EDUCAZIONE A SPARTA E AD ATENE

 

L’educazione del fanciullo ateniese cominciava molto presto. Infatti, appena egli era in grado di intendere le parole, come dice Platone, la nutrice, la madre ed il padre si sforzavano di insegnargli il giusto ed il bello. L’educazione, in Grecia, fu sempre molto curata, tanto è vero che già nella più antica legislazione, quella di Gortina, si leggono norme sull’educazione dei cittadini. Sia ad Atene che a Sparta preminente era l’educazione dei giovani; tuttavia mentre gli Ateniesi si proponevano di formare cittadini intelligenti, raffinati nello spirito, amanti del bello e del vero, gli Spartani miravano piuttosto alla formazione di cittadini coraggiosi e disciplinati, sempre pronti a combattere ed a sacrificarsi per la patria. Il legislatore Licurgo stabilì i principi fondamentali dell’educazione spartana: i giovani, comprese le fanciulle, appartenenti alla prima classe, quella degli Spartiati, erano abituati a vivere in comune, in gruppi (filitie o sissitie). La sanità del corpo era considerata molto importante: un bimbo, appena nato, era esposto all’aria aperta, perché il suo fisico si irrobustisse, e, se appariva gracile o presentava qualche difetto fisico, era esposto sul monte Taigeto, perché morisse di fame. I ragazzi e le ragazze, che crescevano insieme fin dalla piccola età, erano abituati a faticosi esercizi fisici: corse, gare di lotta, lancio di frecce e di giavellotti. Distinti in due gruppi, erano affidati ad un anziano, ed imparavano a resistere al caldo,al freddo, al sole ed alla pioggia. A Sparta, tuttavia , non mancavano le scuole vere e proprie, tutte private, in cui i giovani imparavano prima a leggere ed a scrivere e poi erano istruiti in alcune discipline, come le poesia, l’aritmetica e la musica.


Particolare di una kylix attica, del V secolo a.C., con una scena di vita scolastica di fanciulli
ateniesi.

La vita in comune dei ragazzi spartani era conosciuta ad Atene, dove, fino a sette anni, il fanciullo rimaneva in casa, affidato ad un pedagogo, uno schiavo più istruito degli altri, che gli insegnava a leggere, scrivere e far di conto. Compiuti i sette anni, il ragazzo, accompagnato dal pedagogo (che lo seguiva, lo sorvegliava dovunque e gli portava i libri), andava a scuola, presso il grammatico il quale, per lo più, perfezionava le prime nozioni già apprese dal fanciullo in casa. La prima scuola era, dunque, quella di grammatica, che corrispondeva alla nostra scuola elementare. Anche ad Atene, come a Sparta, non esistevano scuole pubbliche, ma numerose erano le private gestite da maestri di professione. Il ragazzo portava da casa il necessario per scrivere: una tavoletta di legno incerata, su cui si incideva con la punta dello stilo (mentre con l’altra estremità arrotondata si cancellava), tavolette su cui si scriveva con l’inchiostro (servendosi di una canna appuntita), ed, infine, fogli di papiro. L’arredamento delle aule era molto semplice: non vi erano tavoli, ma solo sedie e panche, sicché i fanciulli erano costretti a tenere sulle ginocchia il materiale scrittorio. Dopo aver imparato a leggere correttamente, il fanciullo doveva mandare a memoria i brani più significativi delle opere dei maggiori poeti, per ammirarne i precetti morali e proporseli come esempio. Quanto ai calcoli, si usavano sassolini, oltre al computo sulle dita. Verso i dodici anni, poi, il ragazzo cominciava a studiare anche la musica: fra gli strumenti, la lira era preferita alla cetra ed al flauto. Oltre ai maestri di grammatica e di musica, c’era quello di ginnastica, sotto la cui guida, in palestra, il fanciullo ateniese compiva vari esercizi a corpo nudo, che tendevano non solo ad irrobustire il fisico, ma anche a fortificare l’animo.

 

La donna in Grecia

In Atene
In età storica la donna non è libera di sè, né considerata. Si deve però tener conto che le informazioni che abbiamo circa la donna greca in questa età sono in massima parte di fonte attica e ci riportano quindi in una città e in un tempo nel quale la libertà femminile era, più che altrove, limitata. Più libera era certamente la donna spartana, che perciò aveva fama di immoralità. Certo è che in Atene la donna faceva vita ritiratissima. La donna maritata almeno poteva girare liberamente per la casa, purché stesse bene attenta a scappare nelle sue stanze appena un estraneo si fosse presentato a cercare il marito, invece alle fanciulle era vietato persino di circolare per la casa. Quanto poi a uscir di casa, alle donne giovani, comprese le maritate, non era permesso che in certe occasioni. Nelle città in cui il divieto di uscire non era posto per legge, lo stabiliva l’autorità e il costume del capofamiglia; e anche l’uso di farsi visita fra signore sembra fosse circondato da ogni cautela. E’ stato osservato che in alcuni autori si trovano allusioni che non si spiegano se non ammettendo che il divieto di mostrarsi in pubblico posto alle donne non fosse rigorosamente osservato anche in Atene; ma si deve ritenere che quei passi riflettevano la vita delle famiglie povere dove, per mancanza di schiavi, certe incombenze ricadevano necessariamente sulla madre di famiglia. L’avvilimento della donna in età attica è da giustificarsi con la grande diffusione dell’amore per gli adolescenti e con l’interesse per la vita pubblica, che assorbiva i cittadini facendo sentire la necessità di vivere il più possibile in comune.
Solo durante le feste religiose le donne potevano uscire liberamente. Sembra anche che potessero assistere a spettacoli teatrali, ma in una sezione separata dagli uomini. Si evitava però di condurre le donne alle commedie, per lo meno sinché fu tollerata la libertà di linguaggio della commedia antica (sec. V). Uscendo solo eccezionalmente, la donna greca aveva rari contatti con gli uomini; pochi anche col marito, che le cure della campagna costringevano ad assenze periodiche. Sole spesso anche nel talamo, perché sembra che gli uomini ammogliati abitualmente dormissero nelle stanze riservate ai maschi, abituata a considerare come sua prima virtù il silenzio e come condizione di libertà domestica l’ignoranza, la donna greca conduceva una vita monotona. Ella allattava e allevava i figli; era l’assidua custode delle femmine sinché non andavano spose; sorvegliava le schiave, tesseva, si occupava di cucina e aveva cura degli infermi in caso di malattia. L’uomo, come ne limitava la libertà, così indulgeva alle sue debolezze e ne rispettava anche la gelosia. I mariti riconoscevano l’autorità delle mogli sui figli e sui servi. Da giovane ella imparava, dalla madre e dalle schiave più esperte, le nozioni necessarie alla vita e ai doveri femminili. Vera istruzione almeno in Atene, le fanciulle non ne ricevevano. Nel mondo ionico eolico e dorico alle donne del ceto migliore si dava la possibilità di acquistare una certa cultura, ma in Atene la donna di buona famiglia è ignorante.

La donna ellenistica (323-31 a.C.)
Un notevole innalzamento del livello sociale e culturale della donna greca si presenta solo nell’età ellenistica. Talvolta ella assumeva addirittura il potere e svolgeva un’importante ruolo nella politica dello stato. Dalle corti di Alessandria e Antiochia la maggiore importanza data e presa dalla donna nella società si allarga anche ai più modesti strati sociali: cessata la libera vita politica, gli affetti familiari prendono un posto maggiore che non nell’epoca classica, le relazioni fra i sessi si affinano e ingentiliscono nella galanteria.

La condizione giuridica
La donna in Grecia è giuridicamente incapace: essa ha limitata capacità processuale e limitato esercizio di tutti i diritti privati, non può fare testamento, né atti di ordinaria amministrazione. Sinché è minorenne (14 anni) è sotto la podestà del padre; raggiunta la maggiore età, è soggetta alla tutela muliebre esercitata dal padre, dal fratello o dal marito. In taluni casi e sotto l’osservanza di certe forme può essere citata in giudizio, deporre come testimone, prestare giuramento decisorio. Ella ha capacità sacrale: interviene a cerimonie religiose familiari e pubbliche; può essere sacerdotessa; interviene pubblicamente alle nozze, ai funerali, e, morta, riceve onori funebri.

Il matrimonio
Presso i Greci il matrimonio era sentito come un dovere che si aveva verso lo stato, verso gli dei, verso se stessi, per assicurare alla famiglia i discendenti che ereditassero le sostanze e il culto domestico. Spesso la morte di una giovane fanciulla suscitava compianto solo per il mancato adempimento del ruolo di moglie a cui era stata destinata. Talvolta le tombe di fanciulle morte prima del matrimonio sono contrassegnate da vasi dalla forma usata per il trasporto dell’ acqua per il bagno prenuziale. Con il matrimonio la donna passava sotto la tutela del marito per la maggior parte degli affari, con l’importante limitazione tale per cui il padre, o chi l’avesse data in sposa, conservava il diritto di sciogliere il matrimonio. Se il marito moriva prima della moglie la tutela della sua dote e della sua persona passava ai figli maschi maggiorenni. Se una vedova non aveva figli ritornava sotto la potestà del tutore originale o dei suoi eredi. La legge disponeva che si provvedesse alla dote di fanciulle povere anche di aspetto abbastanza attraente, e alcune volte Atene provvide a dotare le figlie di uomini che avevano servito lo stato. Gli ateniesi erano protettivi verso le loro donne. Con il matrimonio la dote passava dall’amministrazione del padre a quella dello sposo. In caso di divorzio il marito era tenuto a restituire la dote al tutore dell’ex moglie. In tal modo si continuava a provvedere al suo mantenimento e, con la dote intatta, essa sarebbe stata un buon partito per un nuovo matrimonio.
Gli uomini stringevano patti di matrimonio sulla base di considerazioni economiche e politiche e le fanciulle erano sempre obbligate a sposare l’uomo scelto per loro dai parenti maschi. Lo scopo del matrimonio era la procreazione. Il giorno del matrimonio, prima che lo sposo la raggiungesse, la sposa mangiava un frutto con molti semi simbolo della fertilità. La nascita di un figlio soprattutto se maschio, era considerata come il raggiungimento dello scopo del matrimonio. Nelle condizioni ideali la fanciulla si sposava per la prima volta a 14 anni con un uomo sulla trentina. La necessità che la sposa fosse vergine, unitamente all’antica credenza che le fanciulle giovani fossero sensuali, rendeva desiderabile un matrimonio precoce. Una giovane vedova poteva servire da moglie in un certo numero di matrimoni consecutivi.

Un marito che stava per morire o sul punto di divorziare poteva provvedere al futuro matrimonio della moglie. Il divorzio era facilmente ottenibile. Quando avveniva per iniziativa del marito, egli non doveva fare altro che estromettere di casa la moglie. Quando era questa a volere il divorzio, aveva bisogno dell’intercessione del padre. Poiché i figli erano generati per perpetuare il casato del padre, egli ne era il proprietario e quando il matrimonio era sciolto, essi rimanevano nella sua casa. La divorziata o la vedova erano libere di risposarsi e di dare dei figli al nuovo marito.

La donna secondo Omero
In Omero la moglie gode di tutta la considerazione che ha anche oggi presso i popoli civili. E’ venerata dal popolo come una dea e gode di altissimo onore da parte del marito e dei figli. Nell’età di Pericle o di Demostene, due sposi che si fossero scambiati in pubblico carezze e tenere parole, sarebbero sembrati veramente scandalosi. In Omero condizione normale della donna libera e adulta è l’essere sposa. La fanciulla, cresciuta sotto la sorveglianza della madre, passava il tempo giocando con le ancelle più giovani e dando mano alle faccende di casa. Il matrimonio avveniva nella forma di una compravendita: lo sposo faceva poi alla sposa un regalo di nozze, che essa portava con sé nella casa maritale. Non mancano in Omero anche accenni alla dote. Ufficio della moglie è anzitutto tenere in consegna i beni che la casa racchiude, sorvegliare i lavori delle schiave ai quali essa presiede e prende parte; vigilare sulla disciplina domestica. La madre allatta da sé i figli; la nutrice è una bambinaia che durante l’allattamento ha cura della pulizia del lattante e lo porta fuori in collo accompagnando la madre e quando è svezzato lo nutre e ne cura la prima educazione. Quando vi sono ospiti è la padrona che fa gli onori di casa, purché vi sia il marito; altrimenti rimane nelle sue stanze, e se deve mostrarsi fra gli uomini, vi compare con la faccia velata, non oltrepassa la soglia del megaron e si fa accompagnare da ancelle: ancelle o una vecchia parente l’accompagnano quando esce fuori di casa; per il resto è libera di uscire quando crede. La considerazione di cui gode la donna nel mondo Omerico non impedisce che il concubinato e gli amori ancillari siano tollerati più che nell’età seguente e che la prole spuria sia messa alla pari con la legittima. Solo sotto questo aspetto la condizione della donna omerica ci appare inferiore a quella della donna attica.

Il look
L’abbigliamento delle donne rispettabili serviva anche a nasconderle agli occhi di uomini estranei. Secondo i criteri moderni, esso era semplice. Il materiale usato in epoca classica dalle donne per bene era normalmente la lana o il lino, ma le prostitute indossavano abiti di velo trasparente tinti con lo zafferano. Lo stile poteva essere ionico o dorico. Lo scialle era portato in entrambi gli stili e poteva essere tirato sulla testa come un cappuccio. Poiché il chitone ionico isolava, era l’abito che si tendeva ad indossare in pubblico, mentre in casa si portava una tunica più corta, che fungeva anche da camicia da notte e da sottoveste. Vi era una grande varietà di sandali e pianelle. Si portavano sandali con listelli di cuoio tra le dita e sandali con strisce allacciate intorno alla parte inferiore della gamba, fino al ginocchio. Alcune donne indossavano calzature con la suola alta per aumentare la propria statura. Esse asportavano i peli del pube bruciacchiandoli o strappandoli. I cosmetici erano usati sia dalle casalinghe sia dalle prostitute. La carnagione bianca era considerata attraente, perché dimostrava che la donna era abbastanza ricca da non dover uscire sotto il sole. A questo scopo si usava comunemente biacca di piombo in polvere, e quando le donne uscivano di casa si riparavano dal sole con un parasole. Per le guance si usava il belletto. Sebbene l’abito fosse semplice, i gioielli e le acconciature potevano essere elaborati. Le donne portavano i capelli sciolti, sormontati da un diadema o da una fascia, oppure raccolti in uno chignon o in una retina. Sembra che talvolta si sia fatto uso di riccioli posticci. Al contrario, i capelli delle schiave erano normalmente tagliati corti. Poiché l’abito e le attività delle donne sono spesso un indice del benessere economico dei loro mariti, non ci sorprende trovare nelle sepolture femminili indicazioni sulla condizione sociale della famiglia e gli accessori che si addicevano alla classe agiata.