A
parte gli studi di
etnografi come Claude Lévi-Strauss o Vincent Petrullo, pubblicati il secolo
scorso, nessuno si occupa più di loro: il mondo contemporaneo corre e questa
manciata di indigeni del Brasile è rimasta indietro. I Bororo sono originari del
Mato Grosso. Qui, nella lussureggiante foresta pluviale hanno sempre vissuto
secondo i codici della propria cultura, dedicandosi alla caccia e
all’agricoltura e tramandando di generazione in generazione riti, tradizioni,
identità. La trasmissione di un sapere antico e condiviso da clan e famiglie è
andato sfumando nel corso dei secoli a cominciare dall’esplorazione della
regione dopo la scoperta dell’America. Se paragonata all’invasione del loro
territorio durante il ‘900, l’esplorazione dei conquistadores spagnoli e
portoghesi non ha inciso significativamente su questa popolazione amerinda:
l’impenetrabile foresta ha ostacolato a lungo tempo gli insediamenti europei.
Ma nel XX secolo anche la vegetazione ha ceduto alle necessità della vita
contemporanea. Fette intere del territorio amazzonico hanno lasciato il posto a
coltivazioni e i Bororo sono stati scacciati e uccisi dai brasiliani. Il
contatto con la cultura occidentale ha fatto il resto, portando non solo
innovazioni positive, come il computer ma anche danni come l’alcolismo. Identità
e senso di appartenenza sociale sono fortunatamente difese da un importante
progetto di recupero culturale realizzato da una missione salesiana in Brasile.