LA PRIMA GUERRA RUSSO-CECENA
Nella seconda metà degli anni ottanta si acuì la crisi dell’URSS. In tutta l’URSS i movimenti delle nazionalità oppresse crebbero dando vita a manifestazioni e lotte, fino a che nel 1990 a catena le repubbliche federate dell’URSS dichiararono la propria sovranità, riconosciuta dalla Russia nel 1991, cioè dopo la presa del potere da parte di Boris Eltsin.
Anche in Daghestan e Cecenia-Inguscezia piccoli movimenti nazionalisti ed islamisti, volevano ottenere l’indipendenza; ma essendo incorporate alla Repubblica Russa, Eltsin non la concesse.
In Cecenia, però, il generale dell’aereonautica Dudaev, nato in Asia centrale durante la deportazione, si mise al comando di un gruppo di nazionalisti armati e prese il potere a Grozny nel settembre del ‘91. Vinto poi nettamente il referendum per l’indipendenza, il 28 ottobre Dudaev dichiarava l’indipendenza della Cecenia-Inguscezia.
Eltsin non lo accettò e dichiarò lo stato d’emergenza in Cecenia; ma grazie alla mobilitazione dell’opinione pubblica russa, dovette annullarlo. Dudaev vinse, dunque, senza nemmeno un morto.
Nel marzo 1992 l’Inguscezia proclamò una propria repubblica e aderì al trattato della nascente Federazione Russa. La Cecenia invece rifiutò l’adesione.
Per indebolire la repubblica ribelle, Eltsin organizzò un blocco economico che mise in ginocchio l’economia cecena: la crisi fu tale che 400.000 russi residenti in Cecenia emigrarono.
Nel dicembre 1994 Eltsin inviò 20.000 soldati russi appoggiati da carri armati e aereonautica ad invadere la Cecenia. La
popolazione locale resistette eroicamente, e i soldati russi disertarono in massa.
Mentre gli USA dichiaravono che si trattava di un affare interno russo, in tre mesi si erano registrati 20.000 morti e 30.000 rifugiati ceceni in Daghestan.Nel febbraio 1995 i russi riuscirono alla fine a completare la conquista di Grozny, precedentemente rasa al suolo dai bombardamenti.

gennaio1995 un combattente ceceno nelle vicinanze del palazzo presidenziale di Groznyy

La commissione per i diritti umani dell’ONU adottò una dichiarazione, con il consenso del rappresentante russo, per criticare “l’uso sproporzionato della forza”.Ma a marzo il Fondo Monetario Internazionale approvò un prestito di 6 miliardi e 400 milioni di dollari alla Russia bloccati un mese prima a causa dell’invasione della Cecenia.
Quando ormai la resistenza cecena sembrava essere stata schiacciata, nel giugno 1995 un centinaio di guerriglieri capitanati da Shamil Bassaev giunse a Budënnovsk, città russa a 120 Km a nord della Cecenia, occupando un ospedale della città e prendendo in ostaggio un migliaio di medici e pazienti. I guerriglieri ceceni chiedevano la fine dei combattimenti, il ritiro russo e l’amnistia. I soldati russi assaltarono l’ospedale provocando una carneficina, senza riuscire ad occuparlo. Il primo ministro Cernomyrdin decise di trattare: i guerriglieri tornarono in patria e cominciarono le trattative di pace. La guerra aveva prodotto sino a quel momento 400.000 rifugiati.
Nel maggio 1996 Eltsin, avendo bisogno della pace per vincere le imminenti elezioni presidenziali, concordò coi ceceni un cessate il fuoco e un accordo che prevedeva ad agosto il ritiro delle truppe russe. Ma appena rieletto Eltsin si rimangiò l’impegno: a luglio partì la repressione a Grozny con un massacro di civili e l’imposizione del coprifuoco. Ma i ceceni riguadagnarono terreno e ad agosto controllavano in pratica la capitale. La fine di quasi due anni di guerra, costati 40.000 morti e la distruzione di città e villaggi, fu decretata dall’armistizio firmato in quello stesso agosto e dall’accordo di pace del novembre seguente, che prevedevano il ritiro delle truppe russe e dopo due anni un accordo per lo status definitivo della Cecenia. Nel gennaio 1997 si svolsero con osservatori internazionali le elezioni presidenziali in Cecenia:
vinse Aslan Maskhadov, mentre Bassaev ottenne il secondo posto.

Aslan Maskhadov


I perché della guerra del 1999

Per comprendere l’esplosione nel 1999 di una nuova terribile guerrra in Cecenia è necessario tener presente il contesto sociale e politico russo, che ha alimentato in modo determinante il complesso intreccio di tensioni che attraversano tutto il Caucaso, e che in Cecenia hanno trovato un punto di convergenza e di coagulazione, esplodendo in forma violenta.
La costituzione adottata dalla Federazione Russa nel 1993, con un referendum definito truccato da molti osservatori, ha fatto da cornice legale ad un potere autoritario e centralistico: la concentrazione di tutti i poteri nelle mani del presidente è stata il terreno fertile in cui si è sviluppata la corruzione. Interi settori dell’economia sono stati infatti concessi a gruppi locali di potere distribuiti sul territorio in cambio del loro appoggio politico; ma la forza di questi clan ha permesso loro di intraprendere indisturbati i più redditizi traffici illeciti, indebolendo le istituzioni federali, diffondendo la corruzione ed il fenomeno del banditismo in tutta la Russia.
In particolare, in Cecenia, nel periodo che trascorse tra la firma dell’armistizio e l’elezione di Maskhadov a presidente, l’esercito si spaccò in diverse fazioni che, sfruttando l’assenza di un’autorità in grado di mantenere il controllo del territorio, cercarono di imporre il loro potere.
Sono state queste bande armate a spartirsi le attività più redditizie, lecite (banche, petrolio, caviale, alcool, tabacco) e non (armi e droga), entrando però in conflitto con gli interessi dei clan appoggiati da Mosca. La guerra tra bande per il controllo delle risorse della Cecenia ha avuto indubbiamente un grande peso sulle decisioni di Eltsin di dare inizio alla campagna militare del 1999.


1996: ritorno a Groznyy

Shamil Bassaev


Ed uno dei gruppi armati più potenti in Cecenia allo scoppio della guerra era sicuramente quello dei wahhabiti capeggiati da Shamil Bassaev. I leader di questa milizia, ispirata ad una setta islamica puritana fondata in Arabia nel XVIII secolo, ricevettero appoggi ampiamente documentati sia dal GRU (il servizio segreto militare russo), sia dall’alta finanza moscovita (ed in particolare da Boris Berezovski, vicino alla famiglia Eltsin), probabilmente con l’intento di indebolire le istituzioni cecene e riprendere quindi il pieno controllo della piccola repubblica.
La diffusa illegalità e la debolezza dello stato ha inasprito le tensioni sociali ed economiche in Cecenia, esponendo i giovani alle tentazioni del nazionalismo e dell’integralismo islamico.
Si deve anche tener conto della ormai scricchiolante integrità territoriale della Federazione Russa, minacciata dalle tentazioni separatiste di altri territori islamici (Tatarstan, Bashkortostan e Daghestan) e buddisti (Kalmukkia e la Burjatia), ma soprattutto corrosa al suo interno da malgoverno, corruzione e criminalità. La guerra in Cecenia è stata uno straordinario "collante" per scongiurare, o più probabilmente solo rimandare, il pericolo della disgregazione della Federazione.


In particolare l’importanza strategica del Caucaso per la Russia è dovuta ai forti interessi economici legati al transito di oleodotti e gasdotti. Il gas naturale e il petrolio che dal Mar Caspio raggiungevano l’Europa erano sotto l’esclusivo controllo delle grandi compagnie russe, contribuendo nella misura del 12% al PIL dell’intera Federazione Russa. Ma l’apertura nell’aprile del 1999 di una nuova pipeline in Georgia e Azerbaigian sotto la protezione della Nato e i gravi problemi di sicurezza nella regione nord caucasica minacciavano seriamente gli ingentissimi introiti delle compagnie petrolifere russe. Anche questi enormi interessi economici e di rilevanza geopolitica possono aver spinto il presidente Eltsin ad attaccare, pochi mesi dopo, la Cecenia. La seconda guerra federale in Cecenia Il presidente ceceno Maskhadov, a capo della corrente nazionalista moderata, dovette immediatamente fronteggiare le due potenti fazioni dell’esercito ultranazionalista ed islamista, capeggiata da Bassaev, rischiando prima lo scontro armato e cercando poi una pericolosa collaborazione. Nel marzo del 1999 la Cecenia era nel caos, in mano alle bande terroristiche e criminali. Nell’agosto 1999 una colonna di 1200 ceceni sotto la guida di Bassaev occupò indisturbata alcunivillaggi del sudovest della repubblica del Daghestan al fine di costituirre uno stato islamico indipendente. Il tardivo intervento dell’esercito russo costrinse Bassaev al ritiro. Ma a settembre era pronto riprovarci in un’altra zona.

 Sempre a settembre, una serie di attentati dinamitardi a Mosca ed in altre città russe  provacò circa 300 morti. Gli attentati non furono mai rivendicati, ma le autorità russe, senza alcuna prova, non esitarono a dichiararne la matrice cecena. Ancora oggi non si è fatta luce su quelle stragi, ma il particolare tipo di esplosivo impiegato e la confessione di Aleksei Galtin, un ufficiale del GRU, al giornale inglese "The Independent" sembrerebbero indicare un coinvolgimento dei servizi segreti russi. E dal 1998 era Vladimir Putin il capo dei servizi segreti federali. Candidatosi alle elezioni presidenziali del 2000, appoggiato da Eltsin, aveva fatto della guerra in Cecenia per “il ristabilimento di legge ed ordine” uno dei temi elettorali su cui puntare maggiormente: è evidente quanto abbia potuto trarre vantaggio dalle crescenti tensioni sulla questione cecena. Ma perché questo tema facesse veramente presa sul popolo russo fu necessaria una campagna mediatica di disinformazione e criminalizzazione dell’intero popolo ceceno sistematica e martellante.

Affinchè nessuno documentasse le atrocità commesse nel corso della nuova campagna militare contro la Cecenia, iniziata il 23 settembre, Eltsin fece chiudere le frontiere della piccola repubblica secessionista a qualsiasi osservatore o giornalista. Il popolo russo non sapeva quindi che tra i 15.000 e i 20.000 soldati russi stavano morendo in Cecenia, portando i costi in vite umane alle dimensioni uguali o anche peggiori di quelli della guerra in Afghanistan. Non sapeva delle disumane violazioni dei diritti umani che stavano perpetrando le proprie truppe. L’unica cosa su cui erano informati erano i continui attentati delle milizie cecene, perché questo serviva a giustificare il grande sforzo bellico in nome dell’unità nazionale e per la repressione dell’angosciante minaccia terroristica. All’inizio dell’ottobre 1999 i russi isolarono il confine con il Daghestan e la Cecenia ed occuparono il nord della Cecenia fino al fiume Terek dopo intensi bombardamenti. Oltre 120.000 ceceni si rifugiarono in Inguscezia. Nonostante Maskhadov avesse sempre condannato le azioni  degli “estremisti”, Mosca ne discononobbe la legittimità. Le forze federali russe invasero quindi l’intera Cecenia, provocando il massacro di altri 80.000 - 100.000 civili, mentre continuava la sparizione nelle fosse comuni di migliaia di innocenti e venivano riaperti i campi di concentramento. Grazie anche ai propagandati successi militari in Cecenia, nel marzo del 2000 Putin vinse nettamente le elezioni. La riconquista tecnica, in senso militare, della Cecenia era cosa fatta attorno all’aprile del 2000.

Le truppe russe entrano a groznyy (palazzo presidenziale in secondo piano) nel febbraio del 2000

Ma ancora oggi le perdite, anche per i russi, non sono finite: la zona montagnosa nel sud della Cecenia rimane sempre sotto il controllo dei guerriglieri ceceni che però non sono in grado di riconquistare Grozny e le pianure capillarmente presidiate dalle forze armate russe.
La guerriglia, i rapimenti e soprattutto gli attentati terroristici dei fondamentalisti islamici ceceni interessano episodicamente anche i nostri mezzi di informazione, che hanno spesso preferito semplificare l’immane tragedia di un intero popolo come una delle tante guerre al terrorismo succedutesi dopo l’11 settembre 2001.


Crimini di guerra
Le gravi violazioni dei diritti umani avvenute nel corso della seconda guerra in Cecenia sono state documentate non solo da alcune organizzazioni non governative (tra cui la russa Memorial, Amnesty International e Human Rights Watch) ma anche nel rapporto del 5 aprile 2000 dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Mary Robinson. In questo rapporto, passato inosservato sui mezzi di informazione italiani e disponibile in rete all’indirizzo www.reliefweb.int, sono documentati gli abusi e le violenze compiuti dall’esercito federale russo e dalle milizie cecene. La Robinson sottolinea inoltre la necessità di una risposta più consistente da parte delle autorità della Federazione  Russa per individuare e processare i responsabili dei crimini di guerra, e auspica una soluzione pacifica del conflitto attraverso un negoziato. Ma negli anni successivi gli organismi internazionali non sono riusciti a condizionare la Russia di Putin. Anche se continua ad aumentare la preoccupazione di Europa e Stati Uniti per le violazioni  dei diritti umani perpetrate in Caucaso, le pressioni per una soluzione politica del conflitto ceceno sono ancora deboli. Così, il 17 aprile 2003 la commissione ONU per i diritti umani ha rigettato per il secondo anno consecutivo una bozza di risoluzione per la condanna delle violazioni dei diritti umani in Cecenia proposta dai rappresentanti dei Paesi europei e votata anche dagli USA. La Cecenia non è pacificata Davanti a questa situazione di genocidio e totale abbandono il popolo ceceno si sente ridotto alla disperazione. E mentre la sua grande  maggioranza è stremata e cerca solo di sopravvivere, una piccola parte di esso si sta sempre più convincendo, seguendo probabilmente la lezione palestinese, che l’unica carta da giocare rimasta sia quella del terrorismo kamikaze. E’ così che si giunge al famoso assalto al teatro di Mosca, il 23 ottobre 2002, e agli attentati suicidi sia in Cecenia che a Mosca che continuano a succedersi. Per mantenere il consenso delle potenze occidentali ora Putin si presenta come garante di democrazia e dei diritti civili in Russia e in Cecenia con le parole d’ordine: “referendum sulla nuova costituzione”, “elezioni presidenziali”, “ampia autonomia” e più recentemente “amnistia”.
La nuova costituzione prevede che il Presidente ceceno potrà essere deposto in qualsiasi momento da quello Russo; il parlamento ceceno potrà essere sciolto in qualsiasi momento dalla Duma Russa; solo la lingua Russa sarà quella ufficiale; tutti gli ufficiali delle procure cecene saranno designati esclusivamente dal Cremlino.
Al referendum hanno potuto partecipare 36.000 soldati russi, a nessun ceceno è stato concesso di controllare e visionare il conteggio dei voti. Tenendo conto dell’assenza di media liberi e di un dibattito pubblico, il risultato del 96% di schede favorevoli alla nuova costituzione ricorda le dimensioni di quello delle elezioni presidenziali irakene del 2002 (vinte da Saddam Hussein col 99% dei voti). Queste sono le condizioni in cui si sono tenute anche le elezioni presidenziali che
hanno visto vincitore il candidato indicato da Mosca, per altro l’unico presentatosi. Nonostante “l’ampia autonomia”, lo sfruttamento delle risorse naturali da parte delle istituzioni federali sarà possibile senza alcun consenso da parte di alcuna autorità cecena; le organizzazioni politiche dovranno fare parte di partiti esistenti su tutto il territorio Russo (cioè non si possono fondare partiti locali); la cittadinanza cecena è abolita.
Per ora, inoltre, l’offerta di amnistia è una mera proposta di resa incondizionata.

Le condizioni dei profughi


Secondo le stime del ministero russo per le situazioni di emergenza il numero dei profughi attualmente ospitati nei campi dell’Inguscezia si aggira intorno alle 180mila unita’. Qualche migliaio di profughi ha trovato rifugio anche negli altri territori che confinano con la Cecenia e parecchie decine di migliaia di persone si trovano nei campi profughi della Cecenia.
I campi in Cecenia sono quelli dove il cibo, i vestiti e le cure mediche arrivano più difficilmente, poiché per problemi di sicurezza e per ostacoli burocratici gli operatori umanitari hanno grossissime difficoltà a muoversi all’interno dei confini ceceni.
Le organizzazioni internazionali presenti sul territorio hanno pochissimo personale estero e utilizzano molto personale locale, proprio perché gli stranieri sono molto più visibili ed è per loro maggiore il rischio di attentati e rapimenti. Persino l’UNHCR, l’alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, sta cercando di affrontare l’emergenza cecena evitando una presenza diretta sul territorio del personale internazionale e affidando gli aiuti umanitari a referenti locali distribuiti sul territorio.
I bambini sono una percentuale altissima della popolazione dei campi profughi, e sono quelli che hanno maggiormente subito i danni psicologici causati dalla guerra e dalla violenza. Dopo la prima guerra in Cecenia, su una popolazione di circa un milione di abitanti c’erano circa 20 mila bambini che avevano perso a causa della guerra almeno uno dei  due genitori. Questa cifra è purtroppo aumentata notevolmente dopo il secondo conflitto, anche se non ci sono ancora cifre ufficiali.
Il problema dei profughi non è certamente di facile soluzione, anche in considerazione del fatto che interi villaggi sono stati completamente rasi al suolo, e i sopravvissuti ai raid aerei compiuti su quei villaggi ormai non hanno più una casa dove ritornare. La stessa situazione riguarda anche molti cittadini di Grozny.

Conclusioni
La guerra in Cecenia, con le sue decine di migliaia di vittime civili e centinaia di migliaia di profughi, è tutt’altro che un semplice problema interno della Federazione Russa. Gli effetti di questa combinazione esplosiva di interessi criminali, politici, economici, strategici e legati al fondamentalismo religioso possono essere tali da compromettere la stabilità di tutta la regione del Caucaso e dell’intera Europa Orientale. L’incapacità della diplomazia internazionale di intervenire a favore della popolazione cecena è inoltre sintomo evidente della progressiva erosione della forza dell’ONU e dell’impossibilità di imporre il rispetto della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo a Paesi con tanto peso geopolitico, economico e militare. I legami politici, economici e militari tra Italia e Russia sono ormai troppo saldi per poter sperare che il nostro Paese eserciti delle forme efficaci di pressione sulla Federazione Russa per il raggiungimento di una pace dignitosa in Cecenia. Sostenendo pienamente l’operato del presidente Putin, anche l’Italia viene ad essere complice della perdurante situazione disperata del popolo ceceno.