Miei cari concittadini,
Oggi festeggiamo il mistero del rinnovamento americano.
Questa cerimonia si tiene nel pieno dell’inverno. Ma, per mezzo delle parole che diciamo e dei volti che mostriamo al mondo, noi spalanchiamo le porte alla primavera.
Una primavera di rinascita nella più antica democrazia del mondo, che porta avanti l’idea e il coraggio di reinventare l’America.
Quando i nostri Fondatori dichiararono audacemente l’indipendenza dell’America al mondo e i nostri propositi verso l’Onnipotente, essi sapevano che l’America, per sopravvivere, sarebbe dovuta cambiare.
Cambiare non per amore del cambiamento, ma per preservare gli ideali dell’America – vita, libertà, ricerca della felicità. Sebbene noi marciamo al ritmo della musica del nostro tempo, la nostra missione è eterna.
Ogni generazione di Americani deve definire cosa vuol dire essere Americani.
A nome della nostra nazione, saluto il mio predecessore, il Presidente Bush (padre, N.d.T.), per il suo mezzo secolo di servizio alla nazione.
E ringrazio i milioni di uomini e donne la risolutezza e il sacrificio dei quali hanno trionfato sulla Depressione, il Fascismo e il Comunismo.
Oggi, una generazione cresciuta all’ombra della Guerra Fredda si assume nuove responsabilità in un mondo scaldato dalla fiamma della libertà ma ancora minacciata da antichi odi e nuove piaghe.
Cresciuti in una prosperità impareggiabile, noi abbiamo ereditato un’economia che è ancora la più forte al mondo, ma è indebolita da fallimenti economici, salari stagnanti, disuguaglianza crescente e profonde divisioni nel nostro popolo.
Quando George Washington prestò per primo il giuramento che io ha appena dichiarato di mantenere, le notizie viaggiavano lentamente per il paese a cavallo e attraverso l’oceano per nave. Ora, le immagini e i suoni di questa cerimonia sono trasmesse istantaneamente a miliardi di persone nel mondo.
Le comunicazioni e il commercio sono globali; l’investimento è mobile; la tecnologia è quasi magica; e l’ambizione di una vita migliore è ora universale. Ci guadagniamo da vivere in una pacifica competizione con persone di tutto il mondo.
Forze profonde e potenti stanno scuotendo e rifacendo il nostro mondo, l’urgente domanda del nostro tempo è se possiamo far diventare il cambiamento un nostro amico o nemico.
Questo nuovo mondo ha già arricchito le vite di milioni di Americani che possono competere e vincere in esso. Ma quando la maggior parte delle persone lavorano più duramente per guadagnare meno; quando altri non possono lavorare per niente; quando il costo delle cure mediche devasta le famiglie e minaccia di far fallire molte delle nostre imprese, grandi e piccole; quando la paura della criminalità priva cittadini rispettosi della legge della loro libertà; e quando milioni di bambini poveri non possono nemmeno immaginare le vite che stiamo chiamando loro a condurre – non abbiamo fatto del cambiamento un nostro amico.
Sappiamo che dobbiamo affrontare dure verità e compiere passi energici. Ma non abbiamo fatto così. Al contrario, abbiamo esitato, e quell’esitare ha eroso le nostre risorse, spezzato la nostra economia e scosso la nostra fiducia.
Benché le nostre sfide siano spaventose, così lo sono le nostre forze. E gli Americani sono sempre stati un popolo inquieto, cercatore, pieno di speranza. Dobbiamo apportare al nostro compito l’idea e la volontà di quelli che sono venuti prima di noi.
Dalla nostra rivoluzione, la Guerra Civile, fino alla Grande Depressione e alla battaglia per i diritti civili, il nostro popolo ha sempre mostrato la determinazione per costruire, da queste crisi, le basi della nostra storia.
Thomas Jefferson credeva che per conservare le vere fondamenta della nostra nazione, avremmo avuto bisogno di spettacolari cambiamenti da un epoca all’altra. Bene, miei cari concittadini, questa è il nostro momento. Accogliamola.
La nostra democrazia deve essere non solo invidiata dal mondo ma deve essere anche il motore del nostro rinnovamento. Non c’è nulla che non funzioni in America che non possa essere curato da ciò che funziona in America.
E così oggi, noi dichiariamo la fine dell’era dei punti morti e delle esitazioni – per l’America è cominciata una nuova stagione di rinnovamento.
Per rinnovare l’America, dobbiamo essere audaci.
Dobbiamo fare quello che nessun’altra generazione ha dovuto fare prima. Dobbiamo investire di più nel nostro stesso popolo, nel suo lavoro, nel suo futuro e, nello stesso momento, tagliare il nostro pesante debito. E dobbiamo fare ciò in un mondo nel quale dobbiamo competere per ogni opportunità.
Non sarà facile; richiederà sacrifici. Ma può essere fatto, e fatto onestamente, non scegliendo il sacrificio fine a sé stesso, ma per il nostro stesso bene. Noi dobbiamo prenderci cura della nostra nazione nel modo in cui una famiglia si prende cura dei suoi figli.
I nostri Fondatori si videro specchiati nel futuro. Noi non possiamo fare di meno. Chiunque abbia mai guardato gli occhi di un bambino sognare nel sonno sa cos’è il futuro. Il futuro è il mondo che verrà – il mondo per cui noi manteniamo i nostri ideali, dal quale noi abbiamo ricevuto in prestito il nostro mondo e nei confronti del quale noi abbiamo sacre responsabilità.
Noi dobbiamo fare quello che l’America sa fare meglio: offrire maggiori opportunità a tutti e richiedere responsabilità da tutti.
È tempo di eliminare la cattiva abitudine di pretendere qualcosa senza fare nulla, dal nostro governo o da ciascuno di noi. Parliamo tutti con più responsabilità, non solo per noi stessi e per le nostre famiglie ma per la nostra comunità e per il nostro paese.
Per rinnovare l’America, noi dobbiamo dare nuova linfa alla nostra democrazia.
Questa bellissima capitale, come ogni capitale dall’alba della civilizzazione, è spesso un luogo di intrigo e calcolo. Persone potenti macchinano per una posizione e si preoccupano interminabilmente su chi è dentro e chi è fuori, chi è su e chi è giù, dimenticando quelle persone il cui duro lavoro e sudore ci ha mandato qui a loro spese.
Gli Americani meritano di meglio, e in questa città oggi, ci sono persone che vogliono fare di meglio. E io dico così a tutti noi qui, decidiamo di riformare la nostra politica, cosicché il potere e il privilegio non azzittiscano più la voce del popolo. Mettiamo da parte il vantaggio personale così da poter sentire il dolore e sentire la promessa dell’America.
Decidiamoci a fare del nostro governo un posto per ciò che Franklin Roosevelt chiamava “audace, continua sperimentazione”, un governo per i nostri domani, non per i nostri ieri.
Ridiamo questa capitale alle persone alle quali essa appartiene.
Per rinnovare l’America dobbiamo affrontare sfide all’estero così come in patria. Non c’è più differenza tra cosa è estero e cosa è interno – l’economia mondiale, l’ambiente, la crisi dell’AIDS, la corsa alle armi – riguardano tutti quanti noi.
Oggi, mentre un vecchio ordinamento passa, il nuovo mondo è più libero ma meno stabile. Il caduta del Comunismo ha portato con sé vecchie animosità e nuovi pericoli. Chiaramente l’America deve continuare a guidare il mondo, per costruire il quale abbiamo fatto così tanto.
Mentre l’America ricostruisce se stessa in patria, non ci tireremo indietro dalle sfide, né falliremo nel cogliere le opportunità di questo nuovo mondo. Insieme ai nostri amici e alleati noi lavoreremo per ridimensionarlo per paura che ci avvolga.
Quando i nostri interessi vitali sono sfidati, o il volere e la coscienza della comunità internazionale è messa alla prova, noi agiremo – con una pacifica diplomazia quando sarà possibile, con la forza se necessario. I coraggiosi americani che oggi servono la nostra nazione nel Golfo Persico, in Somalia e ovunque essi stiano sono la testimonianza della nostra risoluzione.
Ma la nostra forza più grande è l’energia delle nostre idee, che sono ancora innovative in molti paesi. In tutto il mondo le vediamo accolte – e ce ne rallegriamo. Le nostre speranze, i nostri cuori, le nostre mani sono con quelli che in ogni continente stanno costruendo democrazia e libertà. La loro causa è la causa americana.
Il popolo americano ha fatto appello al cambiamento che stiamo festeggiando oggi. Avete alzato le vostre voci in un coro inconfondibile. Avete assegnato i vostri voti in un numero storico. E voi avete cambiato il volto del congresso, la presidenza e lo stesso processo politico. Si, voi miei concittadini americani avete aperto la strada alla primavera. Ora dobbiamo fare il lavoro che la stagione domanda.
Ora io mi rivolgo a quel lavoro, con tutta l’autorità del mio compito. Io chiedo al Congresso di unirsi a me. Ma nessun presidente, nessun congresso, nessun governo, può intraprendere questa missione da solo. Miei concittadini americani, anche voi, dovete giocare la vostra parte nel nostro rinnovamento. Io sfido una nuova generazione di giovani americani a una stagione di servizio – ad agire sul vostro idealismo aiutando i bambini con problemi, tenendo compagnia a coloro che hanno bisogno, riconnettendo le nostre comunità lacerate. C’è così tanto da fare – abbastanza in realtà per milioni di altri che sono ancora giovani di spirito per dare anche se stessi in servizio.
Nel servire noi riconosciamo una semplice ma potente verità – abbiamo bisogno gli uni degli altri. E dobbiamo prenderci cura gli uni degli altri. Oggi, facciamo più che festeggiare l’America; noi ci rivotiamo alla vera idea dell’America.
Un’idea nata in una rivoluzione e rinnovata attraverso due secoli di sfide. Un’idea stemperata dalla conoscenza che, per volontà della sorte, noi – i fortunati e gli sfortunati – avremmo potuto essere gli uni al posto degli altri. Un idea nobilitata dalla fede, che la nostra nazione può raccogliere dalla sua miriade di diversità la più profonda unità. Un’idea infusa con la convinzione che il lungo, eroico viaggio dell’America debba andare per sempre verso l’alto.
E così, miei concittadini americani, all’orlo del ventunesimo secolo, cominciamo con energia e speranza, con fede e disciplina, e lavoriamo finché il nostro lavoro non sarà finito. Le Scritture dicono: “E non siamo stanchi nel fare del bene, al momento dovuto raccoglieremo se non verremo meno.”
Da questa gioiosa vetta di festeggiamenti, noi sentiamo una chiamata al servizio nella valle. Abbiamo sentito le trombe. Abbiamo cambiato la guardia. E ora, ognuno a modo suo e con l’aiuto di Dio, dobbiamo rispondere alla chiamata.
Grazie e che Dio vi benedica tutti.