Frida Kahlo è da annoverare tra i massimi artisti del '900; ma, a differenza di altri maestri, non vi è corrente o scuola che possa contenerne l'irripetibile parabola artistica. L'arte della pittrice messicana, infatti, non sgorga da cenacoli artistici o

Frida Kahlo

simili, ma direttamente dal suo corpo, dal dolore e dal sangue che ne sgorgano fin dalla più tenera età

La sua carriera artistica consta di circa 200 dipinti, per lo più autoritratti,dove l’ artista, come in una sorta di esorcismo, proietta le sue angosce e il suo dolore su un’ altra Frida, in modo da separarsene e allo stesso tempo confermare la sua appartenenza alla realtà; i soggetti hanno quindi forma rigida e convenzionale, con una strana unidimensionalità popolareggiante.

Nata il 6 luglio 1907 a Coyoacán, allora sobborgo rurale di Città del Messico,
Magdalena Carmen Frida Kahlo Calderón fu sempre una rivoluzionaria e un’ innovatrice in ogni aspetto della sua vita,  dalla sua partecipazione alla militanza comunista, alla propria arte, alla sua continua lotta per ridefinire il proprio spazio di essere umano e di donna; e la sua pittura ne è appunto testimone.

Conobbe assai presto la malattia, quando ancora bambina venne colpita dalla poliomielite. La malattia la costrinse a letto per lungo tempo, lasciandola con una malformazione ad un arto inferiore. Ma il vero dramma, che segnerà per sempre la vita e l'opera dell'artista, doveva ancora arrivare. A 18 anni, nel 1925, l'autobus su cui viaggiava venne violentemente investito da un tram. Frida, a causa dell'urto, fu trafitta da parte a parte da una sbarra metallica che le fracassò le gambe e la spina dorsale.

In seguito a questa tremenda esperienza Frida dovette subire una trentina di interventi chirurgici nel corso della sua vita,

Frida e Diego

 travaglio che incise sulla sua esistenza e si rifletté nella sua arte. Queste atroci sofferenze e la forzata immobilità, infatti, l'avvicinarono alla pittura, che in tal modo diviene il tramite e la cura di una vita di patimenti, ma rappresentativa anche di sorprendenti quanto tenaci risalite alla vita.

I risultati di questa "pittura terapeutica" furono a dir poco rivoluzionari: non solo l'artista rappresenta le proprie vittorie sul dolore, marcate da volitivi autoritratti, ma nelle sue tele affiorano vive la passione politica (in rapporti anche controversi con Leon Trotsky), gli amori bisessuali e saffici (anche con la fotografa Tina Modotti), i tradimenti dei partners (in specie da parte del muralista Diego Rivera),
Nel 1929 incontrò e sposò appunto Diego Rivera, col quale condivise il credo comunista che fu  ispirazione per una serie di quadri in cui emerge un’ appassionata identificazione con le radici indigene. Ma il loro rapporto fu come già detto travagliato; infatti affrontarono un divorzio prima di riunirsi definitivamente nel 1940.
"Né Derain, né tu né io siamo capaci di dipingere una testa come quelle di Frida Kahlo", scriverà Pablo Picasso in una lettera a Diego Rivera. Quella di Frida Kahlo, del resto, si dimostra essere una pittura sapientissima nelle allusioni simboliche, in grado di fondere folclore indigeno e intuizioni surrealistiche.
Solo dagli anni Novanta, però, l'artista messicana diventa oggetto di una clamorosa riscoperta negli Stati Uniti: grandi mostre a New York, progetti di film sulla sua vita, spettacoli teatrali e numerose biografie tra cui The Brush of Anguish, ovvero Il pennello dell'angoscia, di Martha Zamora e Frida di Hayden Herrera.
In questo contesto, si sviluppa la rassegna veneziana - curata da Achille Bonito Oliva e Luis Martin-Lozano - che apre con

Le due Frida

Le due Frida (1939) una delle opere più significative della mostra, con la quale l'artista affronta la crisi coniugale con Diego Rivera e la separazione.
Ma certamente, nel vasto repertorio, non sono solo due le Frida che delineano il cosmo allucinato dell'artista. Ecco, allora, Frida nel suo letto di dolore in Henry Ford Hospital o in Senza speranza (1945), oppure, sempre ancora su di un letto quando giace con il corpo insanguinato e ferito da un pugnale. E sebbene si tratti "solo" di Qualche piccolo colpo di pugnale (1935) - recita così il titolo del quadro - di colpi, invece, l'artista messicana ne ha ricevuti parecchi, internamente ed esternamente, in un inferno da non lasciare spiragli di luce, e dove il solo pennello ha rappresentato la forza della speranza e della vita.

Di singolare interesse risulta anche La mia balia e io (1937), dove l'artista è autoritratta sì con un corpo minuto e infantile, ma con un volto adulto, il volto della so

La colonna spezzata

litudine. Solo due quadri presenti in mostra sembrano scostarsi dal clima di sofferenza e inquietudine propri dell'artista: Ritratto di Eva

 Frederik (1931) e Vetrina in una strada di Detroit.
È così che si delinea nell'opera di Frida Kahlo la forma di una pittura vivida e cruda, fatta di icone morbosamente autobiografiche e di scenari impietosi ritagliati dall'inconscio: quadri in cui scorrono sangue, malattia, lacerazioni, organi a vista, incubi di maternità negata, il male oscuro dell'inafferrabile Diego Rivera, del quale sono presenti alcuni autoritratti Autoritratto con cappello, 1907 e Autoritratto, 1954), paesaggi e due nudi, uno della stessa Frida Kahlo e Danzatrice in riposo (1939): entrambi si caratterizzano per la sinuosità delle forme e, il secondo, per il contrasto armonico dei colori.