi e solenni, esibendo sontuose scarpe a suola molto alta, il "colturno".

La parte cantata, o melos, era destinata al coro, mentre la paracataloghè e la cataloghè erano riservate all’attore

Le rappresentazioni teatrali sono quattro: tragedia, dramma satirico o satiresco, commedia, mimo e pantomimo.

Il dramma satiresco era una farsa buffonesca, con il coro di satiri e sileni. La sua struttura era in sostanza identica a quella della tragedia, a noi sono arrivati il Ciclope di Euripide e i Segugi di Sofocle.

La commedia guardava alla vita quotidiana, era affidata al canto, alla musica e alla recitazione.

L’ultimo genere, il mimo, ebbe umili origini. Inizialmente era basato sull’improvvisazione, poi divenne uno spettacolo teatrale con molte scene, un intreccio e vari personaggi.

LE RAPPRESENTAZIONI
Le rappresentazioni si svolgevano durante queste feste:

Durante queste feste si svolgevano anche delle gare teatrali, cui potevano partecipare solo due poeti, scelti dall’arconte eponimo. Essi dovevano presentare due tragedie e un dramma satiresco. Inizialmente il regista era lo stesso poeta e gli attori erano prima uno poi due e infine tre. C’erano alcuni preliminari da compiere prima della gara: la scelta dei giudici, che erano estratti a sorte tra tutti i cittadini, tranne quelli più poveri, e l’invocazione al dio Dioniso. Gli spettacoli teatrali erano aperti a tutti gli uomini greci, maschi e femmine, liberi e schiavi. Le rappresentazioni erano in origine collegate al rito religioso e, per questo, considerate un mezzo importante per formare ed educare i cittadini. Esse svolgevano infatti una funzione didattica: lo spettatore si immedesimava nel dramma, riconosceva i propri errori e le proprie colpe e cercava di migliorarsi. Il pubblico si comportava pressappoco come quello dei nostri giorni: aveva i suoi divi, chiedeva il bis, applaudiva in segno di apprezzamento, fischiava ed espelleva a forza gli attori interrompendo lo spettacolo che non apprezzava. Le opere erano allestite a spese dei cittadini più ricchi. L’ingresso era praticamente gratuito e, quando fu stabilito un bassissimo prezzo d’entrata, lo stato provvedeva al pagamento per i cittadini più poveri.


Una vista dell'orchestra dalla cavea.

LA TRAGEDIA
Nella tragedia l’uomo era centro e dominatore con le sue passioni. Il primo grande tragéda fu sicuramente Eschilo.
Secondo la teoria aristotelica, il culto di Dioniso avrebbe dato vita alla tragedia attraverso il ditirambo (forma di canto corale in onore di Dioniso).
All’origine la festa del dio si imperniava su un corteo che, giunto all’altare, immolava un toro tra i canti dei coreuti, canti dapprima solo improvvisati, poi composti.
Il contenuto era la celebrazione delle avventure del dio e più tardi divenne una preghiera. Infatti, Dioniso, l’unico attore, compariva ai fedeli per entusiasmarli con la sua storia.

 

I TRAGICI

ESCHILO (525/456 a.c.) Le sue opere più famose a noi rimaste sono: le Supplici, i Persiani, i Sette contro Tebe, il Prometeo incatenato e l’Orestea (Agamennone, Coefore, Eumenidi). Alla base della concezione tragica eschilea è il problema della colpa, punita da Zeus secondo una giustizia inesauribile. Il male nasce dalla colpa e la colpa dalla HYBRIS, che travia la mente umana. Chi pecca di hybris è colui che non conosce o non rispetta i propri limiti e ciò scatena la rabbia e l’invidia degli dei. Secondo Eschilo soffre solo chi è colpevole, e chi soffre pur non essendo colpevole, sconta le colpe dei padri, e si trova fatalmente a commettere nuovi delitti.

SOFOCLE (496/406 a.C.)

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Scultura romana in marmo, copia
di un originale bronzeo greco,
rappresentante Sofocle.

Di lui ci restano solo sette tragedie (Antigone, Aiace, Edipo Re, Elettra, Trachinie, Filottete, Edipo a Colono). Anche Sofocle crede fermamente che gli dei siano giusti e che l’uomo sia infelice solo quando è colpevole; ma egli è preoccupato del problema della colpa involontaria, punita dagli dei secondo la stessa inesorabile giustizia. Il poeta si apre così al pessimismo più profondo dove l’unica consolazione è la fede.

EURIPIDE (480/406 a.C.)

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Erma marmorea con testa di Euripide,
copia romana da un originale ellenistico.

Di questo autore ci restano diciassette tragedie (Alcesti, Medea, Ippolito, Eraclidi, Ecuba, Andromaca, Supplici, Eracle, Troadi o Troiane, Elettra, Elena, Ifigenia in Tauride, Fenice, Ione, Oreste, Ifigenia in Aulide, Baccanti). Euripide non possiede né la fede di Eschilo né la passionalità di Sofocle, solo l’immensità del dolore umano apre il cuore del poeta: tutti soffrono, colpevoli e non, travolti dalla comune angoscia di vita.

 

 

 

BIBLIOGRAFIA: