Kuwait

Superficie: 17.819 KmqCartina del Kuwait
Popolazione: 2.042.000
Capitale:
Kuwait City
Gruppi etnici:
arabi 87%, asiatici 13%
Gruppi religiosi:
musulmani 85%,
cristiani e altri 15%
Ordinamento dello stato: monarchia costituzionale
Emiro: Jabir al Sabah
Primo ministro:
principe Saad al Sabah
Partiti: nessuno

Cenni storici
La Gran Bretagna ha supervisionato le relazioni internazionali e la difesa durante il regno della dinastia Al Sabah, dal 1899 fino all'indipendenza nel 1961. Il Kuwait è stato attaccato e conquistato dall'Iraq il 2 agosto 1990.

Dopo molte settimane di bombardamenti aerei, una coalizione delle Nazioni Unite guidata dagli Stati Uniti, ha iniziato un attacco di terra il 23 febbraio 1991, riuscendo a liberare completamente il paese in quattro giorni. Il Kuwait ha speso più di 5 miliardi di dollari per riparare le infrastrutture danneggiate durante la guerra del golfo del 1990-91.

Situazione politica
Alla guida del paese c'è la monarchia degli Al Sabah, che controlla tutte le cariche più importanti. Il consiglio dei ministri, proposto dal primo ministro deve essere approvato dal monarca. Non esistono elezioni, in quanto la monarchia è ereditaria e sono vietate tutte le forme di organizzazioni politiche. L'economia del paese è basata principalmente sul petrolio, la cui gestione totale è nelle mani della monarchia

GUERRA PER IL KUWAIT

IMMAGINI

A poca distanza dalla fine della sanguinosa guerra con l’Iran, l’Iraq è un paese indebolito economicamente, ma fortissimo sul piano militare(è considerato la quinta potenza militare mondiale), grazie anche agli armamenti ricevuti in abbondanza, in passato, da governi e ditte straniere(dagli USA all’URSS all’EUROPA occidentale). Questo fatto, probabilmente, contribuisce a nutrire le già preesistenti ambizioni del dittatore Saddam Hussein a fare dell’Iraq(sotto la propria direzione) lo Stato-guida del progetto di unificazione del mondo arabo. Il 2 Agosto 1990 le truppe irachene occuparono militarmente il Kuwait. Nei giorni successivi la popolazione del piccolo stato è sottoposta a una repressione barbara e feroce. Saddam Hussein dichiara l’annessione del Kuwait all’Iraq, come diciannovesima provincia. Questo gesto è visto come assai minaccioso nei confronti di altri arabi, a cominciare dall’Arabia Saudita. Su iniziativa statunitense, ma con il consenso della maggioranza dei Paesi europei(sia pure su posizioni più sfumate) di Unione Sovietica e Cina, il Consiglio di sicurezza dell’ONU vota un embargo nei confronti dell’Iraq. Saddam rifiuta di ritirarsi dal Kuwait, fa ricorso alla minaccia di una "guerra santa", chiede l’avvio di una conferenza internazionale sul Medio Oriente, che affronti in primo luogo il problema israeliano-palestinese. L’ONU rifiuta un legame immediato e diretto fra questa conferenza e l’aggressione al Kuwait, e continua ad esigere il ritiro delle truppe irachene da quello Stato, e la ricostituzione della legalità internazionale, come presupposto necessario di ogni altra eventuale iniziativa. Mesi di trattative febbrili si succedono senza risultato. Di fronte alla scarsa efficacia dell’embargo, il Consiglio di sicurezza vota la legittimità di un intervento armato. Nella zona del Golfo Persico-Arabico si concentra una gigantesca una forza multinazionale che raccoglie armi e soldati di 28 Paesi: con gli Stati Uniti si schierano, fra gli altri, l’Arabia-Saudita, l’Egitto, la Siria e gli Emirati, la Gran Bretagna, Francia, la stessa Italia. Tra i Paesi dell’aria che non si schierano militarmente, alcuni, tra cui lo Yemen, appoggiano Saddam; altri(Giordania, Libia, Sudan, Iran) hanno verso di lui un atteggiamento di benevola ma preoccupata neutralità. La dirigenza palestinese, rappresentata dall’OLP, si colloca decisamente dalla parte di Saddam. Il quale(malgrado la fama di sanguinario dittatore che lo circonda) riesce ad attirare su di sé un po’ dovunque le simpatie delle masse arabe che vedono confusamente aprirsi un’occasione per reagire a frustrazioni e disagi nazionali, sociali e religiosi antichi e recenti. Un ultimatum delle forze multinazionali per il 15 Gennaio 1991 rimane senza esito. Nella notte del 17 alcune ore dopo la scadenza, la guerra incomincia con il bombardamento di Baghdad.
  Il Medio Oriente s’infiamma come mai era successo dopo la seconda guerra mondiale, mentre in tutto il mondo si guarda al conflitto con crescente preoccupazione per le sue vittime e per la possibilità di un suo allargamento. Numerose sono, nel mondo occidentale, le manifestazioni pacifiste; altrettante, nel mondo arabo , quelle anti-occidentali. Saddam attacca con missili Israele, senza rispettarne l’estraneità al conflitto; ricorre a operazioni che rischiano di provocare gravi disastri ecologici; minaccia l’uso di armi "non convenzionali", chimiche, biologiche, nucleari. Ma quando il 24 Febbraio, le forze della coalizione iniziano l’attacco terrestre, le truppe irachene, prostrate da combattimenti durissimi, non sono in grado di opporre una vera resistenza, e la loro sconfitta è rapida e sanguinosa. Il 28 Febbraio il Kuwait è liberato e si arriva al "cessare il fuoco". La legalità internazionale è così ripristinata. Tuttavia, il prezzo pagato è molto alto. Il numero delle vittime, soprattutto irachene, e l’entità dei danni sono elevatissimi. Il mondo arabo ha vissuto il drammatico epilogo della vicenda con dolore e mortificazione. E i problemi politici, economici e strategici di quest’aria, dove gli americani tornano a recitare un ruolo egemonico, restano gravi e difficili. Sono, in buona parte, i problemi di sempre: una terra per i Palestinesi, la sicurezza per Israele, l’indipendenza del Libano, i diritti di minoranze perseguitate, come i Curdi. E ancora, una distribuzione più equa delle risorse di una regione in cui coesistono fianco a fianco grandi ricchezze e grandi povertà. Dopo la sconfitta subita da parte delle forze multinazionali, il governo iracheno, guidato sempre da Saddam Hussein, ha represso sanguinosamente(si è parlato non a caso di "genocidio") le ribellioni degli sciiti a sud e dei Curdi a Nord. Centinaia di migliaia di Curdi si sono rifugiati in Turchia per sfuggire al massacro. Gli Stati Uniti e i loro alleati non sono intervenuti contro l’Iraq, limitandosi a un aiuto umanitario e al tardivo invio di un contingente limitato di truppe(sotto l’egida dell’ONU) a protezione del territorio curdo. Gli Stati Uniti accusano il dittatore iracheno di non rispettare le condizioni della resa, e di nascondere ancora armi chimiche e nucleari, e minacciano periodicamente un nuovo intervento. Nel corso del 1997, l’embargo internazionale nei confronti dell’Iraq è stato parzialmente attenuato: si è concessa al Paese una ripresa controllata delle esportazioni di greggio, i cui proventi, però, devono essere impegnati unicamente per l’acquisto di medicinali e di altri generi necessari ad alleviare le condizioni miserevoli in cui versa la popolazione irachena. A partire dal Novembre ’97 si è riaperto il contenzioso che vede Saddam contrapposto agli ispettori statunitensi della delegazione ONU incaricata di sovrintendere al disarmo iracheno.