TERRITORIO
L'Angola è uno stato dell'Africa centrale. Il suo territorio si estende su
1.246.700 km² e conta 12.127.071 abitanti. La capitale è Luanda. Confina a nord
con la Repubblica Democratica del Congo, a est con lo Zambia, a sud con la
Namibia e a ovest si affaccia sull'oceano Atlantico. Fa parte del paese anche
l'exclave di Cabinda situata al confine fra Repubblica Democratica del Congo e
Repubblica del Congo. La lingua ufficiale è quella portoghese.
Il territorio dell’Angola può essere suddiviso in tre regioni fisiche che si
succedono da ovest verso est: la stretta pianura costiera; un aspro altopiano
(l’altopiano del Biè) che, con un’altitudine media di 1.300 m, occupa circa i
due terzi del territorio angolano; i rilievi situati nella sezione centrale del
paese, dove si innalza il monte Serra Moco (2.620 m).
Dai rilievi centrali nascono i fiumi più importanti, tra i quali il Kwanza e il
Cunene, che sfociano nell’oceano Atlantico, il Kwango, che confluisce a nord nel
fiume Congo e, infine, il Kwando e il Kubango, che raggiungono le paludi
dell’Okavango, nel Botswana settentrionale.
La forma di vegetazione
dominante è la savana, mentre lungo i fiumi si incontrano tratti di foresta
pluviale.
PROBLEMI E TUTELA DELL'AMBIENTE
Pressione demografica e carenza di infrastrutture sono le
cause principali dei numerosi problemi ambientali dell’Angola. La fornitura di
acqua potabile è scarsa in quasi tutto il paese e pressoché assente nelle aree
rurali. Lo sfruttamento intensivo dei terreni agricoli ha determinato fenomeni
diffusi di erosione del suolo e desertificazione, ai quali è legato il grave
problema dell’insabbiamento di fiumi e dighe. La crescente richiesta di legname
è responsabile della deforestazione che sta distruggendo le già esigue foreste
tropicali nel nord del paese, minacciandone la biodiversità.
In Angola le foreste occupano il 47,4% del
territorio, soggetto a tutela ambientale solo per il 12,1% (2007) della
superficie. Esiste un sistema di aree protette formato da parchi nazionali e
riserve naturali; i maggiori sono i parchi nazionali Kisama, Cameia, Bicuri e
Iona. Rappresentano gravi minacce all’habitat delle foreste il bracconaggio e lo
sfruttamento agricolo indiscriminato.
Il paese ha ratificato la Convenzione sul Diritto
del mare e accordi internazionali sulla biodiversità e la desertificazione.
Angolese che accende il fuoco
Malgrado la presenza nel paese di oltre novanta etnie, la popolazione è
costituita in prevalenza da bantu, dediti all’agricoltura. I gruppi principali
sono i mbundu, stanziati nel centro e nel sud del paese, i bakongo, nell’area
nordoccidentale, i kimbundu, nella regione centrosettentrionale, e i
chokwe-lunda, a est. Prima della proclamazione dell’indipendenza, avvenuta nel
1975, nel paese era presente una comunità portoghese di circa 400.000 persone,
la maggior parte delle quali è rientrata in patria.
PROFILO ECONOMICO
PIL: 20,5 miliardi di dollari
PIL pro capite: 1.900 dollari
Tasso annuale di crescita: 7,1 %
Inflazione: 106 %
Settori/prodotti principali: petrolchimica, mineraria (diamanti, bauxite, fosfati, uranio e oro), prodotti alimentari e ittici, tacacco, zucchero, industria tessile
Partner economici: USA, UE,
Cina, Sud Corea, Sud Africa, Brasile
ECONOMIA
Il lungo periodo di colonizzazione portoghese si caratterizzò principalmente per
l’indiscriminato sfruttamento delle risorse agricole e minerarie del paese. Dopo
l’indipendenza, lo sviluppo economico, nei settori agricolo e industriale, è
stato compromesso sia dall’esodo di massa dei portoghesi – che fornivano la
quasi totalità della classe dirigente e dei tecnici – sia dagli effetti della
guerra di liberazione e della successiva lunghissima guerra civile. Nel 2006 il
PIL era di 45.163.241.000 dollari USA, pari a un PIL pro capite di 2.727,70
dollari.
Le
risorse forestali sono concentrate principalmente nell’exclave di Cabinda e
nell’area nordoccidentale del paese. La corrente fredda del Benguela rende le
coste del paese particolarmente ricche di fauna ittica, tanto che la pesca
(perlopiù di merluzzi e sardine) è sempre stata un’attività importante, anche se
non sviluppata su scala industriale. I principali porti pescherecci sono
Benguela, Luanda, Namibe e Porto Amboim.
La presenza di numerosi corsi d’acqua, quali il
Cuanza, il Cunene, il Dande e il Catumbela, consente una buona produzione di
energia idroelettrica (il 66,41% della produzione totale). Le più importanti
risorse minerarie dell’Angola sono il petrolio – che costituisce il 94,8% (1991)
delle esportazioni nazionali – oltre a diamanti, sale e gas naturale; fino al
1975 era inoltre rilevante l’estrazione del ferro.
La valuta del paese è il nuovo kwanza, che sostituì nel 1990 il kwanza;
l’istituto di emissione è la National Bank of Angola.
Secondo la Costituzione del 1975, più volte rivista, il presidente della
repubblica, eletto a suffragio universale ogni cinque anni, è anche capo del
governo. Il potere legislativo è affidato a un Parlamento unicamerale (Assembleia
Nacional) di 220 membri, eletti a suffragio
universale ogni quattro anni. Al vertice del sistema giudiziario, che unisce
elementi di diritto portoghese e consuetudinario, è una Corte suprema i cui
membri sono nominati dal capo dello stato. La pena di morte è stata abolita nel
1992.
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Il
territorio così colonizzato prese nome dal potente re N’gola al quale una
delegazione portoghese aveva reso visita nel 1574. La tratta degli schiavi,
praticata su larga scala con l’ausilio di alcuni capi locali, costituì per i
colonizzatori la fonte dei maggiori profitti al punto che, tra il 1640 e il
1648, i portoghesi dichiararono guerra agli olandesi per il controllo della
regione. Si calcola che, fino alla fine del XIX secolo, siano stati deportati
oltre tre milioni di persone, nonostante il commercio degli schiavi fosse stato
ufficialmente abolito nel 1830. A causa della forte resistenza opposta dalle
popolazioni locali, il completo controllo del paese, soprattutto delle regioni
interne, fu conseguito solo agli inizi del XX secolo, quando il governo
portoghese instaurò il cosiddetto regime do
indigenato, un sistema basato sullo sfruttamento
economico e sulla repressione politica rimasto in vigore fino al 1961.
Nel 1961 l’MPLA (Movimento popular para a libertacaõ da
Angola), guidato da Agostinho Neto, diede inizio alla lotta per l’indipendenza;
negli anni seguenti fecero la loro comparsa due altri movimenti
anticolonialisti: l’FNLA (Frente nacional de libertacaõ da Angola), guidato da
Holden Roberto, e l’UNITA (Uniaõ nacional para a indipendencia total da Angola),
guidato da Jonas Savimbi. I tre movimenti, divisi da rivalità etniche e
politiche, non giunsero uniti all’indipendenza (11 novembre del 1975) e due
differenti governi, insediatisi rispettivamente a Luanda (MPLA) e a Huambo
(UNITA), rivendicarono il controllo del paese, dando vita a un conflitto che
coinvolse le stesse superpotenze; l’Unione Sovietica sostenne l’MPLA, mentre
l’UNITA fu sostenuta soprattutto dagli Stati Uniti e dal Sudafrica.
All’inizio del 1976 lo scontro si risolse a favore dell’MPLA. Il governo guidato
dal suo leader Agostinho Neto, nominato presidente, ottenne gradualmente il
riconoscimento internazionale. A Neto, scomparso nel 1979, successe alla guida
del paese José Eduardo dos Santos. Nello stesso periodo, uscito di scena l’FLNA,
proseguirono le azioni di guerriglia guidate dall’UNITA. A queste, tra il 1981 e
il 1982, si aggiunsero incursioni militari sudafricane, ufficialmente condotte
per perseguire i ribelli namibiani, ma in realtà tese a destabilizzare il
governo di Dos Santos, a sostegno del quale intervennero militarmente 50.000
soldati cubani.
Nel 1988 vennero avviati negoziati tra Angola,
Sudafrica e Cuba per concertare un piano di pace che ponesse fine all’intervento
straniero. In base a tali accordi le ultime truppe cubane lasciarono il paese
nel maggio del 1991 e il governo centrale firmò un compromesso con l’UNITA per
il cessate il fuoco sotto la supervisione dell’ONU. Le nuove elezioni, indette
nel settembre del 1992, confermarono la maggioranza parlamentare all’MPLA (130
seggi contro 70), ma l’UNITA non riconobbe i risultati elettorali e riprese la
guerriglia, che si intensificò notevolmente nel corso del 1993 quando i
combattimenti tra le forze governative e i guerriglieri causarono l’esodo di un
milione di profughi.
Nel 1994
l’MPLA e l’UNITA raggiunsero un nuovo accordo a Lusaka. A fronte di ampie
concessioni all’UNITA (tra cui lo sfruttamento di miniere di diamanti
indispensabili per la sopravvivenza politica del movimento), questa si impegnava
a entrare con propri ministri in un governo di unità e riconciliazione
nazionale.
Il paese
non raggiunse tuttavia una stabilità, a causa della profonda crisi e del
malcontento sociale, dell’estesa corruzione e del non sopito antagonismo tra i
due movimenti. Nel giugno del 1997 nel paese giunsero i “caschi blu” della
Missione di osservazione delle Nazioni Unite in Angola (MONUA), con il compito
di favorire il processo di riconciliazione. Nel 1998 fu concordato un nuovo
accordo di pace, al fine di integrare membri della direzione politica dell’UNITA
in un governo di unità nazionale e le sue truppe nell’esercito nazionale
angolano. Tuttavia, solo una parte dell’UNITA fu effettivamente smobilitata e le
ripetute violazioni della tregua indussero l’MPLA a espellere dal governo
l’UNITA, che conservò sotto il suo controllo ampie porzioni di territorio e
soprattutto una regione ricca di diamanti a nord. Nell’estate del 1998 l’Angola
inviò proprie truppe nella Repubblica democratica del Congo, a sostegno del
governo di Laurent-Désiré Kabila.
Alla
fine del 1998 il conflitto civile si aggravò ulteriormente. Grazie ai proventi
del contrabbando dei diamanti e al tacito sostegno di alcuni paesi, non solo
africani, l’UNITA si preparò, dotandosi di armi e apparecchiature molto
sofisticate, a fronteggiare una massiccia offensiva annunciata dal presidente
José Eduardo dos Santos. Nel marzo 1999 il governo angolano invitò l’ONU a
richiamare la missione MONUA, ritenendola inadeguata a imporre un reale disarmo
all’UNITA. Nel 2000 quest’ultima venne colpita da un embargo dell’ONU.
Agli
inizi del 2002 il leader dell’UNITA Jonas Savimbi morì in uno scontro a fuoco
con le truppe governative. In seguito alla scomparsa dello storico avversario
del governo angolano – e di quella, avvenuta pochi giorni dopo, di Antonio Dembo,
altro importante esponente della guerriglia – ripresero le trattative tra
governo e ribelli. Il 4 aprile dello stesso anno governo e ribelli raggiunsero
un accordo che prevedeva l’amnistia per i guerriglieri dell’UNITA,
l’integrazione di una parte di essi nelle forze regolari angolane e la
costituzione di una commissione mista a salvaguardia della tregua.
Devastato dalla lunghissima guerra civile – che ha
causato circa un milione di morti e quattro milioni di profughi – il paese vive
oggi una situazione gravissima, nonostante le ingenti ricchezze di cui dispone.
Per lungo tempo, i proventi della vendita del petrolio e dei diamanti sono
andati ad alimentare quasi unicamente lo scontro armato e una ramificatissima
rete di clientelismo e di corruzione; la gran parte della popolazione angolana
vive invece nella miseria, ammassata ai margini delle grandi città per sfuggire
alla guerra e all’insidia delle mine antiuomo, di cui il territorio del paese è
letteralmente disseminato.
Nel 2004 sono stati espulsi dal paese circa 300.000 lavoratori stranieri impiegati in attività illegali di estrazione dei diamanti.