Jack Nicholson
Jack Nicholson nasce a Neptune il 22 aprile del 1937. Il divo ha due sorelle
maggiori: June e Lorraine. Mamma Ethel May, olandese di origine, è proprietaria
di un salone di bellezza, mentre papà John Joseph, di radici irish, svolge
impieghi saltuari. Quella di Jack sembra una famiglia apparentemente normale ma
non è così: passeranno quasi quarant'anni prima che il piccolo scopra il perché.
Durante l'infanzia, il padre alcolizzato abbandona la famiglia; Ethel May, donna
severa e rigidamente cattolica, è costretta a lavorare sodo per mantenere i
figli. Sarà June a prendersi cura del bimbo. Sin da ragazzino, Nicholson mostra
lampi della sua famosa spavalderia, nonché del rinomato savoir-faire: a scuola,
è il primo della classe se si tratta di difendere le fanciulle vittime del
bullismo. A casa, invece, gli basta un solo sorriso per estorcere alla madre
qualche dollaro per andare al cinema, e godersi gli adorati lungometraggi
western. Burlone e spassoso, il giovane è molto popolare al Manasquan High
School. È qui che inizia recitare e, grazie all'innato talento comico, viene
eletto il miglior attore del liceo. Dopo essersi diplomato, a soli 17 anni decide di lasciare la propria famiglia per
trasferirsi a Los Angeles, dove inizia la sua carriera nel mondo del cinema che
conta. Si fa assumere dalla MGM. Qui, oltre a Tom & Jerry, ha la possibilità di
vedere sfilare stelle quali Marilyn Bogart e Ginger Roses. Nel 1958 debutta nel
crime "Cry Baby Killer" e, nei dodici mesi successivi, si fa notare nel ruolo del
paziente sadico di un dentista, ne "La piccola bottega degli orrori" di Roger
Corman.
Jack Nicholson |
Il 17 giugno
1962, l'uomo sposa Sandra Knight, sua partner anche nella finzione nella
pellicola horror (diretta ancora una volta da Corman)"La vergine di cera": la coppia dà alla luce Jennifer. In quel
periodo, l'amata sorella June viene stroncata da un tumore, portandosi nella
tomba uno sconvolgente segreto di famiglia. Naufragato il matrimonio con la
Knight (a causa della dipendenza da LSD da parte di Nicholson), l'interprete si
cimenta nell'avvocato ubriacone nel road-cult generazionale "Easy Rider", il film-manifesto di quegli anni. In quegl'anni si
schiera politicamente contro la guerra del Vietnam e non manca mai l'occasione
di lanciare qualche frecciata al presidente degli USA Richard Nixon. Nicholson
infatti all'epoca era anche molto attivo sul fronte politico e questa
caratteristica resterà molto viva in lui anche negli anni successivi, tanto che nel
1992 presenzierà anche all'insediamento di Clinton nella casa bianca. Sul fronte
del cinema, dopo Easy Rider la sua carriera viene improvvisamente lanciata,
diventando anche uno degli attori più richiesti a Hollywood. Dal '70 Nicholson
mostra al cinema americano tutta la sua bravura, sfiorando l'oscar sia nel '72
con "L'ultima corvè" e sia nel '74 con un film di Roman Polansky: Chinatown. Tra
lui e l'oscar però si interporrà Art Carney che, con un film di livello
nettamente più basso rispetto a quello del nostro amato Nicholson ,
riuscirà a convincere i giudici. Dopo aver avuto un figlio - Caleb - dalla
collega Susan Anspach, il divo si lega alla cantante Michelle Phillps che, in
futuro, mollerà per la bruna Anjelica Huston. Subito dopo "Chinatown", accetta
il ruolo di protagonista nel film "Professione: repoter", diretto dall'italiano
Antonioni. In molti pensano che questo film non abbia avuto il successo che
avrebbe meritato: infatti, nonostante la magistrale interpretazione di Nicholson
e la grande esperienza del nostro Michelangelo Antonioni, la pellicola non
ricevette stranamente alcun premio. Sembrava un mattino qualsiasi
quando la tranquilla vita di Jack viene devastata da una sconcertante
rivelazione. L'artista 37enne riceve, infatti, una telefonata da un invadente
reporter del Time che, insistentemente, lo esorta a farsi raccontare dalla
sorella Lorraine la verità sulla sua famiglia; in realtà, Ethel May, quella che
credeva sua madre era invece la nonna, mentre June non era sua sorella ma,
bensì, sua mamma che lo aveva concepito, illegittimamente, all'età di sedici
anni con un immigrato italiano di nome Donald Furcillo. Agghiacciato da tale
scoperta, Nicholson proietta questo turbamento in una prova di eccezionale
intensità emotiva: quella dell'internato schizoide nello splendido dramma
psichiatrico diretto da Milos Forman, "Qualcuno volò sul nido del cuculo"
(tratto dall'omonimo romanzo di Ken Kesey), che gli
vale la tanta agognata statuetta. Nel 1980 la stella impugna l'ascia e si
stabilisce nell'hotel dei brividi gestito da Stanley Kubrick, terrorizzandoci con
la memorabile performance dello squilibrato Mr. Torrance nel film "Shining", tratto dal best seller di Stephen King.
Trentasei mesi più tardi, il fascinoso Jack si diletta, magnificamente, in un
ex-astronauta donnaiolo che seduce Shirley Mclaine nel commovente film diretto
da James L. Brooks, "Voglia di
tenerezza": ed eccolo accaparrarsi il secondo Academy Award. In seguito, ammalia
Le streghe di Eastwick con uno charme tutto satanico, sfodera a Batman un
sorriso da Joker e impartisce ordini sotto la divisa del colonnello Jessep, in
"Codice D'onore". Negli anni '80 lo si ricorda anche per il film "L'onore dei
Prizzi", che a tratti ricorda molto "Il padrino" con Al Pacino, di cui poi
tratterò dopo. Il 1998 lo vede trionfare alla cerimonia degli Oscar con la
terza statuetta che lo incorona Best Actor of The Year, grazie alla superba
interpretazione dello scrittore misogino, affetto da disturbi
ossessivo-maniacali, nel brillante "Qualcosa è Cambiato". Nel 1999, forse
stanco, decide di allontanarsi dal set per un po' di anni. Dal 2001,
intervallato da qualche breve pausa, il vecchio Jack sfiora prima l'oscar nel
2001 con "A proposito di Schmidt", tenera storia di un pensionato che, divenuto
vedovo, tenta di ritrovare sé stesso attraverso un lungo viaggio in camper;
successivamente interpreta due spassose commedie (Terapia d'urto e Tutto può
succedere) ed infine, nel 2006, sotto l'attenta regia di Martin Scorsese, regale
l'ennesima grande prova nell'acclamato Gangster-movie The departed. Nell'
anno che giungerà, con il coetaneo Morgan Freeman, Jack darà volto ad un malato
terminale nel commovente film "Non è mai troppo tardi" di Rob Reiner. Non ha mai
negato una certa predilezione per le droghe e, negli anni '80, si è dichiarato a
favore della campagna per la liberalizzazione della cocaina per uso personale.
Nelle sue imponenti proprietà, ospita una delle maggiori collezioni private
d'arte che vanno dalle opere di Picasso a quelle di Van Gogh. Con dodici
candidature agli Academy e sedici nomine ai Golden Globe, di cui sei conseguite,
Jack Nicholson è uno degli attori più insigniti nella storia della celluloide.
Folle, unico ed eccelso: il ghigno maledetto e lo sguardo mefistofelico, spesso
celato dai mitici occhiali neri lo hanno reso una leggenda. Nella
sua carriera cinquantennale è passato dai piccoli ruoli in pellicole
indipendenti a essere un interprete di serie A: uno dei migliori al mondo,
indubbiamente, il più amato di Hollywood. Lui non lo si può classificare in una
categoria specifica: ci sono gli attori, ci sono le stars e poi c'è Jack
Nicholson.
Al Pacino
Figlio di Salvatore Pacino e di Rose Geraldi, Al nasce nel quartiere di East
Harlem, a Manhattan, in una famiglia di origini siciliane: i suoi nonni paterni
erano originari di Corleone, mentre quelli paterni erano originari di San
Fratello. Il padre, agente assicurativo di successo, abbandona la famiglia quando
Al è ancora in fasce, lasciando lui, la madre ed i nonni nel South Bronx, in
condizioni di vita molto difficili. Il giovane Al presenta numerose lacune e
dopo esser stato bocciato più volte, decise di interrompere gli studi all'età di
17 anni, annoiato dalla scuola e desideroso di dedicarsi a tempo pieno alla sua
carriera di attore. Dopo essersi trasferito a Greenwich Village, quartiere
residenziale di New York, si iscrive a numerose scuole di recitazione,
attendendo per molti anni di essere accolto nella Actors Studio. In questo
periodo di snervante attesa, Al cade in depressione e, a complicare
ulteriormente le cose, si aggiunge poi un arresto nel 1961 per possesso di arma
da fuoco. Di certo la vita dell'esordiente Pacino non era proprio rose e fiori.
Ad aggiungere male in male, ogni sua audizione per dei ruoli maggiori si rivela
un cocente fiasco, fino a quando, nel '66, viene finalmente accolto nella Actors
Studio. Qui per Al la fortuna incomincia a girare nel verso giusto e finalmente,
sotto l'attenta guida di Lee Strasberg, debutta sul grande schermo con"Gli
Indiani vogliono il Bronx" nel quale interpreta un giovane teppista,
successivamente seguito da un prestigioso Tony Award come miglior attore non
protagonista per "Does the Tiger Wear a Necktie?". Il suo nome comincia ad
emergere e dagli spettacoli off-Broadway si sente il nome di Pacino perfino nel
tubo catodico (dove debutta, nel 1968, nel serial "N.Y.P.D"). Il periodo tra il
'69 e il '73, dove lo ricordiamo in film come "Me, Natalie", "Panico a Nidle
Park"e "Lo spaventapasseri" (con Gene Hackman), getta le basi per colui che poi
diventerà uno degli attori più ambiti di Hollywood. Ma la vera svolta avviene
nel 1972 quando il noto regista Francis Ford Coppola, tra Nicholson, Redford, De
Niro e Beatty, scegli proprio Al Pacino per interpretare Michael Corleone nei
film de"Il padrino". Pacino però era scettico: non si vedeva assolutamente nella
parte del giovane mafioso, ma accettò dietro le insistenze del regista, che si
oppose perfino ai produttori pur di averlo nel cast come protagonista.
Al Pacino |
Ed è
subito un grande successo. La sua magistrale interpretazione gli fa ottenere il
David di Donatello Speciale, nonché una nomination agli Oscar come miglior
attore non protagonista. Situazione che si ripeterà, nel 1974, con l'uscita de
"Il padrino- parte 2" che lo vede però nella rosa dei candidati all'Oscar, ma
nella categoria miglior attore protagonista, suo questa volta non il David, ma
il BAFTA come miglior attore. La sua galleria di personaggi si arricchirà con il
ritratto del poliziotto italo-americano e anticonformista di "Serpico"
ottenendo la sua terza candidatura all'Oscar come miglior attore e la vittoria
di un David come miglior interprete straniero. Si consola con il secondo BAFTA,
quando sfiora ancora una volta l'Oscar con "Quel pomeriggio di giorno da cani".
Successivamente è fortemente voluto da John Schlesinger per il film "Il
maratoneta", ma al suo posto viene scelto Dustin Hoffman, e così Pacino si butta
nel ruolo di pilota nevrotico di "Un attimo, una vita". Sul finire degli anni
'70 inizia il periodo dei suoi storici rifiuti per film che poi diventeranno dei
veri e propri cult: Roy Neary in "Incontri ravvicinati del terzo tipo", Han Solo
in "Guerre stellari", Ted Kramer in "Kramer contro Kramer", e il capitano
Willard in "Apocalyps now". Negli anni '80 invece ritorna in scena come un
poliziotto infiltrato in ambienti gay nel film "Cruising", passando poi dalla
spaventosa e bieca violenza di "Scarface", scritto da Oliver Stone ma
sceneggiato da Brian de Palma. Poi il crollo: una violenta tempesta
esistenziale, contrassegnata da un eccessivo uso di alcol e droghe e dalla
protezione maniacale della sua privacy, lo porta quasi sull'orlo della pazzia.
Non gli è più possibile lavorare: è infatti costretto a lasciare diversi ruoli
in film come "Nato il 4 luglio", "Pretty woman" e "Allarme rosso". Ma chi
pensava che la carriera di Al fosse ormai gravemente compromessa si sbagliava di
grosso. Sarà proprio negli anni '90 che Pacino darà il meglio di sé stesso:
infatti prima sfiora l'oscar con il gangster fumettistico "Dick tracy" di Warren
Beatty, poi riceve un'altra nomination per l'ambita statuetta dorata con
un'eccezionale interpretazione drammatica nel film"Carlito's way" , ma infine
avviene il miracolo! Partecipa al remake di "Profumo di donna" di Dino Risi,
reintitolato "Scent of a woman- profumo di donna" di Martin Brest, nel ruolo che
fu di Vittorio Gassman; parallelamente conclude anche un altro film, "Americani"
di James Foley, in un ruolo secondario a fianco di Jack Lemmon. Quell'anno l'Academy
lo consacra: prima lo fa entrare nella rosa delle nomination delle due categorie
principali per gli attori, quella per i protagonisti (Scent of a woman) e quella
per i non protagonisti (Americani). Tutto ciò segna la definitiva consacrazione
per Pacino, che finalmente gli consentirà di trovare pace anche nella vita
privata, sposandosi con la bella Beverly D' Angelo, dalla quale relazione
nasceranno poi due gemelli. Nel '95 lo si ricorda soprattutto per il memorabile
rifiuto a Bryan Singer, che lo voleva per la parte di Dave Kujan nel celeberrimo
" I soliti sospetti". Nell' ultimo decennio lo ricorderemo soprattutto per il
film "Ogni maledetta domenica", diretto da un ispirato Oliver Stone e
per "Sfida senza regole" con Robert ne Niro. Sanguinoso protagonista di nere favole metropolitane intrise di un
messaggio violento.
In Al Pacino si fronteggiano due estremi della recitazione:
da una parte la perseveranza e l'attendibilità del Metodo, dall'altra la
giocosità dell'attore. Quale dei due eliminare? Nessuno. Perché non hanno mai
convissuto assieme. La prima riguarda i decenni '70/'80 e la seconda quelli
'90/'00. Testimone essenziale della cinematografia statunitense, spesso
interprete di ruoli mafiosi ironici, raffinati, ma pur sempre massacranti, Al
Pacino è un attore strutturale, in debito con lo stile, ormai da antologia,
dell'Actor's Studio a cui deve la sua recitazione secca e nervosa che sarà una
caratteristica predominante di tutti i suoi personaggi. Ma la fama corrode:
«Quando finalmente arrivò il successo ne fui confuso. Non sapevo più chi ero e
perciò tentai con la psicanalisi, ma solo per qualche seduta. Il lavoro è sempre
stato la mia terapia», fu così che quasi rischiammo di perdere quell'aria un po'
cupa che gli attraversa lo sguardo, magari quando ha una pistola in mano e la
punta contro qualcuno, o quella sua energia a fior di pelle che fuoriesce nei
monologhi cinematografici più intensi. E che dire di quello sguardo
febbricitante che anche nell'interpretazione di un cieco, sembrerà un paradosso,
ma è in grado di bucare lo schermo? Anche lui, come i suoi personaggi, è stato
attratto dal pericolo e dalla solitudine, dalla sua individualità e
dall'autoemarginazione. Fortunatamente, quel sentore di sconfitta esistenziale è
rimasto un sentore. Al Pacino c'è sempre stato, in ogni maledetto ruolo.
Robert de Niro
Figlio di due pittori, Robert de Niro nasce a New York il 17 agosto 1943, in
una difficile situazione famigliare. Il padre infatti, dopo aver scoperto la
propria omosessualità, lascia la moglie e va a vivere con il figlio a Little
Italy, dove acquisisce le maggiori influenze culturali per le sue origini
italoamericane. L'infanzia dell'attore è stata caratterizzata da una profonda
solitudine, una caratteristica da cui probabilmente ha attinto la sua capacità
di trasformarsi, secondo l'esigenza del copione, in personaggi cupi e
tormentati. De Niro era un adolescente timido e fisicamente poco prestante,
tanto da essere soprannominato dai coetanei "Bobby Milk", per il suo fisico
scheletrico ed il suo pallore. Scopre per la prima il suo amore per la
recitazione alla tenera età di 10 anni, interpretando la parte del leone nel
film "Il mago di Oz" e a 16 anni recita per la prima volta nel film "Orso" di
Cecha. Come il suo grande rivale Al Pacino, De Niro si forma le ossa alla Actors
Studio, dove apprende la meticolosità nella preparazione dei ruoli. Inizia la
sua folgorante carriera nel mondo del cinema apparendo sul grande schermo con
due film di Brian De Palma: "Ciao America" e "Hi, mom, però comincia a diventare
famoso nel '72 con il film "Batte il tamburo lentamente" di John Hancoch,
che vedono sempre de Niro nel ruolo di protagonista. Proprio adesso, dopo aver
fatto conoscenza con il maestro dei b-movie Roger Corman, inizia la sua
folgorante carriera. Nel
'73 lavora con Martin Scorsese, anch' egli cresciuto a Little Italy, nel film "Mean
streets", dove fa conoscenza di Harvey Keitel, che poi diventerà il suo
migliore amico. Con una magistrale interpretazione nel film "Il padrino parte 2" riceve il suo primo oscar
interpretando la parte di Vito Corleone: De Niro ha solo 28 anni!
Successivamente recita in "Taxi driver" dove interpreta un veterano della guerra
del Vietnam incapace di reintegrarsi; riceve la sua seconda nomination all'
oscar e si conferma un attore di fama mondiale. Poi gira con il regista Bernardo Bartolucci "Novecento"e nello stesso anno sotto la direzione di Elia Kazan
recita ne "Gli ultimi fuochi". Successivamente Scorsese lo dirige in "New York,
New York", un musical accanto a Lisa Minnelli. Il film, seppur di ottimo
livello, registra inaspettatamente un clamoroso
fiasco al botteghino. Poi Michael Cimino lo dirige in un capolavoro della storia
del cinema: "Il cacciatore", vincitore di 5 premi oscar.
Robert De Niro |
De Niro che
porta nuovamente in scena gli incubi di chi ha combattuto nel Vietnam,
ammettendo che un ruolo del genere lo aveva esaurito psicologicamente ed
emotivamente. A prova di questo sappiamo che, durante la ripresa del salvataggio
con l'elicottero, si ferisce abbastanza seriamente, infatti le urla e il furore
contro gli stuntman che controllavano il velivolo sono autentici. Alla fine degli anni
'70 Martin Scorsese vuole abbandonare la regia, a causa dello scarso successo
raccolto dai suoi film, ma De Niro lo convince a
dirigerlo in "Toro scatenato", dove interpreta il pugile Jake La Motta. Per
entrare nella parte, De Niro ingrassò di 30 chili tanto da mettere a rischio la
propria salute. Il film ottenne 8 nomination all'oscar e De Niro si aggiudica la
seconda statuetta come miglior attore protagonista. La sua fama incrementò
ulteriormente con un altro grande classico della storia del cinema "Gli
intoccabili" dove De Niro, per interpretare il ruolo di Al Capone, si sottopone ad
un'altra dieta ingrassante per aumentare di 15 chili. Negli anni '80 è ormai
diventato una superstar, tanto che basta la sua sola presenza per far decollare
i suoi film; ne sono chiari esempi pellicole come "C'era una volta in America"
(da molti ritenuto il miglior film gangster della storia) diretto dal maestro
del cinema italiano Sergio Leone, "Mission" di Roland Joffé, vincitore di un
premio oscar ed infine "Quei bravi ragazzi" di Scorsese, anche questo vincitore
dell'ambita statuetta. Negli anni novanta lo si vede alle prese con ruoli di
spessore diverso, dove recita in pellicole minori, anche se non mancano
nomination all'oscar per film come "Risvegli" e "Cope fear" dove l'attore, che
interpreta il pazzo Max Cady, ottiene dal produttore 5000 dollari per rovinarsi
i denti e poi altri 20000 per risistemarli. Nella seconda metà degli anni'90
interpreta il suo ottavo film sotto la regia di Martin Scorsese:"Casinò". Poi "Ronin"
a Parigi accanto al celebre attore francese Jean Reno e "The score" accanto al
grande Marlon Brando. Alla carriera di de Niro non mancano di certo
alcune presenze in alcuni celebri film comici come "Terapia a pallottole" ed il
suo sequel "Un boss sotto stress", oppure negli spassosi film diretti da Jay Roach "Ti presento i miei" e "Mi presenti i tuoi" a fianco di Ben Stiller, un
vero e proprio specialista di questi film. Nel 2008 recita accanto al rivale di
sempre Al Pacino in"Sfida senza regole". In questo ultimo periodo lo ricorderemo
soprattutto per il rifiuto di due ruoli grandiosi: quello di Willy Wonka nel
film "La fabbrica di cioccolato" e il più importante Frank Costello in "The
departed". Malgrado la sua fama internazionale, de Niro e gelosissimo della sua
privacy e di conseguenza si conosce poco di lui al di fuori del set. É del tutto
assente dai vari eventi mondani tanto apprezzati dalla maggioranza degli altri
attori. Accanito sostenitore del Partito Democratico, ha da sempre espresso il
proprio disappunto per l'operato di alcuni governi repubblicani (vedi George W.
Bush), influenzando grandemente anche l'orientamento politico dei suoi fan più
accaniti. Recentemente ha anche presenziato all'insediamento di Obama,
esprimendo anche tutta la propria ammirazione nei confronti del neo presidente
nero. Principe nell'azzeramento della propria identità al fine di costruirne
altre, si è lasciato totalmente coinvolgere dai personaggi che ha incarnato:
siano essi giovani e terrificanti mafiosi all'apice del potere o camaleontici
pugili, o meglio ancora diavoli in carne e ossa, scatenando l'orrore dello
spettatore per le sue inguardabili cicatrici neogotiche che dipingevano una
Creatura senza padre. Poi sente il bisogno di narrare lui stesso una storia e si
mette dietro la macchina da presa per raccontare gli scordi di quella Little
Italy a cui è tanto affezionato, che gli ha fatto da casa e gli ha offerto
terreno per le sue radici, o gli intrighi del potere della gente comune che non
è più tanto comune. Misurato e discreto, è il simbolo di quell'interprete che è
specchio fedele dell'uomo che cambia di generazione in generazione. Ha indossato
magistralmente i panni più sporchi e violenti che il cinema anni '70/'80 potesse
offrirgli. Ritratti cinici, machi e psicopatici. È con quelli che ha inanellato
perfomances che sono state cesellate dentro veri e propri capisaldi della storia
del cinema.
Clint Eastwood
Clint Eastwood nasce a San Francisco nel 1930, figlio di un
operaio e di una casalinga. Dopo aver interrotto prematuramente gli studi, entra
a far parte come soldato nella United States Army, ma dopo uno spaventoso
incidente aereo dal quale resta vivo per miracolo, si convince che la vita
militare non fa per lui. Sulla soglia dei tren'anni, si avvicina al mondo
cinematografico, entrando a far parte della Universal Studios. Nei primi periodi
lo si trova solamente in film di basso livello, come "La vendetta del mostro",
ma i primi veri successi li ottiene sul piccolo schermo, interpretando la parte
del cowboy Rowdy Yates nel celebre telefilm "Rawhide". Nonostante tutto, Clint
non riesce a convincere la critica con le sue interpretazioni, da molti ritenute
"inespressive". Sarà un maestro del cinema italiano, il grande Sergio Leone, a
lanciarlo nel cinema che conta, con tre film che passeranno alla storia del
genere western (la cosiddetta "Trilogia del dollaro"): "Per un pugno di
dollari", "Per qualche dollaro in più" ed infine "Il buono, il brutto e il
cattivo", nei quali Eastwood indosserà sempre lo stesso poncho senza mai
lavarlo. Lo stesso regista Sergio Leone lo definisce "un attore con due facce:
una con il cappello e una senza"; è esattamente tutto ciò che il regista
italiano ha avuto bisogno in questi tre film: un interprete senza emozioni, né
nome. Negli anni '70, al ruolo di pistolero si affianca quello del "duro tutto
di un pezzo", con l'interpretazione nei 5 film dell' "Ispettore Calligham",
che è soltanto un'altra faccia di un personaggio in via di definizione: un
pistolero in ritardo di un secolo in un mondo in cui le regole sono cambiate
poco.
Inoltre, Clint ha anche provato a cimentarsi come regista, sollevando però
numerosi dissensi tra i critici, che lo ritenevano solo un attore di basso
livello, che ha però instaurato un contatto con il pubblico che non lo
abbandonerà mai. Negli anni a venire Eastwood si distinguerà enormemente in mano
a registi come John Sturges e soprattutto Michael Cimino che nel 1974 lo dirige
nel film "Una calibro 20 per lo specialista". Intraprenderà anche la carriera
politica diventando sindaco della città di Carmel-by-the-Sea, in California, ma
disgraziatamente, con l'arrivo degli anni Novanta, si fa sempre più vicina
l'eclissi della sua fama.
Clint Eastwood |
Per salvarsi, Eastwood prende la decisione di non
essere diretto più da alcun regista, fuorché se stesso. Sono gli anni dove
Eastwood riesce finalmente a sfondare nel mondo del cinema, convincendo anche i
critici che negli anni precedenti ne avevano quasi compromesso la carriera:
infatti prima dirige "Bird", con il quale si aggiudica il golden globe
come miglior regista e poi si afferma con il sorprendente film "Cacciatore
bianco, cuore nero", biografia del regista John Huston. La strada di Clint è
imprevedibile, eppure in ogni intervista ci si stupisce di un uomo che sembra
rigidamente costruito, con una mentalità antiquata che lascia poco spazio alla
fantasia. Il suo volto sembra rappresentare alla perfezione una personalità
immutabile e ci sorprende per le impressioni che suscita.primi a scoprire e ad
apprezzare la sua filmografia come regista sono gli europei che lo consacrano
ufficialmente come uno dei più formidabili registi americani. L'America ha così
un brusco sobbalzo e, dopo averlo criticato fino a disintegrarlo, passa a
tesserne le lodi. Palpitante e commovente nelle inquadrature, spicca sempre
qualcosa di spiritualmente denso nei suoi lungometraggi anche grazie alle
sceneggiature perfette e alla particolare importanza data alla musica che
accompagna le immagini riprese sempre nitidamente. I primi anni '90 ne sono un
esempio, caratterizzati da tre successi estremamente diversi tra loro.
Il primo di questi, "Gli spietati", è il suo capolavoro. Un western che gli fa
guadagnare l'Oscar come miglior regia e film e la nomination come miglior attore
protagonista. Il grande successo e le lodi della critica lo spingono a
conservare la sua scelta di essere un narratore. In rapida sequenza escono: "Un
mondo perfetto" un film poliziesco (con Kevin Costner), nato da un progetto di
Spielberg, e "I ponti di Madison Country", pellicola sentimentale molto lontana
dalle sue abituali interpretazioni che, nonostante venga messa in dubbio dalla
critica, viene notevolmente premiata dal pubblico. Nonostante molti lo
ritengano ormai sul punto di arrivo, si potrebbe invece dire che la sua carriera
da regista sia appena cominciata. Presidente della Giuria del Festival di Cannes
nel 1994, Premio alla Carriera riservatogli dall'Academy nel 1995, nonché César
alla Carriera nel 1998, Clint Eastwood si afferma come un Autore con la A
maiuscola. Padre di otto figli (molti dei quali attori), sposato per ben due
volte, fra l'altro con relazioni e convivenze alle spalle di molte compagne di
set, appassionato di golf e proprietario di un ranch, nonostante uno dei
riconoscimenti più ambiti (il Leone d'Oro alla Carriera al Festival di Venezia
nel 2000), continua a lavorare imperterrito nel cinema e sforna alcuni dei suoi
film più belli e autentici. Il primo è "Mistic River", un thriller ad alta
densità psicologica, che gli farà piovere una valanga di nomination agli oscar e
una lunga serie di rinomati premi internazionali (tra i quali un Golden Globe).
Successivamente, nel 2004, dirige uno dei suoi film più belli e premiati, "Million
dollar baby", storia di un anziano allenatore di boxe che porterà sul ring una
cameriera dotata di una grande forza vitale.
È il suo più
grande successo e gli vale ben 4 premi oscar, tra i quali miglior film e regia.
Nel 2005 tenta di ripetersi, lavorando ad un doppio progetto: due forti film di
guerra che raccontano lo stesso evento visto però da due opposti punti di vista.
Il primo è "Flags of our fathers", la storia di sei marines che, all'inizio del
'45, vengono fotografati mentre issano, sulla collina dell' isola di Iwo Jima,
la bandiera americana. Ad Iwo, territorio sacro per i giapponesi, fu una
battaglia cruentissima. In America è un grande successo, ma negli altri paesi
desta molte perplessità. Il secondo di questi film bellici è "Letters from Iwo
Jima", parlato interamente in giapponese con sottotitoli, è molto acclamato
dalla critica e riesce anche a ricevere un oscar. Dopo due anni di silenzio,
Clint ritorna dietro la macchina da presa e dirige "Changeling", una storia vera
che vede come protagonista un Angelina Jolie in una delle sue migliori
apparizioni. Eastwood calca la mano non solo sulla tragedia della protagonista,
ma soprattutto sulla corruzione della polizia di Los Angeles negli anni '20.
Potremo ancora una volta trovarci davanti ad il suo punto d'arrivo, ma ancora
una volta veniamo smentiti. L'anno successivo ci regala infatti lo strepitoso
"Gran Torino" che lo vede sia come regista sia come protagonista. In questo film
interpreta il ruolo di un anziano misantropo razzista reduce dalla guerra del
Vietnam, alle prese con una famiglia di vietnamiti (o "musi gialli", come li
chiama lui). Il suo ultimo film è "The human factor" film sull'impegno sociale e
le vicende agonistiche della star del rugby Francois Pienaar. Occhi
di ghiaccio e lineamenti che sembrano scolpiti nella pietra, considerato una
vera e propria leggenda vivente, Clint Eastwood è un uomo della polvere,
ovverosia uno di quegli individui che hanno incarnato il prototipo di quei
personaggi che si scontrano con l'aridità del mondo circostante, pur non
rinunciando alla propria sensibilità. Produttore, attore e regista, Clint
Eastwood dimostra l'innata capacità di catturare l'attimo fuggente, quasi senza
far capacitare lo spettatore del fatto che è pur sempre un'inquadratura quella
che si sta guardando. I film di Eastwood hanno l'abilità di essere così veri da
rendere il cinema un allungamento del nostro mondo, dei nostri occhi, dei nostri
pensieri. Non è nella pellicola che si registrano suoni ed immagini, ma è nel
nostro cuore
Dustin Hoffman
Dustin Hoffman |
Dustin Hoffman nasce a Los Angeles l'8 agosto 1937, da una
famiglia di origine ebraica, senza ricevere però un educazione religiosa. Il
padre lavora come tecnico sui set cinematografici della Columbia Pictures, dove
spesso il giovanissimo figlio Dustin lo accompagna, rimanendo affascinato da
quel mondo, tanto da abbandonare gli studi di medicina per poi trasferirsi a New
York. Iniziò a studiare piano e contemporaneamente si dedicò alla recitazione:
spesso egli si ritrovava, oltre che come studente, ad esibirsi alla alla
Pasadena Playhouse al fianco di un certo Gene Hakman... Sul finire degli anni
'50 abbandona definitivamente gli studi per trasferirsi a New York, nel
tentativo si sfondare come attore, ma tutti i suoi primi tentativi si rivelarono
un fallimento. Tuttavia, grazie alla sua determinazione, ebbe il coraggio di
mettersi in gioco, iscrivendosi alla celeberrima Actor's Studio di New York (che
come abbiamo già visto ha plasmato attori del calibro di Nicholson e Pacino). Il
cambiamento è evidente: a partire dal 1964 inizia a comparire nel cast di
produzione teatrali del calibro di "Aspettando Godot" e due anni più tardi
vincerà un premio come miglior attore per la sua interpretazione ne "Il viaggio
del quinto cavallo". Il 1967 è il suo anno magico: il giovane e promettente
regista Mike Nichols lo nota durante una sua apparizione in teatro e lo
seleziona come protagonista nel film "Il laureato". Sebbene Dustin avesse già
trent'anni all'epoca delle riprese, riuscì comunque a dare un immagine
credibile, partecipe e alienante allo stesso tempo, di uno studente
universitario introverso coinvolto in una intricata storia di amore. Il successo
che ottiene è incredibile: ricevette una nomination all'oscar e, dato più
importante, venne acclamato sia pubblico sia dalla critica come una vera e
propria star. Di bassa statura, sguardo timido, capelli scuri e naso importante,
caratteristiche per le quali Hollywood lo avrebbero relegato a ruoli di basso
profilo. Ma grazie alla sua sensibilità, il suo carisma e la sua aria dimessa
che ispira fiducia e simpatia, lo hanno portato a sfatare il radicato mito
dell'attore bello e prestante. Due anni successivi, nel 1969, sfiora ancora una
volta l'oscar con una magistrale interpretazione nel film "Un uomo da
marciapiede", dove interpreta uno zoppo malato di tisi. Per immedesimarsi in
questo ruolo, Hoffman per mesi studiò ed imitò gli zoppi che camminavano sui
marciapiedi di New York, mettendo a frutto le tecniche di immedesimazione
apprese anni prima alla Axtor's Studio. Nel 1970 lavora con Arthur Penn che lo
dirige nel film "Piccolo grande uomo", uno dei rari film western dalla parte
degli indiani d'America a livello sociale è un film importantissimo per storia
della cultura di una nazione che spesso dimentica le sue origini e che sempre
più spesso diventa lo specchio di una società che sente di avere
irrimediabilmente perso i ponti per comunicare con le proprie origini. Tra il
1973 e il 1976 regala quattro delle sue interpretazioni migliori: prima recita
con Streve McQueen nel film "Papillon" (tratto dal celebre best seller di un ex
detenuto, Henri Charrière), apprezzato dal pubblico ma bocciato dalla critica;
nel 1974 veste letteralmente i panni di un comico, portando sul grande schermo
la storia del comico Larry Bruce, che con il suo umorismo crudo e volgare
sconvolse l'America benpensante. Un altra interpretazione sopra le righe, che
gli vale l'ennesima nomination all'oscar. Nonostante non avesse ancora ricevuto
alcun premio di grande importanza, ormai il mito di Dustin Hoffman si era
creato; tutte interpretazioni memorabili, intense e convinte, la sua fama è
quella dell'attore perfetto per ogni ruolo, soprattutto per quelli più
sconvenienti; se all'inizio il suo aspetto minuto fu quasi una sorta di limite,
ora era diventato invece un elemento indispensabile per le interpretazioni dei
suoi ruoli, mai totalmente buoni ma nemmeno totalmente cattivi: con le sue
grandi prove sul grande schermo, Hoffman era riuscito a creare un nuovo stile di
recitazione. Nel 1976 Dustin Hoffman compare in due film memorabili: il primo di
questi è "Il maratoneta" di Franklin Schaffner, dove interpreta il ruolo di Babe
Levy, ambizioso corridore con un fratello coinvolto nella malavita newyorkese;
nel secondo invece lo si trova al fianco di Robert Redford nell'eccezionale
"Tutti gli uomini del presidente", uno dei capisaldi del cinema d'inchiesta e
sicuramente il più energico , eccitante e brillante film mai realizzato sul
giornalismo. Basata su un capitolo di storia americana, la storia narra di come
due giornalisti del Washington Post abbiano scoperto il filo conduttore tra la
Casa Bianca e il caso Watergate, provocando poi le dimissioni del presidente
Nixon. Dopo altre due discrete pellicole (il noir "Vigilato speciale" e "Il
segreto di Agatha Christie"), vince finalmente l'oscar, che già avrebbe meritato
più volte, con il film diretto da Robert Benton "Kramer contro Kramer",
Il ruolo di protagonista inizialmente doveva appartenere ad Al Pacino, ma il
rifiuto di quest'ultimo obbligò il regista a ripiegare su Dustin Hoffman. Un
interpretazione commovente che racconta la storia di un padre disoccupato che si
trova solo con un figlio dopo esser stato lasciato dalla moglie. Un film di
grande successo che si aggiudicò anche gli Oscar come miglior film, migliore
regia, sceneggiatura e migliore attrice, senza dubbio il miglior modo per esser
definitivamente proiettato nel cinema che conta. Nel 1982 viene nuovamente
candidato all’oscar per il film “Tootsie”, dove interpreta un attore
perennemente disoccupato che si veste da donna e diventa una star nelle soap
opera. Sei anni dopo interpreta il ruolo di Raymond, il fratello autistico di
Tom Cruise in “Rain Man – L’uomo della pioggia” dove Hoffman, con una forte e
allo stesso tempo toccante interpretazione, si aggiudica secondo oscar della sua
carriera. Dopo un'altra grande prova nel film di Stephen Fears “Eroe per caso”,
Dustin si trova poi coinvolto in mega-produzioni, quali “Sleepers”, “Mad City” e
“Sfera”, fino a giungere all’eccellente “Sesso e potere”, che racconta una scena
di guerra tra Stati Uniti e Albania, per distogliere l’opinione pubblica
statunitense dallo scandalo sessuale che vede coinvolto l’allora presidente
degli USA Bill Clinton. Oltre al Leone d’oro alla carriera ricevuto a Venezia,
l’utimo decennio si è rivelato avaro di successi per Hoffman, dove compare in
una serie di pellicole in cui la sua sola presenza riesce a salvare film
mediocri come “La giuria”, “Confidence” o "Profumo - Storia di un assassino",
non certo all’altezza della sua eccezionale carriera. Con il film"Vero come la
finzione", diretto da Marc Foster, ritorna finalmente ai suoi grandi livelli di
un tempo, ritagliandosi una parte in una commedia arguta e intelligente. Amato
dal pubblico ed acclamato dalla critica, cosa che raramente accade nel mondo del
cinema, Hoffman è riuscito a conquistare un intera generazione, interpretando
con estrema maestria personaggi contrastati e talvolta perdenti e mettendo
spesso a frutto il suo istrionismo in ruoli ora comici ora trasgressivi.
Riconosciuto tutt’oggi come uno dei più grandi attori del secolo passato,
Hoffman ebbe il merito di infrangere gli stereotipi accettando ruoli da antieroe
o da eroe negativo, tutte figure raramente destinate al lieto fine.