A differenza di molti altri rivoluzionari del ventesimo secolo, Emiliano Zapata non fu un intellettuale, ma un leader popolare di origine indigena. Nato l’8 agosto del 1879 nel villaggio di Anenecuilco, frazione di Villa de Ayala, stato di Morelos, Zapata fu il penultimo dei dieci figli di una delle tante famiglie impoverite dalle haciendas, le grandi aziende agricole che erano l’asse della modernizzazione promossa dal dittatore Porfirio Díaz. Nel Morelos, si scontravano allora due civiltà: quella degli imprenditori capitalisti  e quella degli indigeni legati alla terra ed al villaggio (pueblo) che conservavano uno spirito indomito ed un forte senso della solidarietà. Emiliano, che parlava spagnolo e nahuatl, la lingua degli antichi messicani, ricevette istruzione elementare fino a quando, rimasto orfano all’età di 16 anni, cominciò a lavorare distinguendosi ben presto come un buon agricoltore ed un grande conoscitore di cavalli. Dotato di una mente inquieta e di uno spirito ribelle, non tardò a conquistarsi una posizione di prestigio all’interno della comunità. Partecipò alla rivoluzione di Francisco Madero per rovesciare il presidente Porfirio Dìaz, ma successivamente si mise a capo di un’insurrezione contro lo stesso Madero ritenendo che il nuovo leader messicano non avesse tenuto fede alle promesse di riforma agraria. Nel 1914 marciò su Città del Messico insieme a Pancho Villa. Grazie alla sua ferma richiesta di restituzione della terra agli indios, Zapata godette di un appoggio incondizionato da parte di queste popolazioni, con le quali formò uno degli eserciti più agguerriti della rivoluzione messicana. Durante la presidenza di Venustiano Carranza, giunse a controllare metà del paese e, nelle zone che dominava, proclamò il Piano Ayala di restituzione della terra agli indigeni. Sconfitto da Alvaro Obregòn si ritirò a Tlaztizapàn, dove istituì una rete di servizi pubblici e scuole indipendente dal governo centrale.
Il suo motto era " Tierra y Libertad " e sosteneva che era meglio morire in piedi che vivere in ginocchio. Morì assassinato in un’imboscata tesagli dal colonnello Jesùs Guajardo, alleato del presidente Carranza, il 10 aprile del 1919.