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Fin dalla preistoria l’uomo è stato colpito dalla regolarità dei moti apparenti delle stelle, del Sole, della Luna e li ha studiati, anche perché apparivano come il segno di un disegno preordinato d’origine divina. L’immagine medioevale del mondo risale ad Aristotele (384-322 a. C.) e Tolomeo (150 d. C c.a.). Il primo aveva fornito le basi della fisica celeste: il suo De Coelo costituiva il testo base dell’insegnamento avanzato. In esso il Cielo era descritto come "unico solo e completo: non vi sono né spazio, né vuoto, né tempo al di là di esso". Composto di materia eterna (l’etere) il Cielo è immutabile; circonda la Terra che sta al centro immobile, imperfetta e corruttibile. Il centro della Terra e il centro dell’Universo, benché accidentalmente, coincidono.


Aristotele con il busto di Omero
(H. Rembrandt)

Una prima svolta la diedero i Pitagorici (VI-V secolo) secondo cui la Terra era sferica e su sfere dovevano muoversi i corpi celesti; ma già fra i contemporanei di Aristotele ci furono voci discordanti: mentre, infatti, Eudosso (408-355 a. C.) appoggiava la teoria peripatetica, Aristarco di Samo (310-230 a. C) propose una rivoluzionaria e innovativa teoria eliocentrica che, d’altro canto, venne velocemente dimenticata e sopravvisse solo sotto forma di curiosità per gli studiosi.

La cosmologia Tolemaica non fu una semplice sistemazione matematica di quella Aristotelica: nel tentativo di giustificare per via matematica e geometrica le anomalie celesti introdusse elementi nuovi senza peraltro intaccare il sostanziale geocentrismo.

Elaborò un sistema assai complesso ma anche elegante e coerente, capace di garantire per diversi secoli una notevole concordanza tra i fenomeni effettivamente misurati e le misure previste dalla formulazione teorica. Pur nettamente superiore dal punto di vista scientifico il sistema Tolemaico fu a lungo contrapposto a quello Aristotelico fino all’apparire della minaccia del sistema di Copernico, che insidiava il comune geocentrismo. Gli astronomi Occidentali, abituati a percepire i cieli come la regione dell’immutabilità e perfezione, iniziarono a cogliere dei mutamenti solo dopo la formulazione del sistema eliocentrico ad opera di Copernico (1473-1543) e Tycho Brahe (1546-1601): da allora il mondo apparve assai più ricco e vario di prima.


Un ritratto di Niccolò Copernico dal
museo di Thorn, città natale
dell'astronomo

Alla morte di Tycho il suo sterminato e accuratissimo archivio fu lasciato nelle mani di un giovane astronomo tedesco: Johannes Kepler (1571-1630) che agli inizi del ’600 per primo diede inizio all’unione tra la fisica celeste e quella terrestre; l’impresa fu portata a termine da Newton (1642-1727) che definì la legge della gravitazione universale.


Newton (W. Blake, 1775)

Questa sintesi fu accompagnata anche da un’invenzione tecnologica: il cannocchiale rivolto per la prima volta al Cielo da Galilei (1564-1642) che contribuì a determinare la "rivoluzione scientifica" assicurandole, pur in un acceso dibattito teologico dogmatico, delle salde basi filosofiche.

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La rappresentazione del cosmo secondo Eraclide, quale riportata in un
codice miniato del XV sec. che riproduceva il De nuptiis Philologiae
et Mercurii
di Marziano Capella.