Una mappa indica la distribuzione del permafrost nella
zona artica.

Il permafrost è il territorio perennemente ghiacciato della Terra. Si stima costituisca il 20% delle terre emerse del pianeta, il 25% nell'emisfero settentrionale, e raggiunga la profondità di 1.500 metri nel nord della Siberia. Con il termine permafrost si indica la porzione di terreno che presenta per almeno due anni consecutivi una temperatura media annua inferiore a 0° C (Brown & Pewé, 1973). In tali condizioni l'acqua interstiziale si trova allo stato solido e costituisce l'elemento "collante" della matrice nella quale si ritrova, sia essa costituita da detrito, sia da roccia più o meno fratturata. Durante la stagione estiva le temperature più calde possono portare alla fusione del ghiaccio nella porzione più superficiale del suolo variandone le caratteristiche termiche, di resistenza meccanica, e di permeabilità (strato attivo).

 

 

 

 

 

 


Uno schema mostra la struttura del permafrost.

Esso è di solito caratterizzato da uno strato attivo superficiale, che si estende da pochi centimetri a diversi metri di profondità e che si scioglie durante l'estate per ricongelare d'inverno, e uno strato più profondo che rimane sempre ghiacciato. Lo strato attivo reagisce ai cambiamenti climatici, mentre quello profondo non si è più scongelato dall'ultima era glaciale, circa 10.000 anni fa.

Purtroppo l'esistenza del permafrost mostra gravi segni di cedimento, con imprevidibili conseguenze sull'equilibrio climatico dell'intero pianeta. Numerosi studi, effettuati in vari paesi, mostrano che oltre la metà dell'area ricoperta dallo strato superiore di permafrost potrebbe sciogliersi entro il 2050, e circa il 90 per cento entro il 2100. Gli scienziati si attendono che il fenomeno incrementi la quantità di acqua dolce riversata nell'Oceano Artico e quella di carbonio nell'atmosfera. In conseguenza di questo fenomeno non è neppure escluso che possano "liberarsi" in atmosfera enormi depositi sotterranei di metano, che è un potentissimo gas serra.

Sul medio periodo, 30/50, anni si teme che le acque di fusione del permafrost possano contribuire in modo significativo a "raffreddare" i mari artici e ad abbassarne la salinità, ponendo a rischio l'esistenza della corrente del golfo che funge da "regolatore termico" su scala globale. La scienza ha già dimostrato che questo tipo di evento si è già verificato nel passato, scatenando reazioni climatiche anomale.

 

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