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La visione dell’universo fino al Cinquecento era dominata dalla teoria geocentrica, che vedeva la terra immobile al centro di un universo chiuso e finito. Tutta la scienza astronomica prerinascimentale e rinascimentale e la filosofia scolastica diedero fondamento alla teoria tolemaico-aristotelica. Soprattutto per la visione di un universo compiuto e ordinato e poiché questa visione sembrava la più congruente con l’interpretazione letterale di molti passi della Bibbia, che sembravano attestare l’immobilità della terra e la rotazione del sole attorno a questa, si inserì nel pensiero cattolico diventando una teoria difficilmente attaccabile e discutibile.

Inoltre, questa teoria era anche supportata sia dalla difficoltà di poter percepire sensorialmente i moti terrestri, dato che l’uomo vi partecipa, sia dalla coscienza dell’uomo come centro dell’universo.

Il primo che mise in crisi la teoria geocentrica fu Copernico nel 1543 nel "De Revolutionibus Orbium Coelestium" . Egli formulò infatti una teoria eliocentrica sotto forma di ipotesi matematica e non pubblicò i suoi scritti, non volendo confondersi con la teologia. I suoi studi furono pubblicati in seguito da un amico protestante che, attento all’interpretazione letterale della Bibbia, li presentò, in un’introduzione alla prima copia, come una semplice speculazione matematica.

Ma perché Copernico si trattenne dal pubblicare la sua opera? In che modo una formulazione scientifica poteva diventare oggetto dello studio teologico della Chiesa? Per rispondere a queste complesse domande, per risolvere questa questione secolare, bisogna comprendere la mentalità dei contemporanei di Copernico e la difficoltà del momento storico post-Concilio di Trento. Bisogna comprendere che l’uomo dell’epoca considerava scienza e teologia come una stessa cosmologia armonica derivata da un medesimo disegno divino; i tempi non permettevano di distinguere tra scienza naturale e fede religiosa.

Sulla scia di Copernico si mosse anche Galileo, che nel Seicento riprese la visione eliocentrica supportandola con alcune giustificazioni e alcune ricerche di carattere scientifico non ancora sufficienti a dimostrare questa teoria. Infatti, se da un lato le sue prove potevano demolire Tolomeo, dall’altro non potevano dimostrare la sua teoria. Quando Galilei pubblicò suoi primi scritti nei quali erano espresse queste idee sotto forma di teoria comprovata, venne invitato a discuterli presso il collegio romano dei Gesuiti, fu accolto con rispetto ma si sottolineò che quello che affermava non era ancora dimostrato.

Nel 1615 ci fu un processo per confutare la teoria copernicana, nel quale fu coinvolto anche Galileo che fu ammonito a non insistere sulla verità delle sue tesi senza averne le prove (conferma del moto della terra si poté avere solo con la fisica newtoniana, prove precise con la scoperta della luce stellare di Bradley -1751- e con la celebre esperienza di Foucault del 1851).

Nel 1632 pubblicò la sua opera più famosa, il "Dialogo sopra i massimi sistemi del mondo", in cui sostiene la teoria copernicana contro quella tolemaica. Il papa Urbano VIII non si mostrò ostile alla pubblicazione purché apparisse chiaramente che la nuova teoria fosse ancora un’ipotesi. Galileo contravvenne all’indicazione e l’inquisizione intervenne per una questione di carattere giuridico-amministrativo e per evitare che il popolo, ignorante in materia, fosse turbato per questo sconvolgimento secolare della visione cosmologica.Unica fonte conosciuta in maniera degna all’epoca e ritenuta, analisi letterale, competente in questo ambito, erano le Sacre Scritture, l’interpretazione delle quali era considerata sbagliata da alcuni seguaci di Galileo.

Il secondo processo si concluse con l’abiura delle sue tesi da parte di Galileo che fu condannato a un periodo di arresti domiciliari e gli si chiese di accusare anche altri che sostenessero queste idee; come pena gli fu "imposta " la recita settimanale di sette salmi penitenziali, ma questa fu espiata dalla figlia, monaca di clausura, secondo una prassi allora possibile.

Il dibattito religioso sulla questione galileiana apparve come un’eccessiva ingerenza teologica in materia scientifica. La Chiesa, intervenendo così specificatamente, diede l’impressione di voler difendere una visione scientifica particolare quando invece la sua preoccupazione era quella di salvaguardare la fede dei poveri e degli umili e l’ortodossia ma, a torto, non le sfiorava nemmeno il pensiero di percepire la terra come corpo celeste da investigare in base alle sue condizioni fisiche e astronomiche bensì la riteneva un singolare palcoscenico della divina redenzione e rivelazione . La grandezza di Galileo consiste nell’aver compreso che è sbagliato cercare nella Bibbia la spiegazione di fenomeni naturali seguendo un’interpretazione letterale dei testi:

 

"Stante, dunque , che la Scrittura in molti luoghi è non solo capace ma necessariamente bisognosa di esposizioni diverse dall’apparente significato delle parole, mi par che nelle dispute naturali ella debba essere riserbata in ultimo luogo".

(dalla lettera a Bernardo Castelli)