La capitale Cinese Pechino Beijing avvolta dallo smog.

 Il riscaldamento globale è un fenomeno provocato principalmente dalle attività umane, che immettono nell'atmosfera grandi quantità di anidride carbonica e polveri sottili che contribuiscono all'aumento delle temperature perchè formano una cappa che non fa uscire il calore emesso dai raggi, provocando il cosiddetto effetto serra.

La maggior parte degli scienziati del mondo sono d'accordo con questa teoria, anche se non mancano gli scettici, coloro che non condividono questa teoria, che mette l'uomo al centro delle cause del surriscaldamento: tra questi c'è chi afferma, come Chris de Freitas, professore alla University of Auckland, Nuova Zelanda, che la temperatura globale non è aumentata in maniera significativa negli ultimi 20 anni; e chi sostiene che il surriscaldamento esiste ma non avrà un impatto negativo sulla società umana.
Secondo altri scienziati, il riscaldamento è un fenomeno naturale, dovuto all'attività solare, alle variazioni dell'inclinazione dell'asse terrestre, ed a fattori in parte sconosciuti. E' quanto sostiene, tra gli altri, l'esimio professor Antonino Zichichi.
Per Richard Lindzen, professore di meteorologia alla Massachusetts Institute of Technology negli USA, invece, non si può dire quale ne sia la causa: i modelli climatici a disposizione sono talmente rudimentali che è impossibile prevederne entità e conseguenze: non rimane che attendere con rassegnata pazienza il corso naturale degli eventi.

Tutti coloro che sono scettici circa la teoria del surriscaldamento sono detti negazionisti e per questi scienziati è scattata una legge internazionale che ha istituito un nuovo reato. Si chiama negazionismo ambientalista. Ne sono colpevoli gli scienziati che mettono in discussione i fondamenti scientifici del protocollo di Kyoto. Gli scienziati che non rispettano la legge, rischiano la sospensione dei fondi per la ricerca.


Ghiacciaio Hymalayano

C'è da dire che le loro teorie hanno tuttavia potuto trovare spazio su alcuni giornali, mentre i climatologi e la letteratura scientifica, come già detto, rimangono fissi sul proprio parere, e danno per scontato che il problema del surriscaldamento del globo sia molto serio: il "negazionismo climatico " è spesso considerato un atteggiamento di scetticismo ostinato, irragionevole, poco documentato. Gli argomenti negazionisti tendono a ripetersi e non si curano delle stroncature: gli autori dei trattati negazionisti sono sempre gli stessi, e si citano e sostengono reciprocamente.

Spiccano le tracce della creatività italica sul negazionismo climatico: "L'abbigliamento leggero dell'uomo" di Similaun, "Le Alpi senza neve attraversate da Annibale", "Le correlazioni fra le temperature medioevali e le crociate". Le posizioni negazioniste italiane non sembrano avere come prima e diretta spiegazione ragioni di natura economica e finanziaria, bensì la difesa di interessi corporativi. Ad esempio la differenza della situazione Statunitense, in cui alcuni episodi di pressione delle lobby dell'industria petrolifera sulle politiche climatiche hanno avuto grande risalto; alla base del negazionismo italiano ci sono ragioni forse più di ordine psicologico e sociologico: la volontà di difendere l'attuale modello di sviluppo senza metterlo in discussione o la ricerca della visibilità che dà il cantare fuori dal coro. Oppure, semplicemente, la pigrizia. "L'uomo non c'entra" è una tesi comoda, evita le grane delle politiche ambientali; obiettivo raggiunto anche dalle successive evoluzioni del pensiero negazionista: "ridurre le emissioni costa troppo" e "il riscaldamento globale fa bene".

Nel 2007 le voci negazioniste sul clima sono diminuite. Un po' è merito dell'IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change), organismo scientifico ONU sui cambiamenti climatici: la pubblicazione del suo Quarto Rapporto di Valutazione, che ha passato in rassegna e riassunto in modo accurato la vastissima letteratura scientifica sull'argomento, è riuscita a far giungere all'opinione pubblica il crescente allarme della comunità scientifica.


Un'isola delle Tuamotu, in Oceania: l'altitudine media di queste isole è di 1 metro, e rischiano di scomparire con l'innalzamento del livello del mare.

Oggi è facile verificare che la stragrande maggioranza della comunità scientifica ritiene alta la probabilità che nei prossimi decenni il pianeta dovrà fronteggiare cambiamenti climatici, originati dalle attività umane, molto pericolosi per le persone e gli ecosistemi che abitano il pianeta.
Senza interventi seri e rapidi sul fronte delle tecnologie e sui modi di consumare energia, di abitare, di spostarsi, ci saranno danni di cui non è ancora possibile valutare interamente la portata. Sappiamo ad esempio che i danni saranno maggiori per i paesi più poveri, quelli con minori risorse per la prevenzione e l'adattamento; o per l'Artico, più colpito dal riscaldamento, o per le isole del Pacifico, in cui più cresce il livello del mare. Ci sono ancora incertezze su quali saranno le conseguenze globali del surriscaldamento del pianeta; potrebbero essere pesanti o più limitate, ma aspettare ad agire potrebbe essere pericoloso.

 

 

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