LE ORIGINI
Eva Maria Ibarguren Duarte nacque all'alba del 7 maggio 1919 a Los Toldos
(Buenos Aires, Argentina). La madre Juana Ibarguren svolgeva le mansioni di
cuoca nella tenuta di Juan Duarte, da cui ebbe quattro figlie ed un figlio
(Elisa, Blanca, Erminda, Eva e Juan), ma che non sposò mai, in quanto "el
estanciero" era già sposato e fornito d'abbondante prole legittima. La
condizione d'illegittimità non sembrava pesare ad Evita, almeno fino al giorno
in cui, sulla lavagna della scuola, la sorella Erminda trovò scritto: "Non eres
Duarte, eres Ibarguren!" Le infamanti parole, seguite dai risolini di scherno e
dalle canzonature degli altri bambini, fecero fuggire le due sorelle umiliate.
Poco tempo prima Juana era stata abbandonata da Duarte, e s'arrangiava a vivere
cucendo, su una macchina Singer, abiti su ordinazione per conto di un negozio.
In tal modo, aiutata dalle due figlie maggiori, riusciva a vivere quasi
decorosamente, ma su alcuni punti Juana era ferrea: moralità e pulizia.La
piccola Evita cresceva con un carattere molto particolare: sensibilissima,
sognatrice, nervosa, capricciosa in casa, ma timida, insicura ed introversa al
di fuori delle mura domestiche. Andava soggetta a scoppi d'ira imprevedibili,
che la scuotevano fin quasi a rasentare la crisi nervosa; fisicamente era
minuta, bruna, con una perfetta carnagione color avorio. Durante l'adolescenza
Eva scoprì la passione per il cinema, nel frattempo la famiglia s'era trasferita
a Junín, e venne così a conoscenza di un mondo completamente diverso: quello
delle lenzuola di seta, dei telefoni bianchi, delle pellicce, insomma il mondo
dorato di una Hollywood lontana. Alla sorella Erminda confidava sempre che "da
grande" avrebbe sposato un principe che potesse garantirle quel tipo di vita
tanto lontano dal loro mondo. Occorre anche aggiungere che la vita per le
Ibarguren non era facile neanche nel nuovo paese: la fama della madre le aveva
precedute, molte delle coetanee non avevano il permesso di uscire con loro.
Evita voleva essere diversa, amava il lusso e la bellezza, voleva poter
disprezzare, voleva essere diversa sia dalle sorelle, serie ed inappuntabili, e
che, con il tempo, grazie a questa serietà fecero dei buoni matrimoni. Queste
aspirazioni iniziarono ben presto a condizionare la vita di Eva: a scuola era
una somarella in matematica, ma adorava recitare, nonostante non possedesse un
linguaggio castigato, amava passeggiare lungo il corso la domenica pomeriggio
insieme alla sorella, ma al rientro a casa respingeva le cotolette che la madre
aveva preparate: poteva forse essere grassa una ragazza che si preparava a
diventare una stella? Digiuno forzato quindi, che faceva infuriare la genitrice.
Ma quali buoni partiti esistevano nel paese? Gli inglesi, direttori e dirigenti
delle ferrovie? Da escludere: costituivano una classe chiusa, esisteva solo la
loro razza. Rimanevano i figli dei grandi proprietari terrieri, gli
oligarchi, per i quali, però, la compagnia di ragazze come Evita non era
certo in vista del matrimonio ma del puro e semplice divertimento, sotto ogni
punto di vista. A quindici anni Eva lascia il paese e si trasferisce a Buenos
Aires, con chi? Perché? Varie sono le versioni e le interpretazioni. Essendo
giunto a Junín il famoso cantante di tango Augustín Magaldi, Eva riuscì ad
avvicinarlo ed a parlargli del suo desiderio di diventare attrice e lo supplicò
di portarla con lui nella capitale. Non sappiamo se la giovane partì con la
moglie del cantante, che si trovava a fare anche da "chaperon", oppure divenne
l'amate dell'artista.
Una volta a Buenos Aires le cose non si presentarono affatto facili: il mondo
degli artisti era un mondo spietato, vendicativo, meschino. Imparò a sue spese
cosa significava non avere amicizie importanti, l'essere preda di registi e
attori celebri che esigevano lo "ius primae noctis" dalle attricette sconosciute
e le umiliazioni più impensabili. Il suo primo ruolo fu quello di una cameriera
in "La senora de Pérez", cui seguirono altre particine in opere di secondaria
importanza. Poi, nel 1934 niente, nessun lavoro e nessuna speranza
all'orizzonte. Trovò fortunosamente un ingaggio in una compagnia teatrale, a
condizioni miserevoli e salario da fame. Altro periodo nero fu quello in cui fu
assunta dal regista Suero, detto il Rospo, un essere grasso con gli occhi
sporgenti, il cui letto era un passaggio obbligato per le attrici neo assunte.
Nel 1939 la carriera della giovane donna subisce un'impennata: una compagnia
radiofonica inizia a trasmettere radiodrammi in cui Evita aveva la parte della
protagonista. Da ora in poi sarà famosa, o meglio la sua voce, che farà sognare
le donne argentine, interpretando, di volta in volta, personaggi femminili dal
drammatico destino con inevitabile lieto fine.
L'ASCESA
Nel gennaio del 1943 un terribile terremoto distrusse la città di S. Juan,
diecimila furono i morti accertati, innumerevoli gli orfani. Nella capitale fu
organizzato un festival per raccogliere i fondi destinati alle vittime della
sciagura, a cui avrebbero partecipato le celebrità della capitale. Il 22 gennaio
nello stadio, fra i "vip" era presente anche il presidente Pablo Ramirez con
consorte, il segretario del Lavoro e degli Affari sociali, il colonnello Juan
Domingo Perón, ed il suo vice il tenente colonnello D. Mercante. Anche Eva era
presente, fu un colpo di fulmine tra i due? Forse no, considerato i due
caratteri: Eva sicuramente sarà stata attratta dal senso di forza e di
protezione che Perón sapeva suscitare, dal senso di tranquillità e certezza, che
lei aveva cercato, presente in quel colonnello di ventiquattro anni più anziano
(lei aveva ventiquattro anni, lui quarantotto). Molti anni dopo Perón confessò
che di Evita lo avevano colpito la bontà (ma come faceva a saperla buona se
neanche la conosceva?), e un senso di forza che traspariva da quel carattere
nervoso ed insicuro. Così l'uomo maturo trovava appagante la fervente
ammirazione, quasi adorazione, che la giovane donna gli dimostrava e si
compiaceva di trattarla come una bambola, ruolo che ad Evita doveva piacere
poco. D'altro canto, però, a lei faceva assai comodo avere un amante -
protettore così altolocato, politicamente parlando, e protettivo. Inoltre era un
buon politico anche sentimentalmente: sapeva aggirare molto bene i famosi scatti
di rabbia di Evita, nonostante lei, varie volte, l'avesse definito "vigliacco".
Eppure lui era molto innamorato, ma era un amore tranquillo, lucido, senza
esaltazioni passionali. Fu durante questo periodo che Evita cambiò immagine ed
assunse quella che siamo abituati a vedere, la più famosa. Divenne bionda per
esigenze cinematografiche, ma bionda rimase anche dopo: era un'immagine che
colpiva l'immaginazione della gente. Altro fatto che sollevò chiacchiere e
critiche fu il fatto che Perón si trasferì a vivere in un appartamento contiguo
a quello della sua amante, ma non temeva affatto le malignità perché era, nella
sua diplomazia, maligno a sua volta: provava un particolare gusto nell'imporre
la sua amante ai benpensanti, ridendoci sopra pensando allo scandalo che sarebbe
scoppiato se l'avesse sposata. Inoltre, accorto e tutt'altro che vigliacco,
aveva scoperto in Eva "un animale politico" ancora allo stato brado, ma che
sarebbe stata la giusta compagna la suo fianco, avendo trovato in lei un fiuto
particolare nell'inquadrare le persone, gli stati d'animo e le situazioni.
La posizione politica di Perón era malvista dai democratici, che lo accusavano
di essere un fascista e, non a torto, un ammiratore di Mussolini. Nel 1945 un
colpo dell'esercito obbligò Perón a dimettersi dalle sue cariche e fu arrestato;
ma i capi sindacali ed Evita, che intanto era diventata fervente attivista,
minacciarono uno sciopero generale e organizzarono dimostrazioni di lavoratori.
Fu rilasciato ed i suoi fedelissimi corsero a cercarlo: lo trovarono seduto al
tavolo, tranquillo, in pigiama, mentre Eva, ancora all'oscuro del lieto fine
della vicenda, si torceva le mani dall'angoscia e dall'impazienza. Poco dopo
decisero di sposarsi, ma restava un problema che faceva dannare la futura sposa:
la sua illegittimità, macchia indelebile per la società in cui stava per
entrare. Per prima cosa fece sparire il suo atto di nascita, sostituendolo con
uno falso che la dichiarava nata nel 1922, anno in cui morì la legittima moglie
del padre, in questo modo non era più un'illegittima, frutto di un adulterio;
Duarte, non più Ibarguren. Poi fu la volta del nome proprio: Eva Maria era
inadatto, le figlie di famiglie perbene si chiamavano prima Maria, seguito da un
altro nome. Alla fine si trovò ad essere Maria Eva Duarte de Perón. I due si
sposarono il 22 ottobre 1945, il suo sogno di bambina s'era avverato, aveva
sposato un "personaggio importante e ricco", peccato non avere alcuna
documentazione fotografica della cerimonia. Nel 1946, dopo un'intensa campagna
elettorale, Perón divenne Presidente ed Evita, consorte e "Primera Senora",
s'affrettò a consolidare il suo potere personale, esercitato nell'apparente
ombra del potente marito, e a darsi da fare. Per prima cosa dovette ricreare una
sua immagine per l'imminente partenza per l'Europa, quale rappresentante
ufficiale dell'Argentina. Merita di essere riferito un episodio curioso: Evita
aveva convocato, di primissima mattina, la più grande stilista argentina per
rinnovarle il guardaroba, poi la pregò di prepararle "un abito splendido, come
quello delle regine delle favole". Il capolavoro fu un sogno azzurro di seta con
strass, perline, strascico, un mantello di marabù azzurro lungo due metri. Al
Presidente, giunto all'improvviso, fu chiesto un parere, sperando in una
meravigliata ammirazione: il distratto Perón esclamò "Bello! Ora sembri proprio
uno struzzo!" Rapido il vestito finì in fondo ad una valigia, ma non fu lasciato
a casa. L'8 giugno Evita giunse prima nella Spagna del generale Franco, poi
visitò gran parte dell'Europa, lasciando sbalordito il Vecchio Continente,
uscito da poco da una guerra dolorosa, con lo sfarzo dei suoi gioielli molto
spesso fuori luogo.
Papa Giovanni XXIII |
Non riscosse molte simpatie, la cortesia della signora Franco fu solo di facciata, freddo fu l'incontro a Roma con il papa Pio XII, sornioni i parigini, l'unico a dimostrarle simpatia, pienamente ricambiata, fu un italiano, il nunzio apostolico di Parigi, monsignor Angelo Roncalli, futuro papa Giovanni XXIII. Evita fece anche un salto in Svizzera, per depositare a suo nome, si dice, il capitale degli ex nazisti rifugiatisi in Argentina alla fine della guerra. Dal canto suo Evita mancò completamente di tatto diplomatico verso "gli europei". Rimase indifferente di fronte alle meraviglie artistiche: "Mi commuovo solo di fronte al popolo, non di fronte alle cose inanimate" dichiarò, derise i musei, volle visitare solo i quartieri poveri delle città, cui lasciò somme ingenti per aiutare i veri bisognosi; di contro si dimostrò avida di onori e smaniosa di esibire le sue ricchezze: carica di gioielli in ogni occasione, non aveva alcun problema a tenersi addosso una pelliccia di zibellino per tutto il giorno, nonostante il clima estivo delle capitali europee. Tornata dal viaggio si mise al lavoro seriamente: i diritti femminili ed il voto alle donne furono i primi successi che ottenne, seguiti da fondazioni a beneficio dei poveri e per i lavoratori, per i quali costruì case a non finire, per gli anziani, che mai ebbero una vecchiaia così dolce, per i bambini, memore del suo passato di povertà. Era effettivamente una lavoratrice instancabile: s'alzava la mattina molto presto e riuniva subito intorno a sé la cerchia degli "evitiani" suoi collaboratori. Si vestiva con molta cura, aveva una serie infinita di tailleur le cui giacche erano abbottonate fino al collo perché non indossava camicie, si faceva pettinare, non rinunciava ai gioielli e poi al lavoro. Spesso saltava il pranzo, consistente in una tazza di latte o di mate, per ricevere centinaia di postulanti, per fare sopralluoghi nei quartieri poveri di persona o per controllare l'andamento degli istituti da lei fondati. Era anche molto accorta: sospettando l'invidia del marito di fronte alla sua popolarità, stava ben attenta ad esaltare il Presidente in ogni momento o in ogni occasione apparentemente banale, era come se dicesse "io faccio questo per la gloria del vostro Presidente, io non sono niente di fronte a lui, ma ricordatevi che sono io che lo faccio".
Evita durante un discorso |
La notte non andava mai dormire prima delle cinque della
mattina, due ore di sonno le erano sufficienti, non trascorreva le ore piccole
in feste, ma facendo inventari su inventari delle scorte del suo magazzino che
accoglieva una quantità infinita ed eterogenea di oggetti destinati ai
bisognosi. Fedele agli insegnamenti materni era sempre impeccabile, sempre
curata: non aveva pigiami, usava quello del marito come sorta di protezione
riflessa, non aveva cappotti ma solo pellicce, niente vesti, solo tailleur e
sfarzosi abiti da sera. Com'era esteticamente? Passati gli anni difficili in cui
era stata definita sparuta, era alta un metro e sessantasei, ed aveva dei
rispettabili 92-67-94 cm, almeno prima d'ammalarsi. Il suo cruccio erano la
pancia troppo a "ciambelletta", le gambe che tendevano a gonfiarsi con facilità
e le caviglie grosse. Spesso la domenica mattina s'affacciava al balcone della
casa Rosada davanti alla folla che l'acclamava, vestita e pettinata
perfettamente, ma con un ordinario paio di calzettoni e pantofole ai piedi
"perché tanto non si vedono!". I primi sintomi della malattia vennero confusi
con uno stato di debolezza che la sua crescente anoressia comportava (già, la
fissazione di essere troppo grassa finì con il diventare un'ossessione), ma
durante un intervento d'appendicite i medici scoprirono una realtà molto più
seria: tumore all'utero, carcinoma endofitico, per essere precisi, che doveva
essere operato subito. Evita rifiutò, anzi lanciò la borsetta da sera in faccia
al medico che la implorava di lasciarsi curare: non voleva restare confinata a
letto quando intorno c'era gente che aveva bisogno di lei! Forse, aveva l'oscuro
timore che la si volesse allontanare da quel potere che aveva conquistato così
faticosamente. Le sue condizioni peggiorarono, aggravate dal fatto che non
mangiava quasi niente ed il 3 novembre 1952 fu ricoverata ed operata. Si rimise
lentamente, ma le metastasi del male ripresero a tormentarla pochi mesi dopo. Il
7 maggio 1952, compiva 33 anni, pesava solo trentasette chili ed era
debolissima, ma decisa come sempre. Alcuni testimoni riferirono che si era
trasferita in una camera distante da quella del marito affinché le sue urla di
dolore non lo disturbassero. Una notte, però, Evita cercò di trascinarsi fino
alla camera di Perón, ma questi, vedendola, urlò di terrore gridando: "Levatemi
quella cosa da qui!".
Le stava lontano il più possibile, da qualche anno il loro matrimonio era solo
di facciata, ma alla vigilia della morte Evita volle avere il marito accanto e
stare da sola con lui, dato che si vedevano pochissimo (perché, sostengono
alcuni, Perón amava distrarsi con le adolescenti, da sempre, per lui, fonte
d'attrazione irresistibile). Il 26 luglio, assistita dalla madre e dalle
sorelle Evita morì, mentre Perón, apparentemente impassibile, fumava nel
corridoio attiguo. Il decesso fu annunciato alle 20, 25 e la nazione prese il
lutto: la madre dei Descamisados e delle cabecitas negras, la
Madonna degli umili non c'era più. Resta oscura l'ora esatta della sua morte:
c'è chi dice la tarda mattinata, chi le due del pomeriggio, chi le 19,30.
Fonte: http://www.arcobaleno.net/personaggi/EvitaDuartePeron.htm
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