Jack Nicholson

Jack Nicholson nasce a Neptune il 22 aprile del 1937. Il divo ha due sorelle maggiori: June e Lorraine. Mamma Ethel May, olandese di origine, è proprietaria di un salone di bellezza, mentre papà John Joseph, di radici irish, svolge impieghi saltuari. Quella di Jack sembra una famiglia apparentemente normale ma non è così: passeranno quasi quarant'anni prima che il piccolo scopra il perché. Durante l'infanzia, il padre alcolizzato abbandona la famiglia; Ethel May, donna severa e rigidamente cattolica, è costretta a lavorare sodo per mantenere i figli. Sarà June a prendersi cura del bimbo. Sin da ragazzino, Nicholson mostra lampi della sua famosa spavalderia, nonché del rinomato savoir-faire: a scuola, è il primo della classe se si tratta di difendere le fanciulle vittime del bullismo. A casa, invece, gli basta un solo sorriso per estorcere alla madre qualche dollaro per andare al cinema, e godersi gli adorati lungometraggi western. Burlone e spassoso, il giovane è molto popolare al Manasquan High School. È qui che inizia recitare e, grazie all'innato talento comico, viene eletto il miglior attore del liceo. Dopo essersi diplomato, a soli 17 anni decide di lasciare la propria famiglia per trasferirsi a Los Angeles, dove inizia la sua carriera nel mondo del cinema che conta. Si fa assumere dalla MGM. Qui, oltre a Tom & Jerry, ha la possibilità di vedere sfilare stelle quali Marilyn Bogart e Ginger Roses. Nel 1958 debutta nel crime "Cry Baby Killer" e, nei dodici mesi successivi, si fa notare nel ruolo del paziente sadico di un dentista, ne "La piccola bottega degli orrori" di Roger Corman.


Jack Nicholson
Il 17 giugno 1962, l'uomo sposa Sandra Knight, sua partner anche nella finzione nella pellicola horror (diretta ancora una volta da Corman)"La vergine di cera": la coppia dà alla luce Jennifer. In quel periodo, l'amata sorella June viene stroncata da un tumore, portandosi nella tomba uno sconvolgente segreto di famiglia. Naufragato il matrimonio con la Knight (a causa della dipendenza da LSD da parte di Nicholson), l'interprete si cimenta nell'avvocato ubriacone nel road-cult generazionale "Easy Rider", il film-manifesto di quegli anni. In quegl'anni si schiera politicamente contro la guerra del Vietnam e non manca mai l'occasione di lanciare qualche frecciata al presidente degli USA Richard Nixon. Nicholson infatti all'epoca era anche molto attivo sul fronte politico e questa caratteristica resterà molto viva in lui  anche negli anni successivi, tanto che nel 1992 presenzierà anche all'insediamento di Clinton nella casa bianca. Sul fronte del cinema, dopo Easy Rider la sua carriera viene improvvisamente lanciata, diventando anche uno degli attori più richiesti a Hollywood. Dal '70 Nicholson mostra al cinema americano tutta la sua bravura, sfiorando l'oscar sia nel '72 con "L'ultima corvè" e sia nel '74 con un film di Roman Polansky: Chinatown. Tra lui e l'oscar però si interporrà Art Carney che, con un film di  livello nettamente più basso rispetto a quello del nostro amato Nicholson , riuscirà a convincere i giudici. Dopo aver avuto un figlio - Caleb - dalla collega Susan Anspach, il divo si lega alla cantante Michelle Phillps che, in futuro, mollerà per la bruna Anjelica Huston. Subito dopo "Chinatown", accetta il ruolo di protagonista nel film "Professione: repoter", diretto dall'italiano Antonioni. In molti pensano che questo film non abbia avuto il successo che avrebbe meritato: infatti, nonostante la magistrale interpretazione di Nicholson e la grande esperienza del nostro Michelangelo Antonioni,  la pellicola non ricevette stranamente alcun premio. Sembrava un mattino qualsiasi quando la tranquilla vita di Jack viene devastata da una sconcertante rivelazione. L'artista 37enne riceve, infatti, una telefonata da un invadente reporter del Time che, insistentemente, lo esorta a farsi raccontare dalla sorella Lorraine la verità sulla sua famiglia; in realtà, Ethel May, quella che credeva sua madre era invece la nonna, mentre June non era sua sorella ma, bensì, sua mamma che lo aveva concepito, illegittimamente, all'età di sedici anni con un immigrato italiano di nome Donald Furcillo. Agghiacciato da tale scoperta, Nicholson proietta questo turbamento in una prova di eccezionale intensità emotiva: quella dell'internato schizoide nello splendido dramma psichiatrico diretto da Milos Forman, "Qualcuno volò sul nido del cuculo" (tratto dall'omonimo romanzo di Ken Kesey), che gli vale la tanta agognata statuetta. Nel 1980 la stella impugna l'ascia e si stabilisce nell'hotel dei brividi gestito da Stanley Kubrick, terrorizzandoci con la memorabile performance dello squilibrato Mr. Torrance nel film "Shining", tratto dal best seller di Stephen King. Trentasei mesi più tardi, il fascinoso Jack si diletta, magnificamente, in un ex-astronauta donnaiolo che seduce Shirley Mclaine nel commovente film diretto da James L. Brooks, "Voglia di tenerezza": ed eccolo accaparrarsi il secondo Academy Award. In seguito, ammalia Le streghe di Eastwick con uno charme tutto satanico, sfodera a Batman un sorriso da Joker e impartisce ordini sotto la divisa del colonnello Jessep, in "Codice D'onore". Negli anni '80 lo si ricorda anche per il film "L'onore dei Prizzi", che a tratti ricorda molto "Il padrino" con Al Pacino, di cui poi tratterò dopo. Il 1998 lo vede trionfare alla cerimonia degli Oscar con la terza statuetta che lo incorona Best Actor of The Year, grazie alla superba interpretazione dello scrittore misogino, affetto da disturbi ossessivo-maniacali, nel brillante "Qualcosa è Cambiato". Nel 1999, forse stanco, decide di allontanarsi dal set per un po' di anni. Dal 2001, intervallato da qualche breve pausa, il vecchio Jack sfiora prima l'oscar nel 2001 con "A proposito di Schmidt", tenera storia di un pensionato che, divenuto vedovo, tenta di ritrovare sé stesso attraverso un lungo viaggio in camper; successivamente interpreta due spassose commedie (Terapia d'urto e Tutto può succedere) ed infine, nel 2006, sotto l'attenta regia di Martin Scorsese, regale l'ennesima grande prova nell'acclamato Gangster-movie The departed. Nell' anno che giungerà, con il coetaneo Morgan Freeman, Jack darà volto ad un malato terminale nel commovente film "Non è mai troppo tardi" di Rob Reiner. Non ha mai negato una certa predilezione per le droghe e, negli anni '80, si è dichiarato a favore della campagna per la liberalizzazione della cocaina per uso personale. Nelle sue imponenti proprietà, ospita una delle maggiori collezioni private d'arte che vanno dalle opere di Picasso a quelle di Van Gogh. Con dodici candidature agli Academy e sedici nomine ai Golden Globe, di cui sei conseguite, Jack Nicholson è uno degli attori più insigniti nella storia della celluloide. Folle, unico ed eccelso: il ghigno maledetto e lo sguardo mefistofelico, spesso celato dai mitici occhiali neri   lo hanno reso una leggenda. Nella sua carriera cinquantennale è passato dai piccoli ruoli in pellicole indipendenti a essere un interprete di serie A: uno dei migliori al mondo, indubbiamente, il più amato di Hollywood. Lui non lo si può classificare in una categoria specifica: ci sono gli attori, ci sono le stars e poi c'è Jack Nicholson.

Al Pacino

Figlio di Salvatore Pacino e di Rose Geraldi, Al nasce nel quartiere di East Harlem, a Manhattan, in una famiglia di origini siciliane: i suoi nonni paterni erano originari di Corleone, mentre quelli paterni erano originari di San Fratello. Il padre, agente assicurativo di successo, abbandona la famiglia quando Al è ancora in fasce, lasciando lui, la madre ed i nonni nel South Bronx, in condizioni di vita molto difficili. Il giovane Al presenta numerose lacune e dopo esser stato bocciato più volte, decise di interrompere gli studi all'età di 17 anni, annoiato dalla scuola e desideroso di dedicarsi a tempo pieno alla sua carriera di attore. Dopo essersi trasferito a Greenwich Village, quartiere residenziale di New York, si iscrive a numerose scuole di recitazione, attendendo per molti anni di essere accolto nella Actors Studio. In questo periodo di snervante attesa, Al cade in depressione e, a complicare ulteriormente le cose, si aggiunge poi un arresto nel 1961 per possesso di arma da fuoco. Di certo la vita dell'esordiente Pacino non era proprio rose e fiori. Ad aggiungere male in male, ogni sua audizione per dei ruoli maggiori si rivela un cocente fiasco, fino a quando, nel '66, viene finalmente accolto nella Actors Studio. Qui per Al la fortuna incomincia a girare nel verso giusto e finalmente, sotto l'attenta guida di Lee Strasberg, debutta sul grande schermo con"Gli Indiani vogliono il Bronx" nel quale interpreta un giovane teppista, successivamente seguito da un prestigioso Tony Award come miglior attore non protagonista per "Does the Tiger Wear a Necktie?". Il suo nome comincia ad emergere e dagli spettacoli off-Broadway si sente il nome di Pacino perfino nel tubo catodico (dove debutta, nel 1968, nel serial "N.Y.P.D"). Il periodo tra il '69 e il '73, dove lo ricordiamo in film come "Me, Natalie", "Panico a Nidle Park"e "Lo spaventapasseri" (con Gene Hackman), getta le basi per colui che poi diventerà uno degli attori più ambiti di Hollywood. Ma la vera svolta avviene nel 1972 quando il noto regista Francis Ford Coppola, tra Nicholson, Redford, De Niro e Beatty, scegli proprio Al Pacino per interpretare Michael Corleone nei film de"Il padrino". Pacino però era scettico: non si vedeva assolutamente nella parte del giovane mafioso, ma accettò dietro le insistenze del regista, che si oppose perfino ai produttori pur di averlo nel cast come protagonista.


Al Pacino
Ed è subito un grande successo. La sua magistrale interpretazione gli fa ottenere il David di Donatello Speciale, nonché una nomination agli Oscar come miglior attore non protagonista. Situazione che si ripeterà, nel 1974, con l'uscita de "Il padrino- parte 2" che lo vede però nella rosa dei candidati all'Oscar, ma nella categoria miglior attore protagonista, suo questa volta non il David, ma il BAFTA come miglior attore. La sua galleria di personaggi si arricchirà con il ritratto del poliziotto italo-americano e anticonformista di "Serpico" ottenendo la sua terza candidatura all'Oscar come miglior attore e la vittoria di un David come miglior interprete straniero. Si consola con il secondo BAFTA, quando sfiora ancora una volta l'Oscar con "Quel pomeriggio di giorno da cani". Successivamente è fortemente voluto da John Schlesinger per il film "Il maratoneta", ma al suo posto viene scelto Dustin Hoffman, e così Pacino si butta nel ruolo di pilota nevrotico di "Un attimo, una vita". Sul finire degli anni '70 inizia il periodo dei suoi storici rifiuti per film che poi diventeranno dei veri e propri cult: Roy Neary in "Incontri ravvicinati del terzo tipo", Han Solo in "Guerre stellari", Ted Kramer in "Kramer contro Kramer", e il capitano Willard in "Apocalyps now". Negli anni '80 invece ritorna in scena come un poliziotto infiltrato in ambienti gay nel film "Cruising", passando poi dalla spaventosa e bieca violenza di "Scarface", scritto da Oliver Stone ma sceneggiato da Brian de Palma. Poi il crollo: una violenta tempesta esistenziale, contrassegnata da un eccessivo uso di alcol e droghe e dalla protezione maniacale della sua privacy, lo porta quasi sull'orlo della pazzia. Non gli è più possibile lavorare: è infatti costretto a lasciare diversi ruoli in film come "Nato il 4 luglio", "Pretty woman" e "Allarme rosso". Ma chi pensava che la carriera di Al fosse ormai gravemente compromessa si sbagliava di grosso. Sarà proprio negli anni '90 che Pacino darà il meglio di sé stesso: infatti prima sfiora l'oscar con il gangster fumettistico "Dick tracy" di Warren Beatty, poi riceve un'altra nomination per l'ambita statuetta dorata con un'eccezionale interpretazione drammatica nel film"Carlito's way" , ma infine avviene il miracolo! Partecipa al remake di "Profumo di donna" di Dino Risi, reintitolato "Scent of a woman- profumo di donna" di Martin Brest, nel ruolo che fu di Vittorio Gassman; parallelamente conclude anche un altro film, "Americani" di James Foley, in un ruolo secondario a fianco di Jack Lemmon. Quell'anno l'Academy lo consacra: prima lo fa entrare nella rosa delle nomination delle due categorie principali per gli attori, quella per i protagonisti (Scent of a woman) e quella per i non protagonisti (Americani). Tutto ciò segna la definitiva consacrazione per Pacino, che finalmente gli consentirà di trovare pace anche nella vita privata, sposandosi con la bella Beverly D' Angelo, dalla quale relazione nasceranno poi due gemelli. Nel '95 lo si ricorda soprattutto per il memorabile rifiuto a Bryan Singer, che lo voleva per la parte di Dave Kujan nel celeberrimo " I soliti sospetti". Nell' ultimo decennio lo ricorderemo soprattutto per il film "Ogni maledetta domenica", diretto da un ispirato Oliver Stone e per "Sfida senza regole" con Robert ne Niro. Sanguinoso protagonista di nere favole metropolitane intrise di un messaggio violento.
In Al Pacino si fronteggiano due estremi della recitazione: da una parte la perseveranza e l'attendibilità del Metodo, dall'altra la giocosità dell'attore. Quale dei due eliminare? Nessuno. Perché non hanno mai convissuto assieme. La prima riguarda i decenni '70/'80 e la seconda quelli '90/'00. Testimone essenziale della cinematografia statunitense, spesso interprete di ruoli mafiosi ironici, raffinati, ma pur sempre massacranti, Al Pacino è un attore strutturale, in debito con lo stile, ormai da antologia, dell'Actor's Studio a cui deve la sua recitazione secca e nervosa che sarà una caratteristica predominante di tutti i suoi personaggi. Ma la fama corrode: «Quando finalmente arrivò il successo ne fui confuso. Non sapevo più chi ero e perciò tentai con la psicanalisi, ma solo per qualche seduta. Il lavoro è sempre stato la mia terapia», fu così che quasi rischiammo di perdere quell'aria un po' cupa che gli attraversa lo sguardo, magari quando ha una pistola in mano e la punta contro qualcuno, o quella sua energia a fior di pelle che fuoriesce nei monologhi cinematografici più intensi. E che dire di quello sguardo febbricitante che anche nell'interpretazione di un cieco, sembrerà un paradosso, ma è in grado di bucare lo schermo? Anche lui, come i suoi personaggi, è stato attratto dal pericolo e dalla solitudine, dalla sua individualità e dall'autoemarginazione. Fortunatamente, quel sentore di sconfitta esistenziale è rimasto un sentore. Al Pacino c'è sempre stato, in ogni maledetto ruolo.

Robert de Niro

Figlio di due pittori, Robert de Niro nasce a New York il 17 agosto 1943, in una difficile situazione famigliare. Il padre infatti, dopo aver scoperto la propria omosessualità, lascia la moglie e va a vivere con il figlio a Little Italy, dove acquisisce le maggiori influenze culturali per le sue origini italoamericane. L'infanzia dell'attore è stata caratterizzata da una profonda solitudine, una caratteristica da cui probabilmente ha attinto la sua capacità di trasformarsi, secondo l'esigenza del copione, in personaggi cupi e tormentati. De Niro era un adolescente timido e fisicamente poco prestante, tanto da essere soprannominato dai coetanei "Bobby Milk", per il suo fisico scheletrico ed il suo pallore. Scopre per la prima il suo amore per la recitazione alla tenera età di 10 anni, interpretando la parte del leone nel film "Il mago di Oz" e a 16 anni recita per la prima volta nel film "Orso" di Cecha. Come il suo grande rivale Al Pacino, De Niro si forma le ossa alla Actors Studio, dove apprende la meticolosità nella preparazione dei ruoli. Inizia la sua folgorante carriera nel mondo del cinema apparendo sul grande schermo con due film di Brian De Palma: "Ciao America" e "Hi, mom, però comincia a diventare famoso nel '72 con il film "Batte il tamburo lentamente" di John Hancoch, che vedono sempre de Niro nel ruolo di protagonista. Proprio adesso, dopo aver fatto conoscenza con il maestro dei b-movie Roger Corman, inizia la sua folgorante carriera. Nel '73 lavora con Martin Scorsese, anch' egli cresciuto a Little Italy, nel film "Mean streets", dove fa conoscenza di Harvey Keitel, che poi diventerà il suo migliore amico. Con una magistrale interpretazione nel film "Il padrino parte 2" riceve il suo primo oscar interpretando la parte di Vito Corleone: De Niro ha solo 28 anni! Successivamente recita in "Taxi driver" dove interpreta un veterano della guerra del Vietnam incapace di reintegrarsi; riceve la sua seconda nomination all' oscar e si conferma un attore di fama mondiale. Poi gira con il regista Bernardo Bartolucci "Novecento"e nello stesso anno sotto la direzione di Elia Kazan recita ne "Gli ultimi fuochi". Successivamente Scorsese lo dirige in "New York, New York", un musical accanto a Lisa Minnelli. Il film, seppur di ottimo livello, registra inaspettatamente un clamoroso fiasco al botteghino. Poi Michael Cimino lo dirige in un capolavoro della storia del cinema: "Il cacciatore", vincitore di 5 premi oscar.


Robert De Niro
De Niro che porta nuovamente in scena gli incubi di chi ha combattuto nel Vietnam, ammettendo che un ruolo del genere lo aveva esaurito psicologicamente ed emotivamente. A prova di questo sappiamo che, durante la ripresa del salvataggio con l'elicottero, si ferisce abbastanza seriamente, infatti le urla e il furore contro gli stuntman che controllavano il velivolo sono autentici. Alla fine degli anni '70 Martin Scorsese vuole abbandonare la regia, a causa dello scarso successo raccolto dai suoi film, ma De Niro lo convince a dirigerlo in "Toro scatenato", dove interpreta il pugile Jake La Motta. Per entrare nella parte, De Niro ingrassò di 30 chili tanto da mettere a rischio la propria salute. Il film ottenne 8 nomination all'oscar e De Niro si aggiudica la seconda statuetta come miglior attore protagonista. La sua fama incrementò ulteriormente con un altro grande classico della storia del cinema "Gli intoccabili" dove De Niro, per interpretare il ruolo di Al Capone, si sottopone ad un'altra dieta ingrassante per aumentare di 15 chili. Negli anni '80 è ormai diventato una superstar, tanto che basta la sua sola presenza per far decollare i suoi film; ne sono chiari esempi pellicole come "C'era una volta in America" (da molti ritenuto il miglior film gangster della storia) diretto dal maestro del cinema italiano Sergio Leone, "Mission" di Roland Joffé, vincitore di un premio oscar ed infine "Quei bravi ragazzi" di Scorsese, anche questo vincitore dell'ambita statuetta. Negli anni novanta lo si vede alle prese con ruoli di spessore diverso, dove recita in pellicole minori, anche se non mancano nomination all'oscar per film come "Risvegli" e "Cope fear" dove l'attore, che interpreta il pazzo Max Cady, ottiene dal produttore 5000 dollari per rovinarsi i denti e poi altri 20000 per risistemarli. Nella seconda metà degli anni'90 interpreta il suo ottavo film sotto la regia di Martin Scorsese:"Casinò". Poi "Ronin" a Parigi accanto al celebre attore francese Jean Reno e "The score" accanto al grande Marlon Brando. Alla carriera di de Niro non mancano di certo alcune presenze in alcuni celebri film comici come "Terapia a pallottole" ed il suo sequel "Un boss sotto stress", oppure negli spassosi film diretti da Jay Roach "Ti presento i miei" e "Mi presenti i tuoi" a fianco di Ben Stiller, un vero e proprio specialista di questi film. Nel 2008 recita accanto al rivale di sempre Al Pacino in"Sfida senza regole". In questo ultimo periodo lo ricorderemo soprattutto per il rifiuto di due ruoli grandiosi: quello di Willy Wonka nel film "La fabbrica di cioccolato" e il più importante Frank Costello in "The departed". Malgrado la sua fama internazionale, de Niro e gelosissimo della sua privacy e di conseguenza si conosce poco di lui al di fuori del set. É del tutto assente dai vari eventi mondani tanto apprezzati dalla maggioranza degli altri attori. Accanito sostenitore del Partito Democratico, ha da sempre espresso il proprio disappunto per l'operato di alcuni governi repubblicani (vedi George W. Bush), influenzando grandemente anche l'orientamento politico dei suoi fan più accaniti. Recentemente ha anche presenziato all'insediamento di Obama, esprimendo anche tutta la propria ammirazione nei confronti del neo presidente nero. Principe nell'azzeramento della propria identità al fine di costruirne altre, si è lasciato totalmente coinvolgere dai personaggi che ha incarnato: siano essi giovani e terrificanti mafiosi all'apice del potere o camaleontici pugili, o meglio ancora diavoli in carne e ossa, scatenando l'orrore dello spettatore per le sue inguardabili cicatrici neogotiche che dipingevano una Creatura senza padre. Poi sente il bisogno di narrare lui stesso una storia e si mette dietro la macchina da presa per raccontare gli scordi di quella Little Italy a cui è tanto affezionato, che gli ha fatto da casa e gli ha offerto terreno per le sue radici, o gli intrighi del potere della gente comune che non è più tanto comune. Misurato e discreto, è il simbolo di quell'interprete che è specchio fedele dell'uomo che cambia di generazione in generazione. Ha indossato magistralmente i panni più sporchi e violenti che il cinema anni '70/'80 potesse offrirgli. Ritratti cinici, machi e psicopatici. È con quelli che ha inanellato perfomances che sono state cesellate dentro veri e propri capisaldi della storia del cinema.

Clint Eastwood

Clint Eastwood nasce a San Francisco nel 1930, figlio di un operaio e di una casalinga. Dopo aver interrotto prematuramente gli studi, entra a far parte come soldato nella United States Army, ma dopo uno spaventoso incidente aereo dal quale resta vivo per miracolo, si convince che la vita militare non fa per lui. Sulla soglia dei tren'anni, si avvicina al mondo cinematografico, entrando a far parte della Universal Studios. Nei primi periodi lo si trova solamente in film di basso livello, come "La vendetta del mostro", ma i primi veri successi li ottiene sul piccolo schermo, interpretando la parte del cowboy Rowdy Yates nel celebre telefilm "Rawhide". Nonostante tutto, Clint non riesce a convincere la critica con le sue interpretazioni, da molti ritenute "inespressive". Sarà un maestro del cinema italiano, il grande Sergio Leone, a lanciarlo nel cinema che conta, con tre film che passeranno alla storia del genere western (la cosiddetta "Trilogia del dollaro"): "Per un pugno di dollari", "Per qualche dollaro in più" ed infine "Il buono, il brutto e il cattivo", nei quali Eastwood indosserà sempre lo stesso poncho senza mai lavarlo. Lo stesso regista Sergio Leone lo definisce "un attore con due facce: una con il cappello e una senza"; è esattamente tutto ciò che il regista italiano ha avuto bisogno in questi tre film: un interprete senza emozioni, né nome. Negli anni '70, al ruolo di pistolero si affianca quello del "duro tutto di un pezzo", con l'interpretazione nei 5 film dell' "Ispettore Calligham", che è soltanto un'altra faccia di un personaggio in via di definizione: un pistolero in ritardo di un secolo in un mondo in cui le regole sono cambiate poco. Inoltre, Clint ha anche provato a cimentarsi come regista, sollevando però numerosi dissensi tra i critici, che lo ritenevano solo un attore di basso livello, che ha però instaurato un contatto con il pubblico che non lo abbandonerà mai. Negli anni a venire Eastwood si distinguerà enormemente in mano a registi come John Sturges e soprattutto Michael Cimino che nel 1974 lo dirige nel film "Una calibro 20 per lo specialista". Intraprenderà anche la carriera politica diventando sindaco della città di Carmel-by-the-Sea, in California, ma disgraziatamente, con l'arrivo degli anni Novanta, si fa sempre più vicina l'eclissi della sua fama.


Clint Eastwood
Per salvarsi, Eastwood prende la decisione di non essere diretto più da alcun regista, fuorché se stesso. Sono gli anni dove Eastwood riesce finalmente a sfondare nel mondo del cinema, convincendo anche i critici che negli anni precedenti ne avevano quasi compromesso la carriera: infatti prima dirige "Bird", con il quale si aggiudica il golden globe come miglior regista e poi si afferma con il sorprendente film "Cacciatore bianco, cuore nero", biografia del regista John Huston. La strada di Clint è imprevedibile, eppure in ogni intervista ci si stupisce di un uomo che sembra rigidamente costruito, con una mentalità antiquata che lascia poco spazio alla fantasia. Il suo volto sembra rappresentare alla perfezione una personalità immutabile e ci sorprende per le impressioni che suscita.primi a scoprire e ad apprezzare la sua filmografia come regista sono gli europei che lo consacrano ufficialmente come uno dei più formidabili registi americani. L'America ha così un brusco sobbalzo e, dopo averlo criticato fino a disintegrarlo, passa a tesserne le lodi. Palpitante e commovente nelle inquadrature, spicca sempre qualcosa di spiritualmente denso nei suoi lungometraggi anche grazie alle sceneggiature perfette e alla particolare importanza data alla musica che accompagna le immagini riprese sempre nitidamente. I primi anni '90 ne sono un esempio, caratterizzati da tre successi estremamente diversi tra  loro.  Il primo di questi, "Gli spietati", è il suo capolavoro. Un western che gli fa guadagnare l'Oscar come miglior regia e film e la nomination come miglior attore protagonista. Il grande successo e le lodi della critica lo spingono a conservare la sua scelta di essere un narratore. In rapida sequenza escono: "Un mondo perfetto" un film poliziesco (con Kevin Costner), nato da un progetto di Spielberg, e "I ponti di Madison Country", pellicola sentimentale molto lontana dalle sue abituali interpretazioni che, nonostante venga messa in dubbio dalla critica, viene notevolmente premiata dal pubblico. Nonostante molti lo ritengano ormai sul punto di arrivo, si potrebbe invece dire che la sua carriera da regista sia appena cominciata. Presidente della Giuria del Festival di Cannes nel 1994, Premio alla Carriera riservatogli dall'Academy nel 1995, nonché César alla Carriera nel 1998, Clint Eastwood si afferma come un Autore con la A maiuscola. Padre di otto figli (molti dei quali attori), sposato per ben due volte, fra l'altro con relazioni e convivenze alle spalle di molte compagne di set, appassionato di golf e proprietario di un ranch, nonostante uno dei riconoscimenti più ambiti (il Leone d'Oro alla Carriera al Festival di Venezia nel 2000), continua a lavorare imperterrito nel cinema e sforna alcuni dei suoi film più belli e autentici. Il primo è "Mistic River", un thriller ad alta densità psicologica, che gli farà piovere una valanga di nomination agli oscar e una lunga serie di rinomati premi internazionali (tra i quali un Golden Globe). Successivamente, nel 2004, dirige uno dei suoi film più belli e premiati, "Million dollar baby", storia di un anziano allenatore di boxe che porterà sul ring una cameriera dotata di una grande forza vitale. È il suo più grande successo e gli vale ben 4 premi oscar, tra i quali miglior film e regia. Nel 2005 tenta di ripetersi, lavorando ad un doppio progetto: due forti film di guerra che raccontano lo stesso evento visto però da due opposti punti di vista. Il primo è "Flags of our fathers", la storia di sei marines che, all'inizio del '45, vengono fotografati mentre issano, sulla collina dell' isola di Iwo Jima, la bandiera americana. Ad Iwo, territorio sacro per i giapponesi, fu una battaglia cruentissima. In America è un grande successo, ma negli altri paesi desta molte perplessità. Il secondo di questi film bellici è "Letters from Iwo Jima", parlato interamente in giapponese con sottotitoli, è molto acclamato dalla critica e riesce anche a ricevere un oscar. Dopo due anni di silenzio, Clint ritorna dietro la macchina da presa e dirige "Changeling", una storia vera che vede come protagonista un Angelina Jolie in una delle sue migliori apparizioni. Eastwood calca la mano non solo sulla tragedia della protagonista, ma soprattutto sulla corruzione della polizia di Los Angeles negli anni '20. Potremo ancora una volta trovarci davanti ad il suo punto d'arrivo, ma ancora una volta veniamo smentiti. L'anno successivo ci regala infatti lo strepitoso "Gran Torino" che lo vede sia come regista sia come protagonista. In questo film interpreta il ruolo di un anziano misantropo razzista reduce dalla guerra del Vietnam, alle prese con una famiglia di vietnamiti (o "musi gialli", come li chiama lui). Il suo ultimo film è "The human factor" film sull'impegno sociale e le vicende agonistiche della star del rugby Francois Pienaar. Occhi di ghiaccio e lineamenti che sembrano scolpiti nella pietra, considerato una vera e propria leggenda vivente, Clint Eastwood è un uomo della polvere, ovverosia uno di quegli individui che hanno incarnato il prototipo di quei personaggi che si scontrano con l'aridità del mondo circostante, pur non rinunciando alla propria sensibilità. Produttore, attore e regista, Clint Eastwood dimostra l'innata capacità di catturare l'attimo fuggente, quasi senza far capacitare lo spettatore del fatto che è pur sempre un'inquadratura quella che si sta guardando. I film di Eastwood hanno l'abilità di essere così veri da rendere il cinema un allungamento del nostro mondo, dei nostri occhi, dei nostri pensieri. Non è nella pellicola che si registrano suoni ed immagini, ma è nel nostro cuore

Dustin Hoffman         


Dustin Hoffman
Dustin Hoffman nasce a Los Angeles l'8 agosto 1937, da una famiglia di origine ebraica, senza ricevere però un educazione religiosa. Il padre lavora come tecnico sui set cinematografici della Columbia Pictures, dove spesso il giovanissimo figlio Dustin lo accompagna, rimanendo affascinato da quel mondo, tanto da abbandonare gli studi di medicina per poi trasferirsi a New York. Iniziò a studiare piano e contemporaneamente si dedicò alla recitazione: spesso egli si ritrovava, oltre che come studente, ad esibirsi alla alla Pasadena Playhouse al fianco di un certo Gene Hakman... Sul finire degli anni '50 abbandona definitivamente gli studi per trasferirsi a New York, nel tentativo si sfondare come attore, ma tutti i suoi primi tentativi si rivelarono un fallimento. Tuttavia, grazie alla sua determinazione, ebbe il coraggio di mettersi in gioco, iscrivendosi alla celeberrima Actor's Studio di New York (che come abbiamo già visto ha plasmato attori del calibro di Nicholson e Pacino). Il cambiamento è evidente: a partire dal 1964 inizia a comparire nel cast di produzione teatrali del calibro di "Aspettando Godot" e due anni più tardi vincerà un premio come miglior attore per la sua interpretazione ne "Il viaggio del quinto cavallo". Il 1967 è il suo anno magico: il giovane e promettente regista Mike Nichols  lo nota durante una sua apparizione in teatro e lo seleziona come protagonista nel film "Il laureato". Sebbene Dustin avesse già trent'anni all'epoca delle riprese, riuscì comunque a dare un immagine credibile, partecipe e alienante allo stesso tempo, di uno studente universitario introverso coinvolto in una intricata storia di amore. Il successo che ottiene è incredibile: ricevette una nomination all'oscar e, dato più importante, venne acclamato sia pubblico sia dalla critica come una vera e propria star. Di bassa statura, sguardo timido, capelli scuri e naso importante, caratteristiche per le quali Hollywood lo avrebbero relegato a ruoli di basso profilo. Ma grazie alla sua sensibilità, il suo carisma e la sua aria dimessa che ispira fiducia e simpatia, lo hanno portato a sfatare il radicato mito dell'attore bello e prestante. Due anni successivi, nel 1969, sfiora ancora una volta l'oscar con una magistrale interpretazione nel film "Un uomo da marciapiede", dove interpreta uno zoppo malato di tisi. Per immedesimarsi in questo ruolo, Hoffman per mesi studiò ed imitò gli zoppi che camminavano sui marciapiedi di New York, mettendo a frutto le tecniche di immedesimazione apprese anni prima alla Axtor's Studio. Nel 1970 lavora con Arthur Penn che lo dirige nel film "Piccolo grande uomo", uno dei rari film western dalla parte degli indiani d'America a livello sociale è un film importantissimo per storia della cultura di una nazione che spesso dimentica le sue origini e che sempre più spesso diventa lo specchio di una società che sente di avere irrimediabilmente perso i ponti per comunicare con le proprie origini. Tra il 1973 e il 1976 regala quattro delle sue interpretazioni migliori: prima recita con Streve McQueen nel film "Papillon" (tratto dal celebre best seller di un ex detenuto, Henri Charrière), apprezzato dal pubblico ma bocciato dalla critica; nel 1974 veste letteralmente i panni di un comico, portando sul grande schermo la storia del comico Larry Bruce, che con il suo umorismo crudo e volgare sconvolse l'America benpensante. Un altra interpretazione sopra le righe, che gli vale l'ennesima nomination all'oscar. Nonostante non avesse ancora ricevuto alcun premio di grande importanza, ormai il mito di Dustin Hoffman si era creato; tutte interpretazioni memorabili, intense e convinte, la sua fama è quella dell'attore perfetto per ogni ruolo, soprattutto per quelli più sconvenienti; se all'inizio il suo aspetto minuto fu quasi una sorta di limite, ora era diventato invece un elemento indispensabile per le interpretazioni dei suoi ruoli, mai totalmente buoni ma nemmeno totalmente cattivi: con le sue grandi prove sul grande schermo, Hoffman era riuscito a creare un nuovo stile di recitazione. Nel 1976 Dustin Hoffman compare in due film memorabili: il primo di questi è "Il maratoneta" di Franklin Schaffner, dove interpreta il ruolo di Babe Levy, ambizioso corridore con un fratello coinvolto nella malavita newyorkese; nel secondo invece lo si trova al fianco di Robert Redford nell'eccezionale "Tutti gli uomini del presidente", uno dei capisaldi del cinema d'inchiesta e sicuramente il più energico , eccitante e brillante film mai realizzato sul giornalismo. Basata su un capitolo di storia americana, la storia narra di come due giornalisti del Washington Post abbiano scoperto il filo conduttore tra la Casa Bianca e il caso Watergate, provocando poi le dimissioni del presidente Nixon. Dopo altre due discrete pellicole (il noir "Vigilato speciale" e "Il segreto di Agatha Christie"), vince finalmente l'oscar, che già avrebbe meritato più volte, con il film diretto da Robert Benton "Kramer contro Kramer", Il ruolo di protagonista inizialmente doveva appartenere ad Al Pacino, ma il rifiuto di quest'ultimo obbligò il regista a ripiegare su Dustin Hoffman. Un interpretazione commovente che racconta la storia di un padre disoccupato che si trova solo con un figlio dopo esser stato lasciato dalla moglie. Un film di grande successo che si aggiudicò anche gli Oscar come miglior film, migliore regia, sceneggiatura e migliore attrice, senza dubbio il miglior modo per esser definitivamente proiettato nel cinema che conta. Nel 1982 viene nuovamente candidato all’oscar per il film “Tootsie”, dove interpreta un attore perennemente disoccupato che si veste da donna e diventa una star nelle soap opera. Sei anni dopo interpreta il ruolo di Raymond, il fratello autistico di Tom Cruise in “Rain Man – L’uomo della pioggia” dove Hoffman, con una forte e allo stesso tempo toccante interpretazione, si aggiudica secondo oscar della sua carriera. Dopo un'altra grande prova nel film di Stephen Fears “Eroe per caso”, Dustin si trova poi coinvolto in mega-produzioni, quali “Sleepers”, “Mad City” e “Sfera”, fino a giungere all’eccellente “Sesso e potere”, che racconta una scena di guerra tra Stati Uniti e Albania, per distogliere l’opinione pubblica statunitense dallo scandalo sessuale che vede coinvolto l’allora presidente degli USA Bill Clinton. Oltre al Leone d’oro alla carriera ricevuto a Venezia, l’utimo decennio si è rivelato avaro di successi per Hoffman, dove compare in una serie di pellicole in cui la sua sola presenza riesce a salvare film mediocri come “La giuria”, “Confidence” o "Profumo - Storia di un assassino", non certo all’altezza della sua eccezionale carriera. Con il film"Vero come la finzione", diretto da Marc Foster, ritorna finalmente ai suoi grandi livelli di un tempo, ritagliandosi una parte in una commedia arguta e intelligente. Amato dal pubblico ed acclamato dalla critica, cosa che raramente accade nel mondo del cinema, Hoffman è riuscito a conquistare un intera generazione, interpretando con estrema maestria personaggi contrastati e talvolta perdenti e mettendo spesso a frutto il suo istrionismo in ruoli ora comici ora trasgressivi. Riconosciuto tutt’oggi come uno dei più grandi attori del secolo passato, Hoffman ebbe il merito di infrangere gli stereotipi accettando ruoli da antieroe o da eroe negativo, tutte figure raramente destinate al lieto fine.

 

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