L' Amazzonia è una foresta pluviale, in gran parte compresa in territorio brasiliano, che copre una superficie pari al 42% di quella dell'Europa. Dall'estremo limite occidentale della foresta, ai piedi delle Ande, fino alla rive dell'Atlantico vi sono 3200 km, all'incirca la distanza tra Roma e l'Islanda. Il Rio delle Amazzoni, inoltre, possiede il più vasto bacino del mondo ed è il secondo fiume per lunghezza dopo il Nilo.

A ragione è stato detto che l'Amazzonia è una specie di pianeta a sé stante. La foresta pluviale vi prospera nelle sue forme più ricche: il sottobosco è molto sviluppato, le fronde degli alberi e la vegetazioni aerea, formano una copertura pressoché continua, che filtra i raggi del sole e mantiene l'ambiente in una penombra perenne, satura di umidità. Qui vivono 750 specie di alberi, 400 specie di uccelli e 125 mammiferi, 100 specie di rettili e 60  di anfibi. E' stato calcolato che in ogni singolo albero vivano 400 tipi di insetti.

Una piantagione di Hevea brasiliensis

Questa foresta costituisce un ecosistema ricchissimo, che si protende dal basso in alto, da terra fino alle cime degli alberi, per oltre 60 metri. E' anche un ecosistema che vive in un terreno assai povero di sostanze: gli scienziati ritengono che la sua esistenza sia il prodotto di un equilibrio, delicato e straordinario, tra un clima molto caldo e umido e un terreno che offre assai meno sostanze nutritive di quelli delle regioni circostanti, resi fertili dalle rocce di origine vulcanica. Quanto il terreno sia povero e l'ambiente delicato lo si è già potuto osservare in passato. La prima volta fu negli anni '20 e '30 quando la Ford - la famosa industria automobilistica statunitense - acquistò aree forestali, fece abbattere la vegetazione spontanea e vi installò  piantagioni di alberi di caucciù (l'Hevea brasiliensis) per ricavare gomma da pneumatici. Le piantagioni non crebbero e l'esperimento fallì. La seconda volta fu negli anni '70, quando si cercò di installare nell'Amazzonia piantagioni di legno pregiato: fu ancora un fallimento. Anche sulla base di queste esperienze molti si chiedono che senso abbia ciò che si sta facendo oggi: distruggere vaste estensioni di foresta amazzonica con il proposito di ricavare terreni coltivabili. Non si è certi di riuscirvi mentre è certo che, nel frattempo, una parte del prezioso ecosistema vada perduta.

 

La foresta amazzonica vista dall'alto

Il governo brasiliano non dà credito alle critiche, nè agli inviti a non deteriorare la foresta. Esso accusa di interferenza nei propri affari interni le associazioni ecologiste, i movimenti di opinione e persino gli organismi internazionali che denunciano i rischi cui va soggetta la foresta pluviale. Dall' altra parte, il Paese ha fortissimi debiti verso l'estero e sta cercando di sviluppare la propria economia. Lo sfruttamento dell' Amazzonia vede anche l'intervento di potenti gruppi economici, che a volte non hanno esitato a ricorrere addirittura al delitto per ridurre gli oppositori al silenzio.

La distruzione della foresta avanza in modo brutale; allevatori e agricoltori appiccano incendi giganteschi: nelle zone lasciate libere nella foresta bruciata sorgono piantagioni e allevamenti. Le popolazioni indigene sono costrette ad abbandonare i luoghi dove vivono da sempre. Parecchie tribù si stanno estinguendo. Prima che cominciassero le distruzioni, dalla foresta amazzonica, grazie alla fotosintesi clorofilliana, proveniva la metà dell' ossigeno prodotto dalla vegetazione del pianeta: una funzione preziosa per mantenere in equilibrio la miscela di gas che compone l'atmosfera della Terra. Ora gli incendi e le distruzioni non soltanto hanno ridotto tale apporto, ma rilasciano ingenti quantitativi di anidride carbonica. Gli scienziati temono che ciò acceleri il processo di riscaldamento dell' atmosfera, contribuendo a cambiare il clima. 

 

 

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