Alla metà del XIX secolo una grande parte degli Indiani d'America era già stata definitivamente allontanata dalla regione che originariamente essi popolavano e avviata in "riserve" sparse in ogni parte degli Stati Uniti. Dovunque passavano i carri dei pionieri o le linee delle ferrovie, gli indiani erano costretti a cedere il passo ai conquistatori della frontiera.
Riserva indiana in Canada |
La teoria del "Destino Manifesto" della giovane America voleva che gli uomini bianchi prendessero possesso delle terre, delle foreste, delle miniere di una nazione che, con l'inclusione della California tra gli Stai dell'Unione (nel 1850), si stendeva ormai dall'Atlantico fino al Pacifico e dal Canada fino al Messico. Allo scoppio della guerra civile, che avrebbe dato al paese la sua unità politica definitiva, vivevano ancora ad ovest del Mississippi circa 300 indiani, quasi la metà di quelli che popolavano l'America all'arrivo dei primi coloni europei. Qui i Sioux, gli Oglala, i Cheyennes, gli Arapaho, i Kiowa, i Comanches, i Navaho e gli Apache cercavano ancora di difendere, dal Dakota dell'Arizona, la loro indipendenza. E' da queste tribù che sarebbero sorti gli ultimi grandi capi destinati a sostenere il finale confronto con i bianchi, ed è attorno a queste figure leggendarie che sarebbe nata la moderna epica del West e della lotta contro i Pellirosse così come noi l'abbiamo conosciuta e rivissuta attraverso la letteratura e il cinema del nostro secolo. Ma è stato un mito alimentato da tutti i pregiudizi dei conquistatori e deformato dall'orgoglio di una razza che era convinta di aver portato nel Nuovo Mondo i frutti migliori della sua "civiltà". Non è un caso, perciò, che la nuova storiografia dell'era della contestazione e dell'autocritica, abbia scelto proprio il trentennio fra il 1860 e il 1890 come oggetto della propria indagine per ristabilire la verità dei fatti e rendere giustizia ai veri protagonisti ed alle vere vittime dell'ultima guerra degli indiani d'America ed i loro colonizzatori europei.
Capo Giuseppe |
Mentre i Nez Percès (Nasi Forati) di Capo Giuseppe difendevano disperatamente le terre del Nord-Ovest, i Navaho e gli Apache cercavano di opporre l'ultima resistenza nel Sud-Est. Nel 1863 la sorte dei Navaho era ormai segnata e dopo una serie di sanguinosi scontri protrattisi per oltre un anno il colonnello Carson li costringeva alla resa avviandoli, attraverso quello che fu definito "il lungo cammino", in una riserva del Nuovo Messico dalla quale furono più tardi ricondotti alla loro nativa Arizona con la promessa che non l'avrebbero più abbandonata. Fu pressappoco nello stesso periodo che anche gli Apache, già lungamente provati dalle persecuzioni degli spagnoli e degli spagnoli ebbero modo di sperimentare l'instabilità della pace che essi credevano di aver realizzato con gli americani. La proditoria uccisione del loro capo Mangas Coloradas, nel 1862, scatenò il conflitto e per molti anni piccole bande capeggiate da guerrieri leggendari sparsero il terrore fra i bianchi e tennero costantemente impegnate le truppe.
Geronimo con alcuni Apache |
Geronimo fu certamente il più famoso di questi guerrieri e soltanto nel 1886 l'esercito riuscì a catturarlo ed a rinchiuderlo a Fort Sill, nell'Oklahoma, dove morì quasi dieci anni dopo essersi convertito al cristianesimo e dopo aver dettato le sue affascinanti memorie. Gli ultimi indiani liberi ormai erano i cacciatori di bisonti delle praterie attorno ai quali si andava stringendo ogni giorno di più il cerchio aggressivo di trenta milioni di americani alla ricerca dell'oro e di nuove terre da coltivare.
Nel 1851 era stato stipulato a Fort Laramie un trattato con le tribù dei Cheyennes, dei Sioux, degli Arapaho, e dei Crow, con il quale il governo degli Stati Uniti garantiva agli indiani tutti i diritti di proprietà, di caccia, di pesca e di transito che ad essi spettavano come abitanti di quelle regioni. Ma nel corso degli anni gli impegni non erano stati rispettati e migliaia di bianchi avevano violato la "frontiera" indiana riversandosi lungo la valle del fiume Platte ed occupando senza scrupoli i territori che attraversavano. L'arrivo dei minatori dei coloni, tra l'altro, implicava la creazione di forti militari per la loro protezione, la costruzione di strade e, più tardi, di ferrovie che avrebbero radicalmente alterato l'equilibrio ecologico di queste zone e soprattutto gradualmente distrutto i bisonti che costituivano la più grande risorsa di caccia e di benessere per le tribù indiane. E' naturale, quindi, che l'invasione bianca, in aperta violazione degli impegni che erano stati presi dal governo, provocasse risentimenti e scontri che sarebbero diventati sempre più sanguinosi nel corso degli anni. Spinti a forza fuori dalle loro terre, gli indiani incominciarono così una disperata difesa del loro santuario che provocò migliaia di vittime da ambo le parti e si concluse, nel 1890, con la vittoria definitiva dei bianchi.
Guerriero Sioux |
L'ultima guerra combattuta dai pellirosse delle grandi pianure ebbe probabilmente inizio tra le foreste del Nord dove i Sioux Santee, assediati da 15 mila coloni verso la metà del secolo XIX, tentarono invano di stabilire rapporti di convivenza pacifica con i bianchi. Delusi dal comportamento dei coloni, sotto la guida di Piccolo Corvo, essi incominciarono così ad attaccare forti e villaggi catturando numerosi prigionieri. Questo provocò un intervento massiccio delle truppe che, il 26 settembre 1863, invasero il loro campo liberando i bianchi qui rinchiusi e facendo prigioniera la maggior parte degli indiani. Un processo sommario decretò la condanna a morte di 303 guerrieri santee, ma il Presidente Lincoln fece eseguire la sentenza per 38 condannai che vennero pubblicamente impiccati. Gli altri vennero rinchiusi in prigione e 1700 tra donne e bambini vennero trasportati a Fort Snelling tra le violenze della folla che assisteva al loro passaggio. Piccolo Corvo, spintosi nelle pianure dove avrebbe voluto unirsi agli altri cugini Sioux, venne ucciso da due coloni che speravano di riscuotere la taglia da 25 dollari promessa dallo Stato del Minnesota per ogni scalpo di indiano che fosse stato consegnato alle autorità.