La repressione di piazza Tien A Men poneva fine a quella che è stata definita la "primavera" di Pechino. Il 18 aprile 1989 un pugno di studenti, diventati nel corso delle settimane alcune migliaia, avevano occupato piazza Tien A Men al grido di "Abbasso la rivoluzione, viva la democrazia, viva la Cina". Chiedevano di rimettere in sesto l'economia, che già dall'anno precedente viaggiava tra i flutti del caos più totale, e di avere più voce nelle scelte future del paese. Morto Hu Yaobang, l'ex segretario del partito licenziato per aver appoggiato le rivolte studentesche del 1987, gli studenti trovarono in Zhao Zyiang un loro paladino. "Gli studenti sono patrioti. Vogliono solo denunciare i nostri errori" aveva affermato Zhao il 4 maggio. In tutta risposta il 20 maggio fu introdotta la legge marziale, mentre Zhao veniva progressivamente estromesso dai vertici del partito. Il 28 maggio gran parte della protesta studentesca era rientrata, sconfitta per sfinimento dal lungo ma incruento braccio di ferro con il potere. Quel memorabile 1989 segnò la fine di tanti regimi comunisti, ma non di quello cinese. Da questo punto di vista, le polemiche tra i partiti italiani e il Pci, nonché quelle tra giornalisti e intellettuali di diversa estrazione in merito alla morte dell'ideologia comunista hanno trovato sulla carta stampata la loro arena più infuocata. Anche di ciò abbiamo voluto rendere conto.