Una delle conseguenze della guerra del Golfo è stato il riemergere in tutta la sua drammacità della «questione curda». La lotta delle tribù curde per il mantenimento della indipendenza risale al secolo scorso quando si opposero, non senza alcuni successi, ai tentativi di sottometterle messi in atto dall'Impero Ottomano. Ma è a seguito quegli accordi tra gli Stati imperialisti usciti vincitori dalla I guerra mondiale per spartirsi la regione mediorientale che essa ha assunto i tragici aspetti che tutt'ora presenta. Con quegli accordi si diedero al Medio Oriente confini assurdi con lo scopo di favorire gli interessi dei vincitori; di impedire ogni possibilità di riuscita per la rivoluzione nazionalista turca ed araba; di formare un valido contrafforte contro le minacce di espansione della rivoluzione bolscevica. Il territorio curdo fu diviso tra quattro Stati e furono poste le premesse dello sterminio di quel popolo.

Nei decenni seguenti le consistenti minoranze curde presenti all'interno di Stati a diverso livello di sviluppo, con economia, lingua, religione, cultura diverse, hanno risposto ai tentativi di assimilazione forzata con la ribellione, e con la lotta armata per l'indipendenza. A questi tentativi tutti gli Stati hanno opposto la repressione più feroce.

D'altronde se i guerriglieri curdi sono riusciti ad ottenere anche dei successi sul piano militare, la loro estrema arretratezza economica e politica ha impedito il formarsi di un partito nazional-rivoluzionario capace di dare direttive precise ed univoche, di diventare un vero punto di riferimento per tutto il popolo curdo, ovunque vivesse. La presenza inoltre in territorio curdo di grandi riserve petrolifere ed altre materie prime ha sempre tenuto desta l'attenzione degli Stati imperialisti e delle potenze regionali che più volte si sono alleate per togliere di mezzo il fastidioso incomodo. Irrisolvibile sul piano militare, data la consistenza numerica e la tenacia combattiva del popolo curdo, la questione è irrisolvibile anche sul piano politico come hanno dimostrato i continui tentativi di accordo, raggiunti a decine negli ultimi anni e sempre falliti. Non crediamo servirà ad aprire nuovi spiragli neppure la disponibilità dimostrata da alcuni dei partiti curdi più rappresentativi, che si dicono disposti al rispetto delle attuali frontiere e a rinunciare all'indipendenza per accontentarsi di una qualche forma di autonomia all'interno dei vari Stati; non sono tempi di facili e pacifiche convivenze.

Il regime imperialista, negli ultimi anni ha dato avvio alla sua soluzione: massacri, spostamenti forzati di decine di migliaia di uomini, dure repressioni di ogni velleità di

resistenza, emigrazione «volontaria» verso l'occidente industrializzato.

L'alternativa alla soluzione imperialista non sta nella ricerca dell'impossibile indipendenza nel quadro di questo regime, come si propone le formazioni politiche più estreme, ma nello spezzare il sistema sociale che ha originato e che continua ad originare le tremende contraddizioni che costringono la stragrande maggioranza della popolazione del pianeta a condurre una vita miserabile, ad essere spazzata via dalla fame, dalle malattie, dalle guerre. Il proletariato d'occidente e i proletari dei paesi a più giovane capitalismo del Medio Oriente, dovranno ritrovare la strada della loro emancipazione, della lotta rivoluzionaria di classe. Su quella strada troveranno nella guerra delle plebi curde un alleato da scagliare per la distruzione dagli Stati borghesi della regione. Fuori da questa prospettiva non c'è speranza per quella fiera ma sfortunata popolazione.

Il Kurdistan, o Paese dei curdi, copre un vasto territorio montagnoso che si estende per circa 475.000 chilometri quadrati dalla catena dell'Anti-Tauro ad ovest fino all'altopiano iranico ad est, dal monte Ararat a nord, alla pianura della Mesopotamia a sud. Il Kurdistan non è uno Stato, è un territorio che si estende ai margini di quattro mondi etnici politici e culturali diversi e da sempre antagonisti: l'arabo, il persiano, il turco, il russo. Il suo territorio è diviso tra quattro Stati: Turchia, Irak, Iran e Siria. Il Kurdistan settentrionale comprende 18 delle 67 province (vilayet) turche ufficialmente questo territorio viene chiamato «Anatolia Orientale»; Il Kurdistan orientale si estende su 4 delle 24 province (ostan) iraniane; ufficialmente solo una di queste province è riconosciuta come curda; Il Kurdistan meridionale comprende 4 delle 18 province (muhafadha) irachene; 3 di queste formano la regione autonoma curda costituita nel 1974 e chiamata anche «Regione del Nord». Non è invece riconosciuta come curda la provincia di Kirkuk. Il Kurdistan sud-occidentale congloba anche la regione curda della Siria settentrionale.

Il territorio del Kurdistan è ricchissimo di acque; a settentrione sgorgano le sorgenti dei due fiumi Tigri ed Eufrate. Il lago di Van, a 1720 metri s.l.m., è il maggiore della Turchia e si estende per 3764 Kmq; in Tran il lago di Urmia (Rezaiyeh in persiano) delimita in parte il Kurdistan iraniano: si trova a un'altitudine di 1250 m.; ha salinità altissima e non permette la vita ai pesci. Il problema dell'acqua è vitale per tutti i paesi della regione che hanno costruito dighe soprattutto sul Tigri ed Eufrate. Il territorio del Kurdistan costituito da alte montagne solcate da valli e fertili pianure, ha un'altitudine media superiore ai 1.000 m.s.l.m.

Quantificare in modo preciso la popolazione dei curdi è impossibile, data la mancanza di censimenti attendibili. Le statistiche ufficiali spesso non comprendono come curdi le tribù nomadi e seminomadi e assimilano la popolazione curda sedentaria – urbana e rurale – alla etnia dominante; le cifre avanzate dalle autorità ufficiali degli Stati in cui vivono i curdi sono molto al di sotto della realtà, quelle fornite dai movimenti nazionalisti tendono invece a gonfiare le stime, la tabella che riporta dati risalenti alla seconda metà degli anni ottanta, descrive una situazione certamente già mutata o in rapido cambiamento a causa delle migrazioni determinate dalle guerre, dalle repressioni, dalla crisi economica. Essa costituisce un dato di partenza a cui ci possiamo riferire:

 

Stato

Popolazione totale
(migliaia)

Popolazione curda
(migliaia)

Incidenza % della popolazione

Turchia (1985) *

50.664

12.058

23,8

Iran (1986) *

49.857

5.982

12

Iraq (1987) *

16.278

4.069

25

Siria (1986) *

10.612

1.061

10

Urss

-

500

-

Altri

-

1.000

-

TOTALE

24.670



 

Fonte: *The Middle East and North Africa 1989, London, Europa Pubblications, 1988.
 

 

Il numero dei curdi è dunque superiore alla popolazione di ogni singolo Stato arabo, escluso l'Egitto, ma è minoritario in ciascuno degli Stati in cui è inglobato.

Negli ultimi decenni è stato sconvolto da mutamenti demografici senza precedenti soprattutto a causa della politica economica e sociale dei governi centrali, sopratutto in Turchia e Iraq che hanno sistematicamente attuato la deportazione in massa dei curdi per stroncarne i tentativi di rivolta e per assimilarli. A questi vanno aggiunti i rifugiati, costretti a vivere accampati in tende di fortuna che già prima del recente e tragico esodo postbellico erano numerosissimi: l'Iran accoglieva già 400 mila curdi iracheni, giunti in tre distinti flussi migratori: nel 1975 dopo la sconfitta di Barzani, nel 1980 all'inizio del conflitto Iran-Iraq, nel 1988 dopo l'uso massiccio di armi chimiche da parte di Baghdad. L'Iraq ospita circa 200 mila curdi iraniani. La Turchia nell'agosto-settembre 1988 ha aperto la frontiera a 100-120 mila curdi iracheni. In Siria vive qualche migliaio di profughi provenienti dalla Turchia. Secondo il leader curdo iraniano Ghassemlou, nel 1965 i curdi costituivano ancora l'85% della popolazione del Kurdistan, ma da allora questa percentuale è sicuramente diminuita anche a causa dell'intensificarsi del processo di emigrazione a causa dello stato di arretratezza economica in cui quelle regioni sono mantenute: la Germania ospita circa 300.000 curdi, la Francia 50/60 mila, la Svezia 12 mila, la Gran Bretagna 15 mila, ecc.

Nonostante la ricchezza delle risorse naturali il Kurdistan è un paese povero: praticamente non vi esistono industrie se non quelle direttamente legate alle attività estrattive del petrolio o di altri minerali; l'agricoltura è ancora condotta con metodi primitivi e potrebbe essere definita «di sopravvivenza»; l'allevamento, soprattutto di ovini, è ancora l'occupazione nazionale della popolazione e fornisce i prodotti base dell'alimentazione, ma è stato duramente colpito dalla divisione del Kurdistan avvenuta dopo la I guerra mondiale che ha distrutto l'unità economica esistente durante l'Impero ottomano. La delimitazione delle frontiere nel 1925 ha impedito la tradizionale transumanza effettuata dalle tribù tra Turchia e Irak. Adesso l'area principale per l'allevamento si trova al confine turco-iraniano, dove vi sono i pascoli migliori e le popolazioni sono meno soggette ai controlli e alle pressioni dei governi centrali.

Le ricchezze minerarie sono consistenti: nel Kurdistan turco sono presenti fosfati, lignite, rame, ferro, cromo (uno dei giacimenti più rilevanti del globo), petrolio. Nel Kurdistan meridionale viene prodotto il 75% del greggio iracheno. Nella regione di Kermanshah in Iran, viene estratto petrolio, così come anche nel Kurdistan siriano. Queste risorse naturalmente non vanno a vantaggio dei curdi, ma vengono incamerate dagli Stati in cui quei territori sono inglobati.

Sulle origini del popolo curdo vi sono diverse ipotesi: una tesi sostiene la loro origine iranica, indoeuropea ed il loro spostamento nel VII secolo a.C. dalla regione del lago di Urmia verso occidente nell'area del Bohtan. L'altra sostiene il carattere autoctono dei curdi, imparentati con altri popoli asiatici come caldei, georgiani, armeni, di cui parlavano la lingua che fu più tardi sostituita da un idioma iranico. Non essendo dimostrata la loro parentela con genti omonime Profughi curdi

citate da testi antichi (dai Karda delle iscrizioni sumeriche ai carduchi di Senofonte nell'Anabasi), è necessario arrivare al VII secolo d.C. per avere notizie storiche sui curdi, ai tempi cioè in cui le tribù dell'altopiano iranico, attratte nell'orbita musulmana e rapidamente islamizzate, aderirono alla confessione sunnita (tuttora professata dalla maggioranza della popolazione).

L'Islam non assimilò completamente il particolarismo e piccoli reami curdi indipendenti si staccarono all'autorità troppo «araba» dei califfi. Molte tribù si sedentarizzarono.

I curdi, la cui struttura tribale era ancora molto forte, si dimostrarono guerrieri coraggiosi e amministratori abili, nonostante ciò non gettarono le basi per la fondazione di uno Stato curdo; l'Islam assorbiva le nazionalità, l'elemento sovranazionale ritardava la presa di coscienza nazionalista. Sotto gli Abbasidi e soprattutto sotto i Selgiuchidi i curdi formarono una sorta di aristocrazia militare che ebbe il suo più illustre rappresentante in Salah-al-Din, il Saladino (m. 1193), fondatore della dinastia curda degli Ayybidi che regnò sull'Egitto nei secoli XII e XIII.

Dopo la dominazione mongola dei secoli XIII e XIV, cui furono tra gli ultimi a soccombere, durante i secoli XV e XVI il loro territorio divenne il campo di battaglia delle lotte tra Impero ottomano e Impero persiano.

Dopo la vittoria di Cialdiran (1514) da parte degli Ottomani guidati dal Sultano Selim I contro le forze persiane, la maggioranza dei capi curdi si schierò dalla parte degli Ottomani a cui erano legati dalla comune fede religiosa. Gli Ottomani utilizzarono i curdi per la difesa dei loro confini orientali; alcune importanti tribù curde furono fatte emigrare in aree armene con promesse di feudi militari, dignità e cariche amministrative; furono istituiti cinque Principati curdi indipendenti in cui capi, discendenti dalle antiche dinastie, battevano moneta. Il Kurdistan venne così suddividendosi in una miriade di Principati o piccoli Feudi, governati autocraticamente da dinastie ereditarie con proprie armate regolari, anche di forza e dimensioni considerevoli. I capi curdi godevano di una quasi completa autonomia; dovevano pagare un tributo al Sultano e fornirgli soldati in caso di bisogno ma, a causa della lontananza dalla capitale e delle difficoltà di comunicazione, molti capi si astenevano da questi obblighi o li onoravano solo saltuariamente. Fu questa l'epoca d'oro del Kurdistan. Nel corso del XVII secolo il Sultano cercò di esautorare i Principi curdi per sostituirli con governatori nominati dal governo centrali ma il progetto falli per l'indebolimento causato dall'Impero dalle molteplici guerre in Europa e contro la Persia. Il trattato di pace del 1639 tra i due Imperi consacra la spartizione del Kurdistan in due grandi zone d'influenza.

Dal XVI al XIX secolo l'autorità degli Imperi ottomano e persiano rimase nominale, molti Principati rimasero autonomi all'interno dei loro piccoli territori e l'intera regione divenne una specie di terra di nessuno, tribale, remota ed impenetrabile, uno Stato cuscinetto montagnoso; ma l'isolamento che «proteggeva» i curdi dagli altri popoli, insieme alla rivalità tra i signori feudali ed all'arretratezza economica, impedirono che si facessero dei passi avanti verso l'unità politica. Malgrado la successiva politica centralizzatrice intrapresa dai governi ottomano e persiano, la maggior parte dei Principati sopravvisse fino alla metà del XIX secolo.

Nel corso del XIX secolo non mancò un'opposizione al governo ottomano che nell'ambito di un vasto piano di riforme economiche e sociali tese alla modernizzazione dell'Impero in senso borghese, tentava di limitare l'autorità dei capi curdi, inasprire l'esazione fiscale, imporre la coscrizione obbligatoria. Queste rivolte erano però capeggiate dai capi feudali e religiosi e tendevano a mantenere lo status quo, muovendosi quindi in senso conservatore più che in direzione di un nascente nazionalismo. Interessante una descrizione della situazione del Kurdistan da parte del Helmuth van Moltke, consigliere militare presso le forze armate ottomane e futuro generale riformatore dell'esercito prussiano: «L'Impero ottomano abbraccia grandi territori dove la Porta non esercita alcuna autorità di fatto, ed è certo che il Sultano ha molte conquiste a fare nella periferia dei suoi propri Stati. Di questo numero è il paese montuoso tra la frontiera persiana e il Tigri (...) Non è mai riuscito alla Porta di atterrare in questi monti la potestà ereditaria delle famiglie. I Principi curdi hanno un gran potere sui loro sudditi; guerreggiano fra loro, sfidano l'autorità della Porta, negano le imposte, non permettono la leva e cercano un ultimo rifugio nelle rocche che hanno innalzato sulle alte vette». Nel corso del XIX secolo si contarono una cinquantina di rivolte nel Kurdistan ottomano, tutte represse nel sangue anche con l'aiuto della Francia e della Gran Bretagna, la cui penetrazione economica nell'Impero era già notevole. Alla fine del secolo tutti i Principati curdi indipendenti erano scomparsi.

La rivoluzione dei Giovani Turchi. Nel corso del XIX secolo, nonostante i tentativi riformatori, l'Impero ottomano andava sfaldandosi sotto i colpi delle sue contraddizioni interne e l'opera delle grandi potenze ansiose di spartirsi le spoglie del «Grande malato». Nel 1908, un gruppo di giovani ufficiali dell'esercito, più esposti alle influenze dell'Europa avanzata, diede origine ad una rivoluzione nazionalista che mise fine al regime reazionario del sultano Abdulhamid.

Questa rivoluzione sollevò naturalmente, assieme alla coscienza nazionale dei Turchi, anche l'entusiasmo di tutte le nazionalità soggette e, nonostante che alcune tribù curde si schierassero dalla parte del Sultano, la parte più avanzata della società curda soprattutto l'intellettualità formatasi ad Istambul o nell'Europa occidentale, iniziò a porre il problema della identità e della indipendenza nazionale. Il clima di relativa tolleranza seguito alla rivoluzione portò al formarsi, a Costantinopoli, di associazioni politiche, sociali e culturali sotto la guida di personalità curde, ma lo scoppio della prima guerra mondiale e l'adesione della Turchia al fianco delle potenze centrali, determinarono l'immediata messa al bando di ogni attività nazionalista antiturca e la ripresa delle persecuzioni.

Alla fine del secolo la lotta tra le maggiori potenze imperialistiche per la spartizione del mondo era ormai in pieno svolgimento; la lotta per il petrolio mediorientale mostrava già la contrapposizione di interessi tra Inghilterra, Francia e Germania; il fatto che una delle zone più ricche di petrolio, il vilaiet di Mossul, fosse in territorio curdo determinò il destino di questo popolo divenuto improvvisamente un inutile fardello per i disegni egemonici delle superpotenze; lo spazio rimasto per il movimento nazionalista, già oggettivamente debole per le condizioni socio-economiche del paese, era ben poco.

Durante la guerra l'Inghilterra cercò di sollevare le popolazioni curde, così come fece con quelle arabe, contro l'Impero turco con la promessa dell'indipendenza. Alla fine della guerra, con la sconfitta degli Imperi centrali e della Turchia, le speranze dei curdi ripresero vigore; dopo la firma dell'armistizio di Modros l'Emiro Kanucan Bédir Khan e il senatore Abd Al-Kadir crearono un'associazione per il risorgimento curdo e nacque un Partito nazionale. Le potenze imperialiste, alla fine della guerra, per contrastare l'influenza della rivoluzione bolscevica, sostennero in linea teorica il diritto all'indipendenza dei popoli oppressi dall'ex Impero turco: l'art. 12 dei famosi «14 Punti» di Wilson (1918), afferma che «Le nazionalità che vivono attualmente sotto l'Impero turco devono godere una sicurezza certa di esistenza e di potersi sviluppare senza ostacoli; l'autonomia deve essere loro concessa». Nei fatti si trattò di una divisione delle sue spoglie tra Francia ed Inghilterra; infatti la Germania era stata sconfitta e non aveva voce in capitolo, la Russia era in piena guerra civile, l'Italia era considerata un alleato trascurabile e gli Stati Uniti non arrivavano ancora ad intromettersi nella regione. Gli accordi Sykes-Picot, con qualche modifica, servirono di base per la spartizione: Parigi accettò per esempio di lasciare Mossul agli Inglesi contro la parte tedesca nella Turkish Petroleum Co. e la zona internazionale è abbandonata. Per ingannare il proletariato internazionale e lisciare Wilson si inventò il quadro giuridico del «mandato», vero capolavoro d'inganno per mascherare le mire colonialiste ed imperialiste sotto un discorso civilizzatore.

Il compromesso franco-inglese del settembre 1919 suggella la morte dello Stato arabo unito e gli accordi di Sanremo (aprile 1920) lo sotterrano. Alla Francia va la Siria, all'Inghilterra la Palestina e la Mesopotamia. Nel settembre del 1920 la Francia, Le aree popolate dalla etnia curda (in rosso) e sciita (in verde).
 

in base alle esigenze dei suoi alleati maroniti, crea il grande Libano a danno della Siria il cui effimero re, Feysal, è costretto all'esilio. La stessa Siria viene divisa e viene creato uno statuto speciale per il sandjak di Alessandretta, che poi nel 1939 verrà attribuito alla Turchia. In Irak l'Inghilterra, dopo aver dovuto fare fronte ad una grande rivolta nel 1920, decide di recuperare Feisal e di imporlo come re dell'Irak nell'agosto del 1921.

Per quanto riguarda lo Stato curdo essa sembrava propensa a mantenere la promessa fatta qualche anno prima, a differenza di quanto aveva fatto con gli Arabi. Il motivo principale che aveva indotto le grandi potenze a prospettare l'indipendenza del Kurdistan era la volontà di imporre una «cintura di sicurezza» fra l'URSS e la Turchia. Le potenze europee volevano prevenire l'allargamento della rivoluzione socialista ed intendevano creare uno Stato cuscinetto, feudale ed arretrato, da poter utilizzare contro l'URSS e gli altri popoli, un potenziale punto strategico posto nelle vicinanze dei pozzi petroliferi sovietici nel Caucaso. Il trattato di Sèvres (1920) prevedeva in due articoli la costituzione di uno Stato curdo, ma ridotto solo ad alcuni territori nei confini dell'attuale Turchia e con una sovranità limitata a vantaggio delle potenze coloniali vincitrici. Questa la pidocchiosa generosità dell'Imperialismo inglese che naturalmente voleva trattenere sotto il suo controllo i territori curdi più fertili e soprattutto ricchi di petrolio. Infatti l'antico vilayet di Mossul, benché facesse indubbiamente parte del territorio curdo, nonostante fosse reclamato a gran voce della Turchia kemalista, nel 1925 fu definitivamente attribuito all'Irak, cioè all'Inghilterra, dalla Società delle Nazioni.

Nonostante tutto il trattato di Sèvres resta ancora oggi un punto di riferimento per il movimento nazionalista, che vi trova una legittimazione delle sue aspirazioni da parte del «diritto internazionale».

Il trattato di Sèvres però non fu mai attuato. Il governo turco, uno dei firmatari, aveva perduto la sua autorità e l'assemblea nazionale di Ankara non ratificò l'accordo che avrebbe ridotto la Turchia ad una colonia delle potenze occidentali. Cominciò così la guerra turca per l'indipendenza. Nel settembre 1922 quasi tutta la Turchia era liberata dalle truppe straniere ed il primo novembre il Sultano venne deposto.

La Turchia rientrava in possesso di tutti i suoi territori in Asia Minore. Il risultato della rivoluzione nazionalista in Turchia e delle manovre dell'imperialismo anglo-francese per fermarla e rafforzare il suo potere sulla regione mediorientale fu che il popolo curdo si trovò diviso in tre Stati, Turchia, Irak ed Iran, mentre alcune minoranze restavano in Siria ed in Unione Sovietica.