Spartizione dell'Africa tra le potenze europee

Sebbene alcuni territori africani fossero stati occupati dagli europei da tempi più antichi è dalla seconda metà dell'ottocento in poi che possiamo parlare di una vera e propria corsa alle colonie in Africa (cosiddetto scramble for Africa). I paesi che ebbero il ruolo di gran lunga più importante nella conquista dell'Africa furono Gran Bretagna e Francia. Con esse cercò di competere per un breve periodo la Germania, mentre il Portogallo si sforzava di mantenere i suoi antichi possedimenti e l'Italia cercava di creare il proprio impero coloniale con scarso successo. Una vicenda storica complessa portò anche il Belgio a entrare in possesso di un vasto territorio africano.

Le nazioni europee giustificarono le loro pretese sul continente africano in nome di una presunta "missione civilizzatrice". L'importanza economica dei territori africani, sia in termini di risorse naturali che di sbocchi per le merci europee fu spesso molto esagerata dai promotori delle imprese coloniali. In definitiva tuttavia l'effetto maggiore della dominazione europea fu quello di destabilizzare il continente. Molto spesso l'azione degli europei si limitò al saccheggio della risorse naturali e non vennero create strutture utili ad un'economia moderna. Nei paesi in cui si stabilirono comunità di origine europea si crearono tensioni con la popolazione locale, discriminata politicamente ed economicamente.

La conquista inglese allarmò la Francia, mentre la Germania intervenne come mediatrice, nella speranza di guadagnare a sua volta compensi territoriali. Intanto Leopoldo II, sovrano del Belgio, stava progettando di trasformare il bacino del fiume Congo in una colonia sotto il suo diretto controllo e a questo scopo aveva mandato in Africa il celebre esploratore Henry Morton Stanley. La Francia rispose inviando il proprio agente Pietro Savorgnan di Brazza, italiano naturalizzato francese, nella regione del Congo. Il risultato fu una complessa spartizione dell'Africa che prese le mosse nel 1885 con la conferenza di Berlino. La conferenza sancì la creazione dello Stato Libero del Congo, colonia personale di Leopoldo II e stabilì che da quel momento in poi un paese europeo che accampasse diritti sulle coste africane doveva dimostrare di poter avere un controllo effettivo del territorio.

Le popolazioni indigene spesso accettavano spontaneamente di firmare i "trattati" con cui cedevano la loro sovranità alle potenze europee, non rendendosi conto di cosa stavano facendo o di quale sarebbe stata la portata dell'occupazione europea. Quando le gravi conseguenze si fecero sentire spesso si ribellarono, ma non riuscirono a contrastare gli europei che potavano con sé armi ed equipaggiamento moderno.

In un caso lo scontro tra una potenza colonialista e l'unica popolazione bianca di origine europea che si considerava africana a tutti gli effetti diede vita a una guerra. Si tratta del conflitto che oppose gli Inglesi ai Boeri o Afrikaner dal 1899 al 1902. I boeri discendevano da coloni olandesi stanziatisi presso il Capo di Buona Speranza fin dalla metà del XVII secolo. Un secolo e mezzo più tardi, ai tempi di Napoleone, la colonia del capo era passata agli inglesi. Non sopportandone il dominio i boeri si erano spostati verso l'interno, dove avevano proclamato, due repubbliche indipendenti. La situazione divenne incandescente quando si scoprì che quelle terre erano ricche d'oro e di diamanti. Quei beni allettarono gli inglesi, che incominciarono a giungere numerosi nelle terre dei boeri. Ne nacque una guerra sanguinosa, nella quale i boeri furono sconfitti. Sotto il controllo economico inglese fu allora fondata l'Unione sudafricana, che riuniva l'inglese colonia del capo alle due repubbliche Boere. Dopo la seconda guerra mondiale la Repubblica Sudafricana indipendente avrebbe dato vita al regime dell'apartheid.

 

Le colonie africane si distinguevano in territori che gli europei speravano di utilizzare come fonte di materie prime e sbocco commerciale per i loro prodotti (colonie di sfruttamento come la Costa d'oro, lo Stato Libero del Congo, la Nigeria etc.) e colonie in cui veniva incoraggiata l'emigrazione europea (colonie di popolamento come l'Algeria o la Colonia del Capo). I confini erano tracciati in modo arbitrario e popolazioni tradizionalmente nemiche erano costrette a convivere mentre altre, unite dalla stessa lingua e dalla stessa storia, venivano divise. Questo avrebbe creato gravi problemi agli Stati africani dopo la decolonizzazione. Le filosofie a cui si ispiravano le politiche coloniali delle potenze europee erano differenti.

L’Inghilterra, che per estensione e ricchezza di territori dominanti era senza dubbio la prima potenza coloniale, adottava metodi amministrativi che sembravano differire radicalmente da quelli della Francia. Mentre questa trapiantava nei territori d’oltremare il centralismo amministrativo che costituiva il tessuto connettivo della madrepatria, l’Inghilterra preferiva invece lasciare una maggiore autonomia non già ai popoli amministrati, ma ai governatori che rappresentavano nei territori “il governo di Sua Maestà”. Nei territori ad amministrazione britannica prevalevano dunque le qualità personali, la capacità e la fantasia politica dei capi dell’amministrazione, i quali non di rado assursero agli onori della cronaca e della storia come “i proconsoli”. Non a caso, invece la tradizione coloniale francese non riuscì a far emergere la figura così caratteristica del sistema coloniale inglese del “proconsolato”, e non perché molti amministratori non né possedessero virtualmente la capacità , ma perché il sistema centralizzato francese non permetteva che emergesse in una quadro che ripeteva sostanzialmente, al di là delle più o meno pompose qualifiche ad uso di prestigio nazionale, le attribuzioni del prefetto del sistema dipartimentale della madrepatria.
L’ideale della Francia, in definitiva perpetuava la tradizione giacobina, attuata in pieno solo nelle “vecchie province” americane, di abbattere ogni barriera culturale, politica ed amministrativa che potesse in qualche modo differenziare i territori e i cittadini coloniali da quelli della madrepatria: la realtà spirituale della “Rèpublique une et indivisible” doveva dominare su tutta l’organizzazione statale della Francia erede della Grande Rivoluzione.
Ma è abbastanza significativo che il processo inaugurato nel periodo politicamente più esaltante e più fecondo della Rivoluzione, quando ogni difficoltà sembrava sciogliersi sotto i colpi di spada dagli “immortali principi”, si interruppe già al momento della conquista dell’Algeria, nel 1830. La Francia trasformò sì, secondo i principi giacobini e secondo la tradizione delle “vecchie province”, il territorio algerino in territorio metropolitano, diviso in dipartimenti e soggetto direttamente alle autorità francesi, ma non osò o non poté fare altrettanto con le popolazioni locali, che restarono suddite, meramente soggette a rapporti di dipendenza senza mai diventare “cittadine” titolari dei diritti e doveri dei metropolitani ed anche dei nativi delle “vecchie province” americane. Con l’esperienza algerina nacque cioè, e finì per radicarsi, quella anomalia che condizionerà così largamente la storia coloniale francese, per cui si ebbe una frattura tra i due elementi costitutivi della colonia, popolo e territorio; solo il secondo elemento beneficiava dell’appartenenza integrale allo Stato, mentre a riguardo del primo veniva attuata la discriminazione fondamentale e caratteristica del regime coloniale francese tra i francesi immigrati, o loro discendenti, cittadini a tutti gli effetti e parificati nei diritti e doveri ai metropolitani, e i sudditi, che erano più oggetto che titolari della potestà statuale, protetti dal solo fragile scudo dello "statut personnel".
 

La conquista europea dell'Africa diede spesso luogo ad atrocità su larga scala. I due casi limite furono probabilmente quelli del Congo e dell'Africa Sudoccidentale tedesca (attuale Namibia).

 


Donne congolesi durante la colonizzazione

Nello Stato Libero del Congo (attuale Repubblica Democratica del Congo) il re Leopoldo II del Belgio per rifarsi dalle colossali spese sostenute per colonizzare la regione inaugurò un sistema di sfruttamento intensivo delle risorse naturali del paese. Raccogliere la maggior quantità possibile di gomma selvatica (caucciù) divenne il compito principale degli agenti dello Stato e gli indigeni furono costretti al lavoro forzato e sottoposti a un regime di terrore e rappresaglie armate. Le notizie delle atrocità portarono alla nascita di una campagna di protesta, specialmente in Inghilterra e poi negli Stati Uniti, guidata dal giornalista inglese Edmund Dene Morel e dal diplomatico Roger Casement che eseguì un'ispezione e preparò un rapporto sulla situazione del paese. Nel 1908 il Congo venne annesso al Belgio e sottoposto alla sovranità del Parlamento belga. Questa data segnò la fine del regime del terrore, anche se il lavoro forzato e le punizioni corporali continuarono ad essere diffuse nella colonia. Il giornalista americano Adam Hochschild, autore del bestseller storico Gli Spettri del Congo, ritiene che dieci milioni di congolesi siano morti negli anni in cui il paese era sottoposto al dominio personale di Leopoldo II.

Lo stesso modello di sfruttamento venne riprodotto nel vicino Congo francese (attuale Repubblica del Congo), con conseguenze drammaticamente analoghe. L'esploratore Pietro Savorgnan De Brazzà, mandato ad investigare nel 1905, dopo che alcuni omicidi efferati commessi dai funzionari bianchi avevano turbato l'opinione pubblica, iniziò la stesura di un severo rapporto ma morì prima di portarlo a termine. Lo scrittore André Gide, che visitò il Congo venti anni dopo, riferì che poco era cambiato nella situazione del paese.

Le atrocità nell'Africa sudoccidentale tedesca riguardarono invece gli Herero, una popolazione di pastori di lingua bantù che oggi conta circa 120000 persone. Nel 1904 gli Herero si ribellarono alla colonizzazione e massacrarono duecento coloni tedeschi. La risposta del generale Lothar von Trotha condusse al primo genocidio del XX secolo. Von Throta emise un "ordine di annientamento" che recitava "Qualsiasi Herero che si trovi entro le frontiere tedesche, armato o no, in possesso di bestiame o senza, sarà abbattuto". Gli Herero furono deportati in massa nel deserto di Omaheke dove morirono di fame e di sete in seguito all'avvelenamento dei pozzi da parte delle truppe tedesche. Si calcola che le vittime siano state 65 000 Herero (80% della popolazione totale). A lungo dimenticato, il genocidio degli Herero è tornato di attualità in Germania da qualche anno, anche grazie a un telefilm.

 

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