Affinché
un sistema di allarme anti-tsunami funzioni a dovere è necessario innanzitutto
individuare le aree costiere che potrebbero eventualmente essere interessate da
questo genere di fenomeno. Per far ciò si elaborano al computer alcuni modelli
matematici che, tenuto conto dell’altezza delle coste e della morfologia del
suolo, sono in grado di stabilire fino a quale distanza dalla riva un’onda di
tsunami potrebbe penetrare nell’entroterra. La disponibilità di una mappa delle
zone a rischio è uno strumento essenziale sia per definire le aree sorgenti di
maremoti sia per determinare gli effetti prodotti da onde anomale sulle coste.
Schema di uno strumento DART. Sul fondo marino è collocato un sensore di pressione che comunica con un canale acustico i dati alla boa ad esso associata. La boa a sua volta invia i segnali ai centri di acquisizione dati. |
Un sistema di monitoraggio di tsunami in prossimità delle coste dell'Alaska; la boa trasmette il segnale ad un satellite, proveniente da un sistema posto sul fondo del mare, che registra variazioni di pressione. |
Nuovi modi per prevedere uno tsunami:
Nel caso
delle spiagge italiane non è possibile allertare la popolazione con i sistemi
adottati sulle coste del Pacifico per i tempi piuttosto brevi del tragitto
dell’onda verso la costa. La prevenzione deve quindi fondarsi su criteri diversi
e puntare su una informazione capillare e insistita degli abitanti delle zone
rivierasche e degli operatori turistici possibilmente anche con cartelli
sistemati sulla battigia che avvisino di allontanarsi velocemente dalla spiaggia
in caso di scosse sismiche o del ritiro improvviso del mare.
Infine
merita un cenno la costruzione, in Giappone e in India, di alcuni muri e portoni
di acciaio che si chiudono automaticamente qualora scatti l’allarme i quali
hanno mostrato la loro efficacia in occasione di tsunami seguiti a pochi minuti
dal terremoto o in ore notturne in cui non è possibile avvertire con
tempestività la popolazione. Le costruzioni sistemate sulla spiaggia non sono
certo un bel vedere ma hanno dimostrato la loro efficacia in passato in Giappone
e in India proprio in occasione dell’ultimo tsunami.
In base a sopralluoghi condotti in Indonesia e in altre zone dopo la catastrofe, è subito emerso che la sola misura dell'altezza raggiunta dall'acqua non è sufficiente a prevedere l'effetto di uno tsunami. In molte località della Thailandia, dello Sri Lanka e delle Maldive, l'altezza dell'onda si era mantenuta sotto i 4,5 metri, ma la devastazione prodotta era paragonabile a quella di Aceh, dove l'acqua era sei volte più alta. Un altro dato scioccante è che a Banda Aceh le onde avevano distrutto interi isolati di edifici in cemento armato che erano resistiti al sisma iniziale. Per riuscire a prevedere l'entità dei danni, si stanno mettendo a punto nuovi sistemi di valutazione che tengano in considerazione anche le potenti correnti che si formano all'interno dell'onda quando si spinge nell'entroterra, correnti molto più forti in uno tsunami che in una corrente ordinaria. I nuovi standard saranno poi usati per prevedere l'impatto delle ondate sulle strutture costruite lungo le coste.
Danni provocati da uno tsunami in una baia indonesiana. |