Un uomo abitudinario

 di Giuliano Baggio

Paolo Coclite era un uomo abitudinario, passava i giorni riordinando la sua casa: un’aggiustatina là, una sistematina lì, una spolveratina qui e così via. Era un uomo profondamente segnato dal suo passato, infatti aveva avuto un’ infanzia particolarmente difficile, noi la definiremmo quasi problematica. Sua madre era anch’essa, tanto per cambiare, molto fanatica, quasi maniacale, per l’ordine: tutto doveva essere perfettamente pulito, doveva avere il proprio posto e quando Paolo, da piccolo, tirava fuori un oggetto, era sempre pressato dalla parlata cadenzata, noiosa di sua madre che gli ordinava di riporlo perfettamente nel suo cantuccio di casa.

 

Ecco perché Paolo Coclite era un uomo strano: faceva colazione alle 8 in punto, dopo essersi alzato alle 7,15; il pranzo era, tutti i giorni, alle 12,15 e la cena alle 21, non sgarrava mai, neanche di un minuto. La sua vita al numero 16 di via Placidi era  esemplare, conforme, liscia e, quel che è peggio, immobile.

Paolo si era chiuso ancora di più in se stesso da quando, un anno prima, era stato investito ed aveva perso un occhio… Ah! I destini della vita; in latino “cocles” significa monocolo!!  Dopo l’incidente non era uscito di casa per dieci mesi, durante i quali aveva meditato più volte il suicidio, voleva morire, andarsene, poiché, pensava, alla gente non sarebbe importato granchè della sua assenza.

Un giorno come tanti altri Paolo uscì di casa; non conosceva più il freddo dell’inverno e si ritrovò le mani gelate, gelate come i suoi pensieri volti, molto spesso, a contemplare la posizione in casa dei suoi oggetti.

Da qualche tempo aveva deciso di riprendere il lavoro presso l’ufficio postale del paese; gli avevano affidato delle mansioni molto ripetitive ed egli si sentiva rassicurato da questo lavoro sempre uguale che svolgeva con ineguagliabile puntiglio. Attraversò come sempre piazza della Libertà ma, svoltato in via Ronchetti, andò a sbattere contro un passante. L’uomo, che dimostrava qualche anno meno di lui, era vestito in modo elegante ma sportivo; era molto abbronzato ed i suoi occhi verdi erano vivaci e intelligenti. “ Paolo, ma sei proprio tu?!” Paolo rimase interdetto.”Non ti ricordi di me? Sono io, Marco, ero seduto proprio dietro di te in classe… 3^ A, liceo Vivaio!” Paolo rimase silenzioso fino a quando i ricordi, nella sua mente, cominciarono a farsi vedere: “Viatore! Ma certo! Come stai?”  “ Io sto benissimo, grazie! Ma perché non andiamo a sederci in quel bel bar all’angolo e ci raccontiamo un po’ di cose?”  “No, assolutamente! Io devo timbrare il cartellino dell’ufficio alle 8,45 precise e mancano solo sette minuti!”  Il suo tono deciso e fermo fece capire a Marco che non era il caso di insistere, così propose la compagnia all’uscita dal lavoro. “Io esco alle 17,30 in punto” disse Paolo “e ti aspetto davanti all’edicola”. “Va bene, ci vediamo più tardi”.

Jörg Waschinki, sopranista

nel ruolo di "Aci", in "Aci, Galatea e Polifemo" di Georg Fr. Händel. Foto: Stefan Gloede

Paolo aspettò Marco per oltre venti minuti ed era già sull’orlo dell’arrabbiatura quando, finalmente, intravide il volto  noncurante del suo amico. Marco lo raggiunse, si scusò per il ritardo che era stato causato- a sua detta- da una donna bellissima che, dimenticandosi dell’appuntamento, aveva seguito per un lungo tratto di strada. I due entrarono nel bar e si sedettero ad un tavolino vicino alla finestra. Marco prese l’iniziativa ed incominciò a raccontare la sua vita, fatta di viaggi avventurosi, amori passionali, lavori molteplici e molto singolari, posti magnifici, esperienze mozzafiato e… “E tu? Cosa hai fatto in questi venticinque anni?” Paolo rimase un’altra volta attonito e senza parole. Davanti alla vita esuberante, estroversa e piena di avventure dell’amico, Paolo si sentì come privo di esperienza, come se non avesse mai vissuto.

Passarono i giorni e i due amici continuarono a frequentarsi.

Per Paolo questa amicizia significò l’inizio di una svolta; con l’aiuto di Marco  cominciò ad aprirsi un po’ di più alla vita, imparò ad andare più in là degli orari, dell’ordine, della conformità; ben presto divenne un uomo nuovo, un uomo che guarda con “più occhi” la realtà che lo circonda, un uomo che riusciva a superare propri limiti e che non perderà più occasioni per essere felice e, naturalmente, per vivere davvero.

Marco, dal canto suo, si era reso conto che, incontrando Paolo, il proprio modo di accogliere la vita  era cambiato, infatti prestava molta più attenzione alle cose che faceva, alle occasioni che gli si presentavano; era diventato più attento e, al contrario di prima, quando i suoi occhi erano rivolti verso il mondo, verso le aspettative, verso le avventure, adesso essi erano più rivolti verso il fondo di sé ed aveva imparato a decidere osservandosi meglio, cercando di capire cosa era giusto fare, cosa era logico fare; non prendere tutto così, solo ascoltando l’istinto… aveva imparato a vivere interrogandosi.