Presentiamo in questa pagina numerosi articoli di quotidiano che trattano il tema dei mutamenti climatici nei poli. Abbiamo infatti pensato di proporre al visitatore notizie quanto più recenti possibili sull'argomento.
La Groenlandia si scioglie, allarme
catastrofi Nuovo allarme in uno studio di due eminenti scienziati americani: i
ghiacciai dell'isola potrebbero dissolversi entro il 2060
DAL NOSTRO INVIATO
NEW YORK (USA) – I ghiacciai della Groenlandia sono in movimento e stanno
precipitando nel mare. Lo scioglimento della massiccia lastra di ghiaccio che
ricopre gran parte di questa enorme isola grande sette volte più dell’Italia,
era noto da tempo agli scienziati che studiano il clima. Ma agli avvertimenti
dei climatologi i governi, incominciando da quello americano attuale che al
fascino del petrolio è particolarmente sensibile, avevano sempre dato
scarsissimo peso, cercando di rinviare l’adozione di misure impopolari per
ridurre l’eccessiva dipendenza dai combustibili fossili (ritenuta una delle
cause principali dell’aumento di temperatura) e confortati anche dalla fiduciosa
opinione che il disgelo, prima di arrivare allo scioglimento totale dei ghiacci
dell’Artico, sarebbe continuato al rallentatore almeno per un migliaio di anni.
NUOVO STUDIO - Adesso un nuovo studio appena presentato all’assemblea
annuale della American Association for the Advancement of Science che si svolge
a St. Louis nel Missouri demolisce di colpo tutte queste ottimistiche
previsioni. Negli ultimi cinque anni, informano i due autori dell’indagine, il
peso degli iceberg che si staccano dai ghiacciai della Groenlandia e sprofondano
nell’Atlantico è quasi raddoppiato. “Per formare un blocco di ghiaccio e così
pure per scioglierlo – nota il dottor Eric Rignot che lavora a Pasadena in
California nel Jet Propulsion Laboratory della Nasa – occorre sempre parecchio
tempo. Se però la temperatura di superficie tende a salire, la reazione del
ghiacciaio diventa molto più rapida”. Nel lungo resoconto dei due climatologi
corredato da grafici, tabelle e fotografie dei ghiacciai, che esce oggi nel
numero di febbraio di Science, la rivista dell’Associazione americana per il
progresso delle scienze, Rignot e il suo collega dottor Pamir Kanagaratnam, del
Center for Remote Sensing of Ice Sheets dell’università del Kansas, documentano
con foto riprese dall’alto dai satelliti della Nasa l’erosione impressionante
dei ghiacciai della Groenlandia. In una di queste foto, del maggio 2005, si vede
il ghiacciaio sud-orientale di Helheim Gletscher, troncato da una profonda
spaccatura verticale simile a quella rocciosa del Gran Canyon. Ai bordi
dell’enorme blocco di ghiaccio che ricopre la maggior parte della Groenlandia,
su un’area grande poco meno del Messico che si estende su 1.700.000 chilometri
quadrati e raggiunge in alcuni punti i 3 chilometri di spessore, sempre più
spesso la banchisa è spaccata e dai bordi si staccano in continuazione gli
iceberg, che sprofondano con enorme fragore dentro l’Atlantico.
DISGELO A RITMI CRESCENTI - Ogni anno il disgelo continua a ritmi
crescenti. Si è passati da una perdita annuale di 90 chilometri cubici di
ghiaccio nel 1996 ai 224 km cubici del 2005. E lo scioglimento dei ghiacci in
Groenlandia, dove la temperatura in vent’anni è salita di 3°C, a detta degli
scienziati americani è responsabile per due terzi dell’aumento di livello dei
mari, che ogni anno salgono in media di 3 millimetri. Una cifra che solo ai
profani può apparire quasi insignificante: almeno fino a quando non si riflette.
Se il disgelo della Groenlandia continua ai ritmi attuali dell’8 per cento al
decennio, avvertono i climatologi da qui al non lontanissimo 2060 è possibile
che la Groenlandia si ritrovi senza ghiacciai, come era in epoche preistoriche e
come fa capire d’altronde anche il suo nome, Gruenland, che significa “terra
verde”.
CONSEGUENZE - Ma le conseguenze in questo caso non si faranno sentire
solo nell’Artico. Rignot e Kanagaratnam, nell’inquietante rapporto presentato
ieri ai loro colleghi scienziati a St. Louis, spiegano infatti che, in caso di
scioglimento totale dei ghiacciai della Groenlandia, il livello globale dei mari
salirebbe di ben 7 metri. In questo caso sarebbe sarebbe inevitabilmente
sommersa di nuovo la sfortunata New Orleans, ma non si salverebbero neppure
Venezia, l’Olanda e gran parte di Londra e New York. In Italia, se questa
previsione da Apocalisse dovesse verificarsi, finirebbe sott’acqua anche una
buona parte di Roma mentre l’Italia settentrionale padana si trasformerebbe in
una grande palude. Che fare? Purtroppo, con grande delusione degli ecologisti,
anche se il mondo intero per ipotesi assurda adottasse subito le misure più
draconiane, mettendo fuorilegge il petrolio e il carbone, non è neppure sicuro
che, arrivati a questo punto, lo scioglimento dei ghiacci si possa fermare. Ci
si sarebbe dovuto pensare prima e non ora, fra l’altro con la motorizzazione
degli oltre due miliardi di abitanti della Cina e dell’India che incombe.
GUERRA FREDDA - Fra l’altro, per ironia della sorte, il mondo
ecologicamente parlando era meno insicuro nell’epoca della Guerra Fredda, quando
i sottomarini americani e russi, con il loro carico di missili nucleari, si
davano la caccia navigando in continuazione sotto la calotta polare, e di
conseguenza tenevano d’occhio anche lo spessore dei ghiacci. Poi è venuto il
disgelo, non solo strategico ma climatico. A parte pochi scienziati e alcuni
utopisti, agli iceberg della Groenlandia che si scioglievano facendo salire il
livello del mare, mentre il mondo si precipitava a consumare petrolio, gas e
altri combustibili fossili come se non ci fosse un domani, negli ultimi quindici
anni non ci ha pensato nessuno.
Renzo Cianfanelli
20 febbraio 2006
Lo affermano geologi canadesi e americani L'effetto serra scatena
terremoti ed eruzioni I ghiacciai si sciolgono, diminuisce la pressione sulla
crosta terrestre e si scatena una crescente instabilità
MONTREAL (CANADA) - Il riscaldamento globale starebbe diventando un
problema talmente nocivo e invasivo da acuire i peggiori mali di cui soffre il
nostro pianeta. Non solo stanno aumentando gli estremi meteorologici come
uragani, alluvioni e siccità ma, secondo quanto affermano alcuni studiosi di
Scienze della Terra, anche terremoti, tsunami ed eruzioni vulcaniche. «Proprio
così, per quanto possa sembrare un’esagerazione, abbiamo fondati sospetti che ci
sia un’interazione negativa fra alcune conseguenze dell’effetto serra e la
dinamica della crosta terrestre, al punto da fare aumentare la frequenza con cui
si verificano i fenomeni sismici e l’attività eruttiva di alcuni vulcani»,
afferma Patrick Wu, geologo all’università di Alberta, Canada, da tempo
impegnato nello studio di possibili correlazioni fra "global warming" e fenomeni
geologici. Il meccanismo di attivazione è complesso ma plausibile, spiega il
ricercatore canadese. Il riscaldamento globale sta provocando un accelerato
scioglimento dei ghiacciai. Enormi masse di ghiaccio si trasformano in acqua e
questo flusso, se da un lato va ad accrescere il livello dei mari, dall’altro
alleggerisce la crosta terrestre. Di fatto sta crollando la pressione che veniva
esercitata dagli enormi spessori di ghiaccio per effetto del loro stesso peso.
Tanto per fare un esempio, si valuta che la Groenlandia, nell’ultimo decennio,
sia arrivata a perdere, ogni anno, 51 miliardi di metri cubi di ghiaccio e che
questo tasso sia in costante aumento. Se si considera che ogni metro cubo di
ghiaccio pesa circa una tonnellata, si può calcolare quanto sia enorme lo
spostamento di masse, e quindi di pressioni, da alcune regioni della superficie
terrestre ad altre.
«Abbiamo potuto constatare che la pressione naturalmente esercitata dai ghiacci
sulla crosta terrestre è, in qualche misura, un fattore limitante dei terremoti
–spiega il professor Wu-. All’opposto la progressiva scomparsa di queste
pressioni, crea squilibri dinamici nella crosta e riattiva le faglie che
generano terremoti. Proprio nel Canada Orientale abbiamo potuto raccogliere le
prove dell'instaurarsi di una simile dinamica». Fenomeni come quelli descritti
del professor Wu si sarebbero già verificati nel corso del vasto scioglimento di
ghiacci succeduto all’ultima grande glaciazione, a partire da circa 10 mila anni
fa. Con la differenza che ora il ritmo della deglaciazione sembra aver superato
ogni precedente e si teme che le conseguenze saranno più marcate. Che la crosta
terrestre sia molto sensibile alle variazioni di pressione e che queste abbiano
un effetto diretto nei meccanismi sismogenetici è dimostrato anche da
esperimenti su piccola scala effettuati caricando e scaricando gli invasi di
alcune dighe. Immancabilmente, quando la pressione esercitata dal peso
dell’acqua diminuisce, si registra una deformazione della crosta che tende a
risalire e, nello stesso tempo, si scaricano tensioni sotto forma di movimenti
sismici lungo fratture del terreno di nuova formazione o preesistenti.
«In modo del tutto analogo, abbiamo trovato una correlazione fra il calo della
pressione esercitata dai ghiacci e la frequenza delle eruzioni vulcaniche –
aggiunge il vulcanologo Alan Glazner dell’Università del North Carolina-. La
diminuzione del carico, infatti, sollecita la risalita di magmi profondi che si
insinuano nelle fratture della crosta terrestre e tendono a venire a giorno».
Secondo Glazner l’aumentata attività vulcanica di alcuni segmenti della
cosiddetta ‘cintura di fuoco circum pacifica’ è da ascriversi allo scioglimento
accelerato di ghiacciai prossimi alle coste americane. Tutte queste osservazioni
hanno indotto alcuni studiosi a proporre un monitoraggio coordinato su scala
globale per raccogliere nuove prove del possibile legame fra effetto serra e
fenomeni geologici.
di Franco Foresta Martin
07 luglio 2006
In pericolo un mammifero su quattro e una specie di uccelli su otto Orsi
polari e ippopotami a rischio estinzione Lo rende noto la World Conservation
Union, o Iucn. Riscaldamento globale, caccia e altre minacce create dall'uomo
GINEVRA - Anche gli orsi polari e gli ippopotami sono entrati nel novero
delle specie che rischiano di scomparire dal pianeta a causa dei cambiamenti
clima, ma anche della caccia e di altri pericoli creati dall'uomo. Lo ha fatto
sapere oggi la World Conservation Union, o Iucn, chiarendo che oltre 16 mila
specie di animali e piante rischiano di estinguersi, compreso un mammifero su
quattro e una specie di uccelli su otto. Il gruppo ha aggiunto 530 specie alla
«lista rossa» di quelle in pericolo dalla sua ultima versione di due anni fa.
Cina, Brasile, Australia e Messico ospitano un grande numero di specie
minacciate, dice l'Iucn, i cui membri includono 81 governi, oltre 850 gruppi non
governativi e circa mille scienziati da tutto il mondo. Il gruppo sostiene che
vanno aumentati gli sforzi per preservare la biodiversità attraverso la
riduzione delle emissioni, maggiori controlli su pesca e caccia e altre misure.
Senza un'inversione di tendenza nel riscaldamento globale, l'organizzazione
predice che la popolazione degli orsi polari potrebbe diminuire di oltre il 30%
nei prossimi 45 anni, con lo scioglimento dei ghiacciai che priverebbe gli
animali del loro habitat.
SPECIE VULNERABILI - Il gruppo classifica gli orsi polari come specie
«vulnerabile», un passo dietro rispetto a «in pericolo» , definizione riservata
al vero e proprio rischio di estinzione. Anche l'ippopotamo è tra le specie
vulnerabili «soprattutto a causa del catastrofico declino nella Repubblica
democratica del Congo», dice l'Iucn. La caccia senza restrizioni ha causato il
95% della diminuzione degli ippopotami nel paese dell'Africa centrale dal 1994,
spiega il rapporto.
02 maggio 2006
L'accelerazione a partire dal 1950 Il livello dei mari cresce più in
fretta Risulta dalle registrazioni dei mareografi di tutto il mondo dal 1870 a
oggi. Sempre più vulnerabili le città sulle coste
Quasi 20 cm tra il 1870 e il 2004: di tanto è cresciuto il livello dei mari a
causa del riscaldamento globale (o effetto serra). Ma c’è una novità assoluta:
dal 1950 a oggi il ritmo di crescita è aumentato e anche la vulnerabilità delle
città affacciate sul mare e delle coste basse sta, di conseguenza, crescendo. I
risultati dello studio, condotto da un gruppo di ricercatori australiani della
‘Commonwealth Scientific and Industrial Research Organization’, sono apparsi
sulla rivista scientifica Geophysical Research Letters (J.Church, A 20th century
acceleration in global sea-level rise, Vol. 33, n.1). «Si tratta della prima
conferma sperimentale effettuata su scala globale di questo fenomeno, che era
stato preannunciato anni fa da alcuni modelli di evoluzione del clima»,
rivendicano i ricercatori del gruppo che, per le loro misure, hanno preso in
considerazione i dati registrati dai mareografi sparsi in tutto il mondo dal
1870 a oggi.
PROSPETTIVE - Se si fa la media sull’intero periodo, risulta che il livello dei
mari è cresciuto al ritmo di 1,44 millimetri all’anno. Se, invece, si prende
come base di partenza il 1950, la media passa a 1,75 millimetri all’anno.
Continuando a questi ritmi, entro il secolo corrente il livello dei mari
potrebbe salire ancora di una trentina di centimetri. «Questo vuol dire che
osserveremo un moltiplicarsi non solo degli episodi di inondazioni delle terre
basse e delle isole in coincidenza di eventi meteorologici estremi come tempeste
e cicloni, ma anche di fenomeni erosivi sulle coste –ha dichiarato John Church,
uno dei leder della ricerca-. E’ una realtà di cui bisognerà tenere conto per
organizzare le cosiddette misure di adattamento al cambiamento climatico in
atto».
LE CAUSE - I ricercatori hanno anche indicato nel riscaldamento globale la causa
prima del fenomeno, che si realizza attraverso due differenti meccanismi: la
dilatazione termica degli oceani e lo scioglimento dei ghiacciai. «E’ notevole
il fatto che le misure oggettive da noi raccolte corrispondano abbastanza
fedelmente ai modelli previsioni elaborati già alcuni anni fa dall’Ipcc, il
gruppo scientifico sui cambiamenti climatici della Nazioni Unite», sottolineano
i ricercatori.
Franco Foresta Martin
29 gennaio 2006
In Europa, specie nel nord e nelle isole britanniche, farà più freddo La
corrente del Golfo rallenta Prima era solo una teoria: ora uno studio segnala
una diminuzione del 30% in quasi 50 anni. A causa della Groenlandia che si
scioglie
LONDRA - Il riscaldamento globale della Terra porterà a una fase con clima
più freddo. Sembra una contraddizione, ma è quanto sta già avvenendo e la cui
accelerazione può causare conseguenze catastrofiche. La conferma arriva da un
articolo che sarà pubblicato il 1° dicembre sulla rivista «Nature» sulla
Corrente del Golfo, l'enorme flusso di acqua più calda e salina che parte dalle
acque tropicali intorno al Golfo del Messico per arrivare fino all'estremo nord
europeo. Se non ci fosse questa corrente a portare calore, la Scandinavia
sarebbe inabitabile e le isole britanniche sarebbero gelate come le coste
canadesi alla stessa latitudine sulla sponda opposta dell'Atlantico. Ebbene, lo
studio realizzato dal National Oceanography Centre dell'Università di
Southampton (Gran Bretagna) adesso prova in modo inconfutabile ciò che prima era
solo una teoria confortata da alcuni dati: la Corrente del Golfo sta
rallentando. In quasi 50 anni il flusso è diminuito del 30%.
L'incontro tra le acque calde (rosso e giallo) della Corrente del Golfo
con quelle fredde (blu e verde) al largo della costa est degli Stati Uniti
FLUSSO RALLENTATO - A bordo di una nave i ricercatori hanno
viaggiato lungo il 25º parallelo tra le Bahamas e l'Africa occidentale. Ogni 50
chilometri hanno misurato la salinità e la temperatura dell'acqua
dell'Atlantico. Analoghe rilevazioni erano state compiute nel 1957, nel 1981,
nel 1992 e nel 1998. La sorpresa è stata scoprire che il volume del flusso
d'acqua della Corrente del Golfo è diminuito del 30%.
ACQUE MENO DENSE - Secondo gli scienzati la colpa è da addebitare al
grande afflusso di acqua meno salata e più fredda che scende da nord dovuto
dallo scioglimento dei ghiacciai artici (Groenlandia e isole nord-canadesi) e
dal flusso dei fiumi russi che si gettano nel mar Glaciale Artico, gonfiati
dalle maggiori piogge sulla Siberia. L'afflusso nell'Atlantico settentrionale di
acqua mano salata e più fredda è tale che la densità media dell'acqua è
diminuita e quindi ha rallentato il moto della Corrente del Golfo verso nord.
«Il crollo di 4 °C delle temperature medie nell'Europa nord-atlantica non sarà
improvviso», ha spiegato Meric Srokosz, coordinatore scientifico al Natural
Environment Research Council britannico, che sovrintende la ricerca. «Stiamo
parlando di un arco di tempo di una decade o giù di lì. E arriverà non un'era
glaciale, bensì una serie di inverni più rigidi e regolari». Gli inverni saranno
simili a quello che strinse in una morsa di freddo l'Europa nel 1963. I Paesi
più interessati saranno Gran Bretagna, Irlanda, Francia settentrionale, Olanda,
Scandinavia e forse anche la Germania.
02 dicembre 2005
L'acqua dolce immersa nell'oceano bloccherà la corrente del Golfo Studio
Usa: inondazioni ed era glaciale vicine Secondo una ricerca dell'Università
della California i ghiacciai della Groenlandia stanno per sciogliersi, il mare
si alzerà di sei metri
LONDRA (GRAN BRETAGNA) - Un nuovo grido d'allarme. I ghiacci della
Groenlandia si stanno rapidamente sciogliendo e precipitano verso il mare: un
fenomeno ormai quasi irreversibile che provocherà un disastro globale destinato
a cancellare le zone costiere di molti paesi e cambiare l'assetto termico
dell'Oceano Atlantico. È il risultato di uno studio americano di imminente
pubblicazione, anticipato dal britannico Independent, per il quale «si tratta
della più allarmante manifestazione dei cambiamenti climatici finora
registrata».
GIACCHIAI A RISCHIO - Per secoli i ghiacciai della grande isola prossima al polo
nord sono rimasti praticamente immutati. Ma l'innalzamento delle temperature
dovuto all'effetto serra ha fatto sì che la zona ghiacciata si sia drasticamente
ristretta. Durante la scorsa estate è stato osservato uno scioglimento record,
con enormi masse glaciali trasformate in acqua, che è finita poi nell'Oceano, e
masse di ghiaccio finite in acqua sempre a causa del riscaldamento. Se la
calotta che copre gran parte della Groenlandia si scioglierà tutta, il livello
degli oceani salirà di sei metri: questo vuol dire la scomparsa di vaste zone
costiere - in particolare in paesi al livello del mare o sotto come il
Bangladesh - e inondazioni in tutte le città costiere del mondo.
LO STUDIO - Lo studio, coordinato dal professor Slawek Tulaczyk dell'Universita
della California, sta per essere pubblicato nella rivista scientifica
Geophysical Research Letters e viene anticipato dal giornale alla vigilia di una
nuova riunione, questa settimana a Montreal, in cui rappresentanti di governi e
organizzazioni internazionali discuteranno cosa fare dopo la scadenza di Kyoto,
tra sette anni. Nessuno si aspetta grandi progressi, a causa dell'ostruzionismo
degli Usa, che si oppongono a ogni limitazione di emissioni dannose e mettono in
dubbio persino dell'esistenza dell'effetto serra, e di diversi paesi in via di
sviluppo. La Gran Bretagna, che ha la presidenza del G8, sta valutando la
proposta di tagli volontari alle emissioni, ma questa strada è già stata
bocciata da tutte le grandi organizzazioni ambientaliste, che la giudicano
impraticabile e «suicida», mentre il problema si aggrava costantemente. Tulaczyk
ha registrato un rapido restringimento del ghiacciaio Helheim, un fiume
ghiacciato che va dai ghiacci perenni dell'isola fino al mare, sulla costa est
dell'isola. Lo spessore del ghiacciaio, dice, si è assottigliato di 30 metri
solo quest'estate, mentre negli ultimi quattro anni il fronte del ghiacciaio è
indietreggiato di sei chilometri.
A RISCHIO LA CORRENTE DEL GOLFO - La prima, grave conseguenza è data dal
fatto che nell'Oceano sono finite grandi quantità d'acqua dolce che minacciano
di rallentare la corrente del Golfo che rende miti le temperature sulle zone
costiere dell'Europa occidentale. Senza, città come Londra avrebbero le stesse
temperature del Labrador. L'ultima volta che questo è successo, 12.700 anni fa,
le isole britanniche sono state coperte di ghiaccio per 1.300 anni. Sul lato
occidentale della Groenlandia, intanto, si sta osservando una corsa del
ghiacciaio Jakobshavn in scioglimento verso il mare: la sua velocità normale di
discesa è di 30 cm l'anno. Nell'ultimo anno è stata di 34 metri. Questo avviene
perchè l'acqua che si scioglie dalla superficie filtra sotto lo strato
ghiacciato e forma una piattaforma sulla quale la massa ghiacciata scivola verso
il mare, dove si scioglie. «Siamo forse molto vicini al momento in cui la
calotta glaciale della Groenlandia sarà sciolta irreversibilmente», dice Tavi
Murray, esperto di ghiacciai all'Università del Galles. E Tulaczyk aggiunge:
«Quello che stiamo osservando punta in quella direzione». Uno dei suoi
assistenti, Ian Howat, dice che finora gli scienziati prevedevano uno
scioglimento entro 1.000 anni: ma i nuovi dati lasciano prevedere una brusca
accelerazione del processo.
30 novembre 2005
E' come se metà dei fiumi del mondo fosse entrata in 30 anni nell’Oceano
Atlantico meno salato, pericoli per il clima Valanghe di acque dolci dai
ghiacciai. Gli scienziati: interveniamo o ci saranno sconvolgimenti
ROMA - Valanghe di acque dolci provenienti da un accelerato scioglimento
dei ghiacci polari e da precipitazioni più abbondanti, a causa del riscaldamento
globale, stanno letteralmente «annacquando» l’Oceano Atlantico settentrionale,
rendendolo sempre meno salato. Potrebbe sembrare una curiosità che riguarda le
specie marine abituate a vivere entro certi parametri di salinità, oppure i
bagnanti più sensibili. Invece è un fenomeno che coinvolge, anzi sconvolge, il
clima del mondo intero, poiché ha contraccolpi sul sistema di correnti mondiali
che regolano gli scambi di calore fra oceani e atmosfera.
La Corrente del Golfo, così come paventato da un kolossal hollywoodiano,
potrebbe scomparire alla fine del secolo, causando una brusca transizione dal
caldo torrido al freddo glaciale nell’emisfero Nord. E’ l’ultimo numero della
rivista internazionale Science a riportare i dati inattesi, raccolti da
ricercatori americani ed europei in anni di spedizioni oceanografiche nel grande
bacino idrografico Nord e, in particolare, nell’Atlantico settentrionale.
«Accurate misure, effettuate fra il 1965 e il 1995, indicano che l’apporto di
acque dolci nel Nord Atlantico è stato di 20 mila chilometri cubici, una
quantità equivalente a circa la metà della portata media annua di tutti i fiumi
del mondo - riferiscono Ruth Curry della Woods Hole Oceanographic Institution
del Massachusetts, e Cecile Mauritzen del Norwegian Meteorological Institute di
Oslo -. Questo fenomeno non mancherà di avere ripercussioni sulla circolazione
oceanica globale. Non siamo ancora sulla scala del disastro, ma se continua così
immaginiamo di assistere a sconvolgimenti prima di diventare tanto vecchi da non
potere più andare a fare misure dirette, cioè verso la fine del secolo».
Da tempo gli scienziati hanno individuato negli oceani un sistema di correnti
globali simile a un nastro trasportatore dell’energia solare che giunge sulla
Terra. Molto schematicamente, le acque più calde, meno dense e salate, viaggiano
nelle regioni equatoriali del Pacifico da Est a Ovest; poi passano
all’Atlantico, puntano a Settentrione, dove si raffreddano, si inabissano e
ripercorrono l’itinerario all’incontrario. Un ramo particolare di questo sistema
è dato dalla corrente del Golfo, il cui meccanismo di funzionamento si basa
sulla differenza di temperatura tra la parte equatoriale e quella polare
dell’Oceano Atlantico. Spiega il climatologo Vincenzo Ferrara dell’Enea: «Le
acque calde e meno dense del Golfo del Messico, a causa della forza deviante
provocata dalla rotazione terrestre, vanno verso il Mare del Nord. Giunte a
destinazione cedono calore all’atmosfera, diventano più salate e dense e
sprofondano, per poi tornare al punto di partenza. Grazie a questo meccanismo le
regioni nordeuropee hanno un clima invernale molto più mite di quelle, per
esempio, di Canada e Groenlandia poste alla stessa latitudine». Se l’acqua del
Nord Atlantico diventa più dolce, la corrente del Golfo potrebbe rallentare e
interrompersi, sottraendo i benefici climatici a Nord Europa che, secondo alcuni
modelli previsionali, addirittura precipiterebbe in una nuova glaciazione,
destinata poi a estendersi altrove, a causa di un meccanismo di autoesaltazione
del fenomeno. «I tempi non saranno certamente così brevi, come quelli descritti
dal film "L’alba del giorno dopo" - commenta Ferrara -. Ma il rischio esiste e
va preso in considerazione. Non solo perché, attraverso la limitazione dei gas
serra, forse potremmo essere in tempo ad arrestare il fenomeno, ma anche per
predisporre quelle misure di adattamento necessarie a difenderci nella peggiore
delle ipotesi».
Franco Foresta Martin
21 giugno 2005
Secondo la tesi di due scienziati USA esposta su " Nature " la distruzione
totale avverra' almeno tra un miliardo di anni
Mondo quasi eterno, slitta l'apocalisse- Secondo uno studio del dottor
Ken Caldeira e del professor James Kasting della Pennsylvania State University
le mutazioni del Sole provocheranno un calore infernale, poi un raffreddamento
del globo. gli astrofisici: " ma l' uomo sopravvivera' in altri pianeti, con l '
aiuto dell' ingegneria genetica " . gli errori dei falsi profeti sulla fine del
mondo; secondo il cosmologo Tyler Volk " attenti al prossimo asteroide "
Il riscaldamento globale potrebbe
portare ad un grande raffreddamento in alcune zone della Terra?
Tratto dal rapporto del Dr. Robert B. Gagosian, Presidente e Direttore del
Woods Hole Oceanographic Institution. Pubblicazione a solo scopo divulgativo.
Disastri prevedibili ma inevitabili
06 FEBBRAIO 2004, ORE 15.30 - Nei due decenni appena trascorsi abbiamo
sentito parlare molto dei cosiddetti gas-serra e dell’idea che il nostro pianeta
si stia riscaldando gradualmente.
Un nuovo pensiero però, poco conosciuto e scarsamente apprezzato dai politici e
dai leaders economici, ed anche dalla comunità degli scienziati naturalisti e
sociali, sta prendendo gradualmente credibilità grazie anche ai dati che stanno
man mano convalidando certe ipotesi.
Il Riscaldamento Globale potrebbe attualmente portare ad un grande
raffreddamento in alcune zone della Terra.Se l’atmosfera continuasse a
riscaldarsi potrebbe presto scattare un drammatico ed improvviso raffreddamento
su tutta la regione Nord Atlantica – dove è situato il 60% dell’economia
mondiale.
Con la parola ”drammatico" si intende dire che le temperature medie invernali
potrebbero scendere di 5 gradi Fahrenheit su gran parte degli Stati Uniti, e di
10 gradi nella parte orientale degli stessi Stati Uniti e su tutta l’Europa.
Questo sarebbe sufficiente a far scendere i ghiacciai dalle Alpi e, d’inverno, a
far gelare le acque di fiumi e di porti e a stringere le linee navali nord
atlantiche nella morsa del ghiaccio.
Tutto ciò sarebbe sufficiente a sconvolgere le linee di trasporto terrestre ed
aereo, a causare una enorme, ed esponenziale, crescita del fabbisogno di energia
elettrica, e a costringere le tecniche di coltura agricola e di pesca a grandi
ed urgenti cambiamenti.
In poche parole il mondo e l’economia mondiale dovrebbe cambiare drasticamente.
Quando si dice “improvvisamente” si intende dire che questi cambiamenti
potrebbero avvenire nell’arco di una decade, e che potrebbero persistere per
centinaia di anni. Tutti noi potremmo assistere a questo cambiamento nella
nostra vita, e i nostri figli, nipoti e pronipoti potrebbero ancora doversi
confrontare con essi.Quando si dice “presto” significa che negli anni passati,
compreso quest’ultimo, abbiamo assistito a sinistri segnali che ci indicano che
potremmo aver imboccato la strada verso un pericoloso precipizio.
Studiando il clima della Terra nel passato possiamo evidenziare come ci siano
stati dei cambiamenti molto rapidi, e non graduali, da un tipo di clima
all’altro. Quello di cui stiamo parlando non è niente di nuovo, è già accaduto
nel passato della Terra e accadrà nuovamente. La chiave di lettura per capire
questi "scatti climatici" sta nell’osservare che il clima terrestre è creato e
mantenuto da un sistema dinamico di parti interagenti ed in movimento.La prima,
quella di cui sentiamo più parlare dai meteorologi e che siamo abituati a tenere
sotto osservazione tramite i satelliti, è l’atmosfera che, come sappiamo, fa
circolare il calore e l’umidità intorno al globo. Ma in realtà l’atmosfera
ridistribuisce solo metà dell’energia che la Terra riceve dal Sole. L’altra metà
viene trasportata intorno al nostro pianeta da un sistema di circolazione
altrettanto importante ed imponente, ma meno conosciuto: gli oceani.L’oceano
muove enormi quantità di calore in tutte le parti della Terra come fa l’impianto
di riscaldamento o di raffreddamento nelle nostre case.
L’atmosfera e gli oceani sono partner paritari nel creare il clima terrestre,
solo che l’atmosfera è una lepre, mentre l’oceano è una tartaruga. I cambiamenti
rapidi della circolazione atmosferica causano tempeste, irruzioni fredde ed
ondate di calore, che possono durare svariati giorni. Gli oceani, d’altro canto,
possono impiegare anni, decenni o anche millenni perché avvenga una completa
ridistribuzione. Ma l’oceano è una grande tartaruga, esso immagazzina calore
1000 volte di più che l’atmosfera. Così i cambiamenti nella circolazione degli
oceani possono occupare la scena planetaria su larga scala e per lungo tempo. Un
esempio a cui siamo familiari è El Niño. Ogni 3-5 anni, le condizioni oceaniche
cambiano, e le temperature superficiali della parte orientale del Pacifico
tropicale diventano più calde.
Anche l’atmosfera sopra l’oceano cambia. El Niño ricombina il modo di
circolazione dei venti e delle precipitazioni, causando effetti distruttivi come
siccità, inondazioni, tempeste ed incendi di foreste. Non vogliamo sottovalutare
El Niño e tutti i suoi effetti disastrosi che, purtroppo, causano sofferenza e
distruzione per miliardi di dollari, ma El Niño ha una durata relativamente
breve, uno o due anni. I cambiamenti a cui ci stiamo riferendo riguardano il
Grande Nastro Trasportatore Oceanico, che è il maggiore sistema di circolazione
di calore di tutto il pianeta.La grande Corrente del Golfo, nell’Atlantico, è
parte di questo sistema, essa trasporta l’equivalente, in volume, di 75 fiumi
come il Rio delle Amazzoni, portando il calore assorbito ai tropici, prima lungo
la costa orientale degli Usa, e poi ad est, verso l’Europa. Quando la calde e
salate acque della corrente del Golfo, raggiungono latitudini più fredde cedono
il loro calore all’atmosfera. L’atmosfera nella regione nord atlantica si
riscalda fino a 10 gradi Fahrenheit. I venti prevalenti trasportano il calore
verso est fin dentro l’Europa.
Questo spiega anche uno dei motivi per cui Londra sia più calda di Calgary, che
si trova alla sua stessa latitudine, e di Edmonton, e perché abbia inverni più
caldi di New York, che si trova centinaia di chilometri più a sud.
Quando le acque della Corrente del Golfo raggiungono il Labrador, la Groenlandia
e gli altri mari nordici, perdendo il loro calore, diventano più fredde e dense.
Esse, inoltre, sono anche relativamente salate (data l’elevata evaporazione
subita alle latitudini tropicali). L’acqua salata è più densa dell’acqua dolce,
così l’intera massa salata e raffreddata inizia ad immergersi verso le
profondità oceaniche. Quando questa massa di acqua fredda raggiunge gli abissi
essa fluisce nelle profondità oceaniche dall’Atlantico settentrionale verso sud
fin nell’Atlantico Meridionale. La discesa di questa enorme volume di acqua
salata e fredda fornisce una spinta al Grande Nastro Trasportatore, formando
inoltre un “vuoto” in superficie che viene prontamente riempito da nuova acqua
calda e salata dalle latitudini meridionali verso nord.
La grande maggioranza di noi crede che il sistema climatico terrestre abbia
sempre funzionato in questo modo e che sempre funzionerà allo stesso modo.Ma
questo non è vero.Infatti il Nastro Trasportatore Oceanico ha già smesso di
funzionare in passato.
Da carotaggi fatti nei ghiacciai Groenlandesi e dallo studio dei sedimenti
organici stratificatisi nei fondali marini si è scoperto che 12800 anni fa le
acque Nord Atlantiche si raffreddarono drammaticamente. Questo raffreddamento
delle acque avvenne nel giro di un decennio e di conseguenza si raffreddò
l’intera regione Nord Atlantica, il freddo durò per 1300 anni. Questo periodo è
chiamato Younger Dryas, ed è solo uno dei periodi in cui il clima della Terra è
cambiato molto rapidamente da condizioni di caldo a condizioni di freddo.
Ci sono state continue interruzioni e ripartenze nel Nastro Trasportatore.Queste
transizioni avvengono nel giro di 3-10 anni. I periodi freddi sono durati da 500
a 1000 anni circa. Tali oscillazioni nelle temperature dell’oceano sono avvenute
con regolarità. L’ultima avrebbe causato la piccola era glaciale che dal
medioevo fino al 1840 causò un forte raffreddamento proprio sull’Europa con
conseguenze anche nel resto del pianeta.
Cambiamenti repentini nel clima europeo, ma di minore entità, sarebbero
riconducibili, comunque, anche al solo indebolimento della Corrente del Golfo.
Un altro modo di guardare il sistema climatico della terra è quello di vederlo
come un semplice e continuo sistema di bilanciamento. Come la maggior parte dei
sistemi dinamici, la Terra ricerca uno stato stabile. E cercherà di restare
nello stesso stato finché non interverrà qualcosa a cambiarlo. La causa del
malfunzionamento, che in realtà potrebbe essere, lo stesso, inquadrato in
un’oscillazione di compensazione del sistema dinamico globale più ampia, sono le
cosiddette “acque fresche” (le acque dolci che si riversano in mare). Se si
riversa troppa acqua dolce, dovuta all’aumentata portate dei fiumi, allo
scioglimento dei ghiacciai artici (diminuiti in volume del 40% nelle ultime
decadi), il risultato sarà quello di desalinizzare l’acqua del Nord Atlantico
rendendola meno densa e fermandone l’inabissamento. Quindi la Corrente del Golfo
rallenterà o devierà più a sud, e gli inverni nella regione Nord Atlantica
saranno significativamente più freddi.
Ora ecco l’allarme. Negli anni passati i monitoraggi e le analisi fatte dagli
oceanografi hanno evidenziato una desalinizzazione crescente delle acque Nord
Atlantiche, specialmente nell’ultima decade. Nuovi dati del Woods Hole
Oceanographic Institution e dei colleghi del British Centre for Environment,
Fisheries, and Aquaculture Science, hanno riportato importanti cambiamenti di
salinità fin dal 1960.
Il Nastro Trasportatore sta portando sempre più acqua dolce nelle profondità.
Le profondità possono assorbire una grande quantità di acque fresche, come una
spugna.
Ma fin dal 1970 l’equivalente di 20 piedi extra di acque fresche di superficie
nel Nord Atlantico è stata trasportata negli abissi, e in modo maggiore negli
anni 90.
Una spugna satura per tre-quarti può assorbire ancora acqua. Ma quando la spugna
sarà completamente satura non potrà più assorbirne. Ad un certo punto
l’Atlantico Settentrionale non assorbirà più acque dolci ed inizierà ad
accumularle in superficie. Quando questo accadrà il Grande Nastro Trasportatore
si sarà inceppato. Questi recenti segnali di variazione della salinità
dell’oceano Atlantico Settentrionale e la diminuzione delle temperature della
Corrente del Golfo, anche negli ultimi anni e mesi, rappresentano il più grande
e drammatico cambiamento nelle proprietà dell’oceano che mai siano sate misurate
in tutti gli oceani del globo.
Misurazioni effettuate nel Mare Groenlandese indicano un rallentamento
nell’affondamento della corrente del 20% rispetto agli anni 70 ed una
diminuzione delle temperature costiere. A quale percentuale si fermerà il
meccanismo? Al 25 %? Al 40%? Ma quello che è sicuro è che il cambiamento sarà
repentino, perché, se le correnti in affondamento rallentano, meno acqua calda e
salata del Golfo potrà affluire, accelerando notevolmente il processo fino ad un
improvviso “spegnimento”. Nel Febbraio 2002 ad un Meeting Mondiale di
Oceanografi, nuovi dati sulla desalinizzazione del Nord Atlantico hanno spinto
gli scienziati ad affermare che i livelli di densità si stanno avvicinando
considerevolmente al punto critico in cui l’acqua smetterà di affondare. Tutto
questo mentre anche le ultime rilevazioni satellitari mostrano una crescente e
continua anomalia termica negativa nelle acque della Corrente del Golfo.
di Massimiliano Santini
Nubi inquinate e raffreddamento del clima
L'inquinamento atmosferico, responsabile del riscaldamento del clima della
Terra, può però in certi casi avere anche un effetto contrario. Questa
affermazione, apparentemente paradossale, viene confermata da un articolo
pubblicato sul numero del 15 giugno 2001 della rivista scientifica Science, che
evidenzia i risultati di uno studio internazionale effettuato da un gruppo di
ricercatori, del quale fa parte la dr.ssa Maria Cristina Facchini dell'Istituto
di Scienze dell'Atmosfera e dell'Oceano del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR)
di Bologna.
Le nubi, come si sa, costituiscono uno dei fattori più importanti del sistema
climatico terrestre, come evidenziato anche dall'ultimo Rapporto dell'Intergovernmental
Panel on Climate Change (IPCC), pubblicato proprio in questi giorni. Le
modificazioni indotte dalle attività dell'uomo sulle proprietà delle nubi
possono causare un raffreddamento del clima terrestre che, in alcune regioni,
può in parte compensare l'effetto di riscaldamento dovuto ai "gas serra".
Le proprietà radiative delle nubi sono infatti influenzate dalle particelle
atmosferiche prodotte dalle attività umane. L'effetto delle emissioni inquinanti
di particolato è quello di dare luogo alla formazione di nubi contenenti un
numero maggiore di goccioline di dimensioni più piccole rispetto al caso di nubi
non contaminate, e questo rende le nubi stesse più riflettenti, causando un
minore flusso di radiazione solare verso la superficie terrestre e quindi un
conseguente raffreddamento.
La valutazione quantitativa di questo effetto delle nubi nel sistema climatico
terrestre è però nell'ultimo Rapporto IPCC ancora molto incerta, stante
l'attuale scarso livello delle conoscenze sul fenomeno. Gli autori dello studio
evidenziano come le attuali valutazioni dell'IPCC sulla modifica delle proprietà
delle nubi causate dal particolato emesso dalle attività umane non tengano conto
di alcuni importanti fattori legati alla composizione chimica delle particelle
inquinanti di origine antropica. Alcune preliminari simulazioni numeriche
inducono a pensare che l'effetto di raffreddamento del clima dovuto ai
cambiamenti delle proprietà delle nubi indotti dalle attività umane sia ancora
maggiore di quanto stimato nel Rapporto IPCC.